La Fionda

Elisabetta e il cortocircuito femminista sulla prostituzione

In questo articolo si parla della signora Elisabetta (nome d’arte), una 51enne barese che, tra il continuare a fare la donna delle pulizie e la prostituzione, ha scelto quest’ultima opzione. D’altra parte, dice, tra le due attività ci sono «quasi quattrocento euro al mese di differenza, praticamente mezzo stipendio». Se non che quello da dipendente non basta per pagare l’affitto, la cura di se stessa e della madre anziana. E così la scelta è diventata obbligata, da un lato, ma Elisabetta la racconta come una scelta semplice e indolore. A nostro parere, le scelte e le decisioni di Elisabetta sono da rispettare, anche se non vengono considerate universalmente condivisibili. Anzi, le solite frange barricadere del femminismo vittimista sostengono il contrario: ogni prostituta è sfruttata dagli uomini, tutti, senza alcuna differenza.

È sfruttata economicamente, poco importa se da un’organizzazione criminale o da un singolo pappone di periferia. La straniera è sfruttata perché viene portata in Italia con l’inganno, facendole credere che per lei si apriranno le porte di Mediaset mentre invece finirà sul marciapiede. L’italiana è sfruttata perché il patriarcato le preclude il mondo del lavoro, le sovrastrutture patriarcali la oggettificano, l’oppressione patriarcale la schiavizza, i pregiudizi patriarcali non le lasciano alternative. Entrambe, sia l’italiana che la straniera, sono umiliate, degradate e sfruttate da tutti gli uomini che pagano per frequentarle, facendo leva sul proprio strapotere economico di maschi/bianchi/etero/figli sani del patriarcato al quale la donna è costretta a sottomettersi. Tutti gli uomini, sia il ricco industriale che invita sul suo yacht escort d’alto bordo per festini all night long a base di alcol e coca, sia il cassintegrato che sacrifica 30 euro del già magro sussidio per una sveltina in macchina.

prostituzione

Chi sfrutta chi?

C’è chi sostiene che ogni rapporto sessuale sia uno stupro, persino i rapporti coniugali tra moglie e marito, a maggior ragione anche ogni rapporto mercenario non può essere che uno stupro. Fiumi di inchiostro sono stati versati tentando di negare che la prostituzione può anche essere una scelta volontaria e consapevole poiché molto conveniente, non richiede formazione specifica ed è estremamente remunerativa, per di più esentasse. Poi arriva Elisabetta e smonta in un attimo tutte le teorie vittimistiche. Dice chiaro e tondo che vuole essere padrona delle proprie scelte e quella di fare sesso a pagamento è una sua scelta. L’alternativa l’aveva, ma l’ha scartata perché meno remunerativa rispetto al mestiere più antico del mondo. Ha provato a cambiare vita ottenendo un lavoro con tutte le garanzie contrattuali ma in poco tempo lo ha mollato poiché ha capito che sarebbe stato conveniente tornare sul marciapiede.

C’è da aggiungere che la nuova frontiera dell’automercificazione, Onlyfans, consente la vendita del proprio corpo pur senza rapporti concreti. Almeno non sempre, poi qualcuna dichiara di incontrare di tanto in tanto i propri fans in cambio di un “regalino” in più. Tutte attività volontarie, autogestite, molto remunerative (sempre esentasse) e sbandierate orgogliosamente ai quattro venti come fulgida testimonianza dell’emancipazione imprenditoriale femminile. Non tutte ovviamente possono vantare lo stesso volume d’affari, ma alcune starlette di Onlyfans diventano famose anche fuori dal web, vengono intervistate da giornali e tv raccontando di farsi pagare profumatamente per mostrare solo particolari del corpo, come la boccuccia o i piedini. La domanda quindi più che legittima è: chi sfrutta chi?



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