Elena Buccoliero, ex giudice onorario presso il Tribunale dei Minori di Bologna, attuale Presidente della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati, autrice dei due opuscoli (questo e questo) ancora disponibili sul sito del Tribunale di Bologna dove si asserisce a chiare lettere che il violento e abusante è sempre e solo l’uomo o il padre, attualmente indagata presso la Procura di Ancona con l’accusa di aver reso false dichiarazioni su fatti collegati al caso “Angeli e Demoni” (affidi illeciti a Bibbiano e in Val D’Enza), autrice di uno dei tanti articoli diffamanti contro Giuseppe Apadula, ex marito di Laura Massaro, tanto da costringere il blog che l’aveva ospitata a pubblicare una replica di Apadula stesso, è anche poetessa. Lo scopriamo scorrendo il sito di informazione locale “Ferrara Italia”, dove la stessa Buccoliero tiene una rubrica fissa chiamata “Contro verso”. Lì racconta di un caso di «vita vissuta» dove un uomo violento (ovviamente) verso moglie e figli si sarebbe giustificato dicendo che la moglie si meritava le botte perché spendeva i soldi per le bollette invece che per il vino a lui destinato. Una vicenda talmente stereotipata e insensata da risultare credibile quanto un’accusa di violenza sessuale da parte di una ventenne che abbia partecipato a un coca-party in casa di qualche ricco rampollo, o quanto la reale esistenza del divario salariale di genere, o quanto una qualunque definizione di “femminicidio”… insomma, capito no? Ebbene, su questo tipo di vicenda, la Buccoliero scrive una poesia, dove fa parlare, impersonandolo, quel mostro d’uomo.
Non la riporteremo qui, non vorremmo ci querelasse per questioni di copyright (la signora ha la querela facile…). Chi vuole può leggerla a questo link. Ci limiteremo a un’analisi puramente letteraria. È una lirica in sei strofe di quattro versi ciascuna, con rima baciata secondo la struttura AABB. La poetessa Buccoliero non ritiene di dover usare la metrica, dunque si affida al più facile verso sciolto, a detrimento della ritmica, che alla lettura dà un senso di zoppìa non proprio piacevole. Alterna registro aulico, con l’uso di parole ormai nobilitate dall’obsolescenza (come «tapino»), a un registro più popolaresco, con parole tratte da dialetti locali (come il verbo romanesco «cecare»). Non mancano accenni metapolitici laddove fa dire al bruto «io che sono il duce», a segnalare che non solo l’uomo pretende di comandare, ma lo fa in modo tirannico. C’è poi anche la sperimentazione, con tanto di licenza poetica quando, per farsi venire una rima e poter parlare della violenza di lui, tronca la parola “naso” in “nas” nel verso «e se ti rompo il nas». Uno sforzo d’ispirazione notevole, insomma, che in buona misura rende in versi il contenuto dei due sopracitati opuscoli. Il concetto veicolato è sempre lo stesso: l’uomo, il maschio, il padre, è il male, il carnefice, l’aguzzino; la donna è l’angelo percosso, l’agnello sacrificale, la vittima predestinata.
Rispondiamo con la nostra: “La moglie vittima”.
Ora, noi amiamo le sfide, ma soprattutto amiamo la poesia. E allora, non ce ne voglia la Dr.ssa Buccoliero, vorremmo anche noi cimentarci in un piccolo componimento che possa in qualche modo accostarsi come antitesi alla sua preziosa composizione. Noi, a differenza sua, amiamo le regole e le cose complesse, dunque ci costringeremo a una metrica precisa (il novenario) e a una rimatura un po’ più articolata (ABAB). Alla sua lirica “Il marito afflitto”, dunque, rispondiamo con la nostra: “La moglie vittima”:
Goduta tra aitanti stalloni
la giovane età spensierata,
trovato ho un gonzo tra i buoni,
mi sono alla fine accasata.
Il fesso sgobbava per bene
ma era di umore un po’ cupo,
allora l’ho messo in catene
sfornandogli in breve un bel pupo.
Tra l’allenatore e il collega
io faccio un po’ ciò che mi pare,
mi scopre e ne nasce una bega,
ci tocca così separare.
In quattro e quattr’otto gli sparo
di abusi un’accusa fasulla,
m’acchiappo la casa e il denaro
e il bimbo lo vede per nulla.
I miei sacrosanti diritti
io voglio, perdindirindura,
esigerli e prenderli tutti,
lo sanno anche in magistratura.
Lo dicono anche in Senato:
noi donne subiamo i violenti.
Lui dorme in un’auto, schedato,
ed io vivo senza rimpianti.