Esistono esultanze che sono vergognose di per sé, per il solo fatto di venire pronunciate. Quelle esultanze scendono di livello diventando indegne quando si sporcano di ideologia ed è un personaggio pubblico investito di compiti istituzionali a esprimerle. È il caso di questo tweet pubblicato da quello che può essere definito il più settario e sessista ministro delle “pari opportunità” mai avuto dacché esiste quel dicastero: Elena Bonetti.
La notizia è vera. Un cretinetti, a cui avevano appioppato il braccialetto elettronico a seguito di una denuncia per stalking dalla ex, ha pensato bene di presentarsi davanti al posto di lavoro di quest’ultima: il dispositivo è scattato, la donna ha chiamato le forze dell’ordine e ora il cretinetti passerà l’anima dei guai. Gli articoli che ne parlano riferiscono di “atteggiamento minaccioso” (???) da parte dell’uomo, altri dicono che era “noto alle forze dell’ordine” (???), insomma si fa ogni sforzo per dipingerlo come un pericoloso e losco figuro. Di fatto l’uomo era disarmato e solo in un articolo si riportano alcune sue frasi, pronunciate durante l’arresto: «volevo solo parlarle, volevo solo sapere perché mi ha lasciato». Vero o falso?
Il mito del vittimificio dice che è proprio in questi “colloqui chiarificatori” che in genere succede il patatrac di violenze e omicidi, ma si tratta di un mito con scarse evidenze che lo comprovino. Come vedremo tra poco, le evidenze dicono ben altro. Nel caso in questione gli unici fatti certi sono due: il primo è che solo un cretino o un disperato può avvicinarsi alla ex mentre indossa un braccialetto elettronico: dunque si può concludere che il protagonista della vicenda non sia esattamente un fulmine di guerra. Il secondo è che l’uomo, per quanto denunciato, è e rimane innocente fino a prova contraria e a sentenza emessa oltre ogni ragionevole dubbio. Tutto il resto è una costruzione mediatica, ideologica e politica orientata a dire che l’uomo era un bruto pronto a fare violenza alla ex, picchiarla, torturarla, ucciderla, e che grazie al braccialetto «una donna è salva dalla violenza», come cinguetta fantasiosamente il ministro, anzi la ministrA.
La violazione dei diritti di difesa.
Dato che la Bonetti ritiene di potersi dilettare, insieme ai media mainstream, a ipotizzare scenari e film dell’orrore a senso unico, ci sentiamo in diritto anche noi di prefigurare qualche scenario di fantasia. E se quest’uomo fra qualche anno venisse assolto da un giudice? Non è un’ipotesi così remota: come è stato rilevato da tempo, le denunce di donne contro uomini per reati tipicamente “di genere” finiscono per metà archiviate e per il restante 40% si concludono con un’assoluzione dell’imputato. Facendo due conti significa un 90% di false denunce, depositate da donne intraprendenti per le più svariate ragioni (vendetta, ritorsione, eliminazione di un ex coniuge scomodo, questioni economiche, gelosia e tanto altro) e sotto i più pressanti stimoli (centri antiviolenza). Ebbene, in caso di assoluzione, l’uomo avrebbe ogni diritto di chiedere anche la revoca delle misure cautelari (compreso l’ordine di indossare il braccialetto) prese nella fase attuale. Se non fosse che chi ci ha provato si è vista rigettata la richiesta perché «i sospetti a carico della parte ricorrente erano in ogni caso fondati al momento in cui l’avviso era stato emesso». Il sistema è cioè impostato affinché la macchia su un uomo denunciato, anche se poi pienamente assolto, resti per sempre, ben conservato in una lista di cattivi pudicamente chiamata “banca dati”, grazie alle meravigliose disposizioni di legislatori e ministri come la Bonetti.
Stiamo volando troppo con la fantasia? Per nulla: niente miti da queste parti, qui si parla solo avendo ben presente la giurisprudenza e fatti realmente accaduti. In questo caso, ad esempio, un padre viene accusato di abusi sessuali dalla figlia: sono accuse false, depositate per vendicarsi dell’opposizione del genitore a che lei, adolescente, avesse una relazione con un trentenne. In tribunale la falsità viene fuori, l’uomo viene assolto, ma intanto ha dovuto indossare per due anni il braccialetto elettronico. Ma c’è dell’altro: in questa storia vediamo un uomo, “braccialettato” a seguito di una denuncia dalla ex, che casualmente passa con l’auto vicino alla casa della ex stessa. Il dispositivo impazzisce (come gran parte di quei dispositivi), arriva la polizia e viene arrestato, ma il giudice lo assolve perché il fatto non costituisce reato. Reato è semmai, diremmo noi, impedire la libera circolazione di una persona sulla base di una mera ipotesi di reato in un paese dove il 90% delle denunce di quel tipo risulta infondato. Queste vicende arrivano anche a tracimare nel ridicolo: in questo caso non c’è di mezzo il braccialetto elettronico, ma misure cautelari restrittive, che poi sono la stessa cosa. Un uomo si presenta nel tribunale dove si discute la denuncia a suo carico per stalking depositata dalla ex, ugualmente presente in tribunale. L’uomo però ha un divieto di avvicinamento e la sua presenza in tribunale, vicino alla donna, fa scattare l’arresto. Roba che pure Kafka si ribalterebbe dalla sedia. Per la cronaca: tanto per cambiare l’accusa di stalking poi è risultata farlocca e l’uomo è stato assolto con formula piena.
Un pensiero egemonico e tossico.
Nonostante questi esempi, che sono soltanto alcuni, i più clamorosi, tra quelli finiti in cronaca (e chissà quanti altri si verificano senza finire in cronaca…), il ministro Bonetti esulta per una storia di cui non si hanno dettagli sufficienti per dire che davvero una donna “è stata salvata dalla violenza”, ma che ha piuttosto al suo centro la totale sovversione del principio di presunzione di innocenza. Dietro la vicenda ci sono le conseguenze di quanto stabilito dal folle “Codice Rosso” fortemente voluto dalla leghista Giulia Bongiorno: se una donna denuncia, si arresti l’uomo oggetto della denuncia, così, alla cieca, a prescindere. Misure cautelari e restrittive come se non ci fosse un domani. Poi, con calma, senza fretta, si verificano le cose. O meglio, come osservava tempo fa l’ex PM Antonio Di Pietro, «si cerca il reato, non il colpevole di un reato certo, realmente avvenuto». Un modello derivato da quella porcheria che è il sistema giudiziario americano, in questi casi coniugato con il delirio eversivo dell’impostazione iperfemminista spagnola, ben rappresentata dall’assessore romano Lucarelli la quale, riferendosi allo stesso fatto di cronaca, inneggia alle liste di proscrizione (sempre pudicamente chiamate “banca dati”). Questo è, a tutti gli effetti, ciò che ha in mente il ministro Bonetti nel momento in cui promette, in combutta con le altre “ministre”, un rafforzamento di questo tipo di misure: l’anomalia più folle elevata al rango di disposizione di legge, con un orientamento che fa a pezzi, tra gli altri, l’art.3 della Costituzione e diversi pilastri del sistema giudiziario, come correttamente sentenziato di recente dal Consiglio di Stato su quell’aberrazione totale che è l’ammonimento del Questore (altra misura preventiva palesemente incostituzionale).
Si noti che il ministro Bonetti, oltre ad auspicare l’ampliamento di misure già censurate dal Consiglio di Stato come «violazione dei diritti di difesa», parla di «garantire la sicurezza alle donne che denunciano». E ad ogni altra possibile categoria che denunci, invece, non è necessario garantire quella sicurezza? Ferma restando, come già detto, la spaventosa diffusione della prassi delle false denunce di donne contro uomini, per quale logica la comunicazione politica e quella generalista si orientano così ossessivamente soltanto su una specifica categorizzazione delle violenze? Gli abusi dei normodotati sui disabili contano meno, dunque. Idem quelle dei giovani sugli anziani o degli adulti sui bambini. Uguale si può dire delle violenze degli eterosessuali contro gli omosessuali (o viceversa), o degli autoctoni contro gli immigrati (e viceversa). Tra le tante categorizzazioni possibili, una sola occupa ossessivamente la zucca vuota dei decisori (e delle decisorE), sebbene sia noto che l’Italia sia il paese europeo con il più basso tasso di violenza contro le donne (dati European Agency for Fundamental Rights) e sebbene sia un fatto che le violenze siano assolutamente bidirezionali. Solo nel 2021 abbiamo contato 85 casi di “stalking al femminile” soltanto tra quelli apparsi sui media, un fenomeno che dati ISTAT danno attorno al 30%, una quota non trascurabile. Non può esserci altra spiegazione a questa distopica unidirezionalità della comunicazione politica e generalista se non una pulsione ideologica e settaria a criminalizzare quanto più possibile la sfera maschile. Il tutto nella più totale acquiescenza e talvolta partecipazione attiva di un’intera opinione pubblica indottrinata da un pensiero tanto egemonico quanto tossico.