Il programma televisivo “Quarto Grado” (Rete 4) si è occupato di recente della vicenda dello stupro della diciottenne durante un festino hard organizzato dall’imprenditore Alberto Genovese. La vicenda e l’arresto dell’uomo, avvenuti quasi a ridosso della celebrazione del 25 novembre, avevano dato la stura a un’infinità di polemiche e chiavi di lettura. C’è stato chi, dall’amplissimo e potentissimo fronte femminista, ha colto l’occasione per sottolineare una volta di più la “cultura dello stupro” che pervade ogni essere di sesso maschile su questa terra e dunque per condannare tutti gli uomini alle fiamme del Codice Penale, oltre che dell’inferno. Ma c’è anche stato chi, minuta ma solida minoranza, ha cercato di attenersi ai fatti, dando agli eventi una chiave di lettura meno ideologica e più realistica. Tra questi ci sono giornalisti di calibro e anche, molto più modestamente, noi de “La Fionda”, che non abbiamo mancato di sottolineare come la violenza sessuale denunciata andasse inquadrata in un contesto di degrado generale indotto dalla ricchezza, dalle droghe e dagli eccessi legati a determinati “festini” dove il sesso, oltre a essere spesso consenziente, è anche il risultato di una transazione consapevole da parte di tutti i contraenti. Ciò nulla toglieva all’eventuale colpevolezza di Genovese nell’utilizzo della violenza ai danni della giovane, ma per lo meno si sgombrava il campo da letture ideologiche.
Questa seconda chiave di lettura, è noto, ha sollevato un monte di polemiche, con parlamentari ripescate (Laura Boldrini) che mettono su il broncio contro direttori di redazioni, opinioniste furenti contro i media in generale e contro chiunque mettesse in dubbio che la ragazza fosse stata “seviziata, torturata, stuprata per ore”. Il susseguirsi di altri eventi, la sinistra celebrazione sotto tono delle liturgie del 25 novembre, poi spazzate via dalla morte di Maradona, hanno mandato in archivio la vicenda di Alberto Genovese, in attesa degli sviluppi processuali. “Quarto Grado” ha però riportato tutto in auge con un’inchiesta che ha lasciato alcuni ammutoliti, altri (tra cui noi) con un mezzo sorrisetto sulle labbra. In breve: il 28 novembre la ragazza ha incontrato alcune persone dell’entourage di Alberto Genovese, durante una cena. Poco dopo la fanciulla decide di farsi rappresentare dall’avvocato Luigi Liguori, il cui ufficio è di proprietà di uno dei presenti alla cena. Così commenta, un po’ beffardamente, Luigi Nuzzi, conduttore della trasmissione: “di sicuro, se quelle persone si sono ritrovate in un ristorante nel bel mezzo di una pandemia, non è stato per parlare di araldica”. A cosa si alluda, quale sia il pensiero che sfiora istantaneamente la mente di tutti è piuttosto chiaro: la giovane ha probabilmente abboccato (o è stata abboccata da) soggetti legati a Genovese per concordare una versione riduttiva dell’accaduto in cambio di denaro. Nelle ipotesi che circolano si fanno anche cifre precise, tipo una “buonuscita” di 5 milioni di euro.
Banditesse all’assalto del patrimonio di Alberto Genovese.
I media ne dicono tante, ogni giorno. Gran parte di ciò che dicono è destituita di fondamento, sono fake news per ottenere spettatori, audience e click. Se la ricostruzione di “Quarto Grado” fosse una bufala, verrebbe smentita in breve e nulla cambierebbe. Ciò non accade, anzi: i due legali, Luca Procaccini e Saverio Macrì, inizialmente designati nel pool difensivo della presunta vittima annunciano, subito dopo la messa in onda della puntata, di rinunciare all’incarico. