Proseguiamo, a campagna elettorale già cominciata, con le nostre riflessioni rispetto alle elezioni che ci attendono a fine settembre, il tutto ovviamente in un’ottica declinata preferenzialmente sulle nostre tematiche. Abbiamo iniziato ad ascoltare la propaganda di tutti, tenendo lo sguardo attento anche al quadro internazionale, da cui volenti o nolenti non si può prescindere, e l’unica espressione degna di rilievo è il tentativo di ieri da parte del Movimento 5 Stelle e del PD di imporre “la parità di genere nel linguaggio parlamentare“. Si trattava di una modifica al regolamento interno delle Camere, proposta dalla grillina femministissima Alessandra Maiorino, che ha finito per schiantarsi contro l’astensione di buona parte della destra. Niente “Presidenta”, “Ministra” e sciocchezze simili, insomma: fallisce la ruffianeria all’elettorato femminista, portata avanti per altro in modo improprio, con un blitz a Camere sciolte, e con l’ignoranza tipica dei pentastellati. Di fronte alla bocciatura per mancanza del numero legale, infatti, pare che la Senatrice Maiorino si sia risentita, venendo rimbrottata dalla Presidente Casellati: «se conoscesse i regolamenti interni saprebbe che per proposte del genere serve il numero legale». Invece la Senatrice non li conosce. Ma c’è qualcosa che i Cinque Stelle conoscono, poltrone a parte?
Non che servisse quest’ultimo exploit per depennare dalla lista dei votabili i pentastellati o il PD. Le loro performance relativamente alla parità di genere nel corso di questa legislatura sono ampiamente note, dall’opposizione alla riforma della L. 54/2006 al Codice Rosso, con l’indubitabile correità della Lega su quest’ultima, dunque si tratta solo di calcare in modo ancora più deciso la cancellatura di quelle tre forze politiche tra le votabili nella competizione per la prossima tornata elettorale. La Lega, per parte sua, mostra la sua inaffidabilità anche con i persistenti tentennamenti nel prendere posizione rispetto alle disposizioni sanitarie restrittive che hanno caratterizzato l’ultimo governo. La massa dei suoi elettori, dopo le innumerevoli ambiguità parlamentari, chiede a gran voce uno schieramento netto per l’abolizione (se non addirittura la messa fuori legge) del green pass e di ogni altro congegno atto a incasellare dal lato digitale i cittadini, restringendo al minimo possibile gli spazi di libertà costituzionalmente garantiti. Su questo tema la Lega balbetta, forse a causa di una coscienza parecchio sporca, concentrandosi sulle sue tematiche consuete, dunque più rassicuranti: pensioni (con nonno Silvio, in exploit da venditore di padelle, che riciccia il suo storico aumento a 1.000 euro) e contrasto all’immigrazione.
Sinistra e destra divise da blande sfumature.
Tematiche di fatto irrilevanti, nel momento in cui si è (come si è) a un punto di svolta della storia italiana ed europea in generale. Ne è simbolo la genialata di Giorgia Meloni, quella che ai tempi delle provocazioni di Obama contro la Russia si spettinava a difendere “l’amico Putin”, e che ora, pur di accreditarsi come futuro Presidente del Consiglio, batte i tacchi agli ordini di Washington e incontra l’ambasciatore di Taiwan, generando una forte irritazione della Cina. La leader di Fratelli d’Italia è al momento l’espressione più chiara della posta in palio in questa tornata elettorale. Siamo davanti a una candidata che definisce se stessa “patriota” e “patrioti” gli italiani che la voteranno. Il patriottismo è un sentimento nobile e quasi dimenticato, soprattutto è una pulsione assoluta, che non ammette contraddizioni. Come quella di dichiararsi anche atlantista. “Patriota e atlantista” è una contraddizione in termini. Non si può rendersi vassalli di un’alleanza internazionale guidata da un paese estero e contemporaneamente avere come priorità il proprio paese. Il frangente dell’incontro con l’ambasciatore di Taiwan ne è la prova provata. Sì ma, ci si chiederà, cosa ha a che fare questo con le tematiche che ci interessano?
