La Fionda

Etica e giustizia: c’è un patrimonio maschile da valorizzare

di Francesco Toesca. Mi occupo di etica del diritto di famiglia, nelle unioni e nelle separazioni, di etica nella relazione degli adulti e dello Stato verso i bambini, e in derivazione rifletto sui punti sensibili che il contesto familiare, affettivo e relazionale offre allo sciacallaggio altrui, essendo un luogo di altissima sensibilità ed enorme forza emotiva, dunque facilissima preda di ingiustizie.  È un dato ormai assodato che la separazione sia un enorme business, non solo per le Istituzioni e gli operatori ma anche per le parti coinvolte privilegiate, a danno dei sacrificati (cosa che è anima stessa del business, ossia coinvolgere con parti di interessi i soggetti che concorrono al “monte capitale” mettendo alcuni in posizione di vantaggio su altri per invogliarli a collaborare) in una spirale di do ut des devastante non solo per la persona, peggio se minorenne, ma per l’intero equilibrio socio-relazionale, ed in sostanza eleggendole destinatarie di privilegi arbitrari purché stiano al gioco.

Non mi lancio qui in disquisizioni sul significato generale del termine “etica”. Specifico che per me è una condizione di onestà matura, responsabile, illuminata, che si poggia su un equilibrio non egoistico di diritti e doveri. Posto che oggi chiamiamo giustizia il complesso istituzionale che la amministra (legislativo ed esecutivo: il Palazzo di Giustizia, il Ministero di Giustizia), la sua aderenza al concetto di Giustizia reale, di equità, è appunto materia da trattare attraverso l’etica. E quando si tocca con mano che la giustizia non è più Giustizia, è l’etica responsabile che deve entrare in campo.

Un uomo non può farlo.

Per fare un esempio, se ci si rende conto che la legislazione in una certa materia è insufficiente, si chiede alla politica di intervenire per specificarla meglio. Su cosa dunque si basa la politica per affrontare tale avanzamento? È davvero sufficiente affidare alla discussione social o mediatica l’approfondimento di tali necessità? Che ruolo hanno i pensatori, gli intellettuali, gli esperti? Sono liberi di essere impopolari pur di rimanere coerenti? Ed i media, organi di diffusione diventati luoghi di opinione, hanno la preparazione e l’obiettività sufficiente per questo passaggio? Un direttore di giornale, un politico, possono oggi permettersi di anteporre l’equità all’interesse? La verità all’opportunità? Sono davvero nel luogo giusto per essere liberi o hanno degli enormi debiti di popolarità per poter ragionare eticamente?

La principale obiezione che viene opposta al mio interessamento, dato che sono coinvolto personalmente in questo tipo di devastazione, è che sarei “troppo coinvolto per essere obiettivo”. Un po’ come se chi ha visto la guerra non potesse far parte della Costituente, o se i genitori di un ragazzo morto in un incidente stradale non potessero battersi per modifiche al Codice della Strada, un malato di cancro fosse troppo coinvolto in prima persona per occuparsi delle leggi che lo tutelano. Sembra incredibile ma, se in tutti gli altri campi viene considerato un punto a favore la conoscenza reale di un fenomeno, nel campo del diritto di famiglia no. O meglio: un uomo non può farlo. Difatti ciò non accade con le madri, che anzi sono ben viste se si occupano di tutela dei minori “perché in quanto mamme sanno quello che fanno”, indipendentemente dalla carica di rabbia o di frustrazione che le accompagna.

Tramutare l’angoscia in un patrimonio di conoscenza.

Questo punto ci riporta alla convinzione che gli uomini siano accecati dalla separazione, che perdano il lume della ragione, una massa di animali inferociti che sbavano invece di ragionare. Ecco dunque che per questo non può esistere impegno civico sulla paternità se non vi si affianca anche quello della rivalutazione della figura maschile, vista finalmente come soggetto che anche attraverso la sofferenza può conservare la propria obiettività. Quanto è forte dunque il freno etico, egualitario, negli esseri umani di entrambi i sessi, per rinunciare ad un privilegio in nome della giustizia verso un simile, soprattutto se coinvolge gli affetti più cari? Quanto siamo capaci di incanalare la rabbia e la frustrazione, la disperazione e la voglia di migliorare, quanto sappiamo tramutare l’angoscia in maturità, per farle diventare un patrimonio di conoscenza necessario al cambiamento e diventare soggetti troppo coinvolti per non agire nel cambiamento? Domande a cui in questa sede cercheremo di dare una risposta.



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