La Fionda

False accuse e media: i conti non tornano mai

Da messaggio privato. Ricevo, tra i tanti messaggi che mi arrivano ogni giorno, quello di un uomo finito, al solito, in un meccanismo infame di false accuse, tribunali, denunce infondate per stalking. Nella sua storia c’è un plus però, che qualche sfortunato talvolta si trova a dover sopportare: i media. Nome e cognome sbattuto sui giornali, con etichetta di stalker e picchiatore prima, poi ulteriore articolo falso con critica al magistrato per aver ottenuto una sentenza di reato estinto per danni morali. Chi me ne ha parlato, mandandomi le carte, non desidera che la sua storia venga raccontata nel dettaglio. Come molti vuole solo dimenticare, provare ad andare oltre, dopo che il caterpillar gli è passato sopra. Tuttavia ho avuto da lui l’autorizzazione a pubblicare alcune sue riflessioni, contenute in una delle email che mi ha mandato. Le sue parole sono forti e profonde. Rappresentative di tante, troppe storie.

In quello che è successo a me c’è qualcosa che non fa tornare i conti. C’è qualcosa di sbagliato nel sistema che consente a una persona con dei problemi psicologici di andare ad un “telefono rosa” e lì, invece di (ri)metterla in mano ad uno psicologo, la mettono in mano a un avvocato che la consiglia come creare il reato, e probabilmente anche la notizia per i media. C’è qualcosa che non va in due avvocati di cui uno suggerisce alla cliente di citare in aula frasi che mai ho detto, e l’altro che cerca di intimorirmi per evitare che io faccia denuncia di diffamazione verso un giornalista e un giornale che si inventa una storia inesistente utilizzando il mio nome. A che pro tutto questo? Se si segue la traccia dei soldi, si arriva ai fondi pubblici che vengono erogati ad associazioni nate piccole, magari con nobili intenti, e crescendo si ritrovano in preda a una volontà di potenza e di dominio del mondo, di regolare il mondo secondo la loro legge e la loro visione.

arresto-manette

C’è un sistema, che si occupa della violenza sulle donne, che va riscritto. Non mi interessa e non mi interessava fare la vittima; mi interessa più che la mia esperienza possa contribuire a fare cifra e magari, in divenire, essere utile perché ad altri possa essere evitata la mia esperienza. Che non è stata solo giudiziaria, ma interiormente profondamente dolorosa. Per parte mia, agirò attraverso atti giudiziari contro ciò che è stato affermato sul giornale, sostenendo tesi di parte senza tener conto di testimoni che si ridicolizzano da essi stessi, contraddicendosi e smentendo quanto denunciato ai Carabinieri quando dichiarano sotto giuramento in aula. Roba da falsa testimonianza in un paio di casi su tre. Il grave è che la procura ha sentito, senza battere ciglio, gente che sotto giuramento ha fatto dichiarazioni ridicole, senza nemmeno approfondire il caso e gli eventi. Io posso opporre la mia versione dei fatti, attraverso la verità vissuta e andando a completare ciò che la verità giudiziaria non ha saputo cogliere o approfondire, ma non c’è da essere ottimisti: in Procura sanno tutto, sono dichiarazioni che ho reso ma a quanto pare però non contano nulla. 

A raccontarla, la mia sarebbe una storia triste, di malanimo generale, di come si fa falsa informazione per fare soldi o carriera, scarsa onestà intellettuale di avvocati, giornalisti e di leggi che vengono abusate e violate.

Nelle parole di questo amico c’è tutto lo stupore, tutta l’angoscia di non poter essere ascoltato da apparati messi lì per ascoltare una persona in teoria innocente fino a prova contraria. C’è una delle tante descrizioni dirette dell’isolamento che si vive quando si è oggetti di false accuse, e magari pure strumentalizzati dai media. C’è un senso di disincanto, di stritolamento della propria vita. Si combatte, non si può fare altrimenti, ma lo spirito con cui lo si fa non può non essere influenzato da un clima in cui avvocati, procure, un intero sistema sembra non voler accertare la verità, ma trovare un colpevole per poter passare oltre, ignorando tutto ciò che dice, o catalogandolo come irrilevante. Perché la parola che conta, l’unica che conta, è sempre quella dell’accusatrice, anche quando psicologicamente instabile.

Un’altra lezione da imparare, grazie a una testimonianza diretta. Il più sentito in bocca al lupo a questo amico. Finirà, prima o poi.



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