Ha a che fare molto. La wokeness, ovvero quella “filosofia” tossica che include in sé l’omosessualismo isterico e il femminismo suprematista che vediamo far danni da anni, ha un luogo di nascita, gli USA, e strumenti propulsivi, l’ONU, la NATO, l’UE e altri, ben noti. Da quelle lande di immiserimento etico ed intellettuale arrivano concetti del tipo “anche gli uomini partoriscono” o “le donne sono sempre state tutte oppresse dagli uomini e ancora oggi lo sono”. Asservirsi a quella visione del mondo, che è anche progettazione del futuro, significa acquisire questi principi come condizione di legittimità. Ecco allora il dilemma: se il nemico numero uno, dal nostro punto di vista, è il PD e la sinistra liberal in generale, come opporsi se anche la destra si allinea allo stesso stream politico culturale? Detta in termini più popolari: come scegliere tra il marcio e la muffa, se entrambi hanno la loro origine da una fonte alla quale tutte le forze politiche dichiarano apertamente di volersi abbeverare? Elevandosi un po’ dalle piccole beghe nazionali e dalle baruffe tra politicanti locali, si ha un quadro chiaro della portata del prossimo appuntamento elettorale e si capisce allora che non si tratta più di scegliere tra destra e sinistra, distinguibili soltanto per alcune blande sfumature e per la retorica che usano. Si tratta di scegliere tra due idee di mondo opposte e contrapposte.
Chi è contro la “wokeness”?
Vi è dunque una cornice, che è quella marchiata a stelle e strisce, quella del mondo unipolare dominato dall’egemonia statunitense, sia dal lato militare che da quello socio-culturale. È la cornice in cui l’Europa vive dal secondo dopoguerra, che si è fatta sempre più stretta e soffocante negli ultimi decenni. E se all’inizio il vassallaggio verso gli USA portava qualche vantaggio in termini economici e difensivi, oggi l’oppressione di Washington non porta più con sé nulla di significativo: il suo modello etico-culturale è pura fiction e la sua primazia militare è soltanto un ricordo. Ad oggi quel vassallaggio è diventato apertamente dannoso, come dimostra l’impasse europeo rispetto ai temi energetici e più generalmente economici. Da quel lato era in atto un aggancio graduale del vecchio continente alle nuove dinamiche che si stanno sviluppando a est di Trieste: una rete di grandi potenze e paesi emergenti alleati sempre più strettamente e collegati da interessi economici coincidenti e di grande respiro. Caratteristica di questi paesi: sono tutti in pieno possesso della propria sovranità, tutelano saldamente le proprie tradizioni socio-culturali e procedono tra di loro per accordi multilaterali nel pieno rispetto della reciproca identità nazionale. Quell’avvicinamento è stato violentemente stroncato proprio dagli USA. Da un lato c’è dunque la cornice del “New World Order” americano, dall’altro c’è, fuori cornice, un progetto già partito e già vincente di “Fair World Order” cui partecipano Russia, Cina, India, Iran, Sud-Est asiatico, mentre i paesi dell’Africa e del Sud-America ricchi di materie prime corrono per unirsi a una cordata che, al netto delle varie e immancabili anomalie interne di ogni partecipante, è comunque orientata a un futuro diverso e più equilibrato.
Ecco dunque la vera scelta da affrontare in cabina elettorale: restare nella cornice, asserviti a una leadership in disfacimento e per questo impegnata più a trascinare in basso le proprie colonie che non a esaltarne le eccellenze, oppure recuperare in pieno la propria sovranità e agganciarsi alla prospettiva di benessere già impostata dai protagonisti futuri di una leadership multipolare? Votare uno qualunque dei partiti tradizionali che oggi si affannano a esibire il loro posizionamento entro la cornice porterà il nostro paese verso la prima opzione, con tutti i disastri che comporta. Occorre dunque cercare tra le proposte che si pongono apertamente fuori dalla cornice e votare quelli, se si vuole un futuro degno di essere vissuto. Sì ma quali proposte ci sono “fuori cornice”? Ne stiamo monitorando un paio, che hanno già dichiarato la loro impostazione generale, estremamente interessante, ma che ancora non hanno diffuso i loro programmi elettorali. Non è un dettaglio da poco, dato che dovranno passare al nostro vaglio sul capitolo “parità di genere”. Ad alcuni, che si mostrano a parole particolarmente coraggiosi, abbiamo anche scritto, mettendoci a disposizione per contribuire alla parte di programma elettorale relativo alle pari opportunità. Le poche risposte ricevute, al momento, non sono incoraggianti, va detto. Non demordiamo comunque e continuiamo a sperare che chi ambisce a porsi “fuori cornice” su alcuni aspetti, non abbia timore a farlo anche rispetto a quella “wokeness” che ha avvelenato il terreno socio-culturale occidentale in tutti questi anni. Continueremo a monitorare e vi faremo sapere le nostre impressioni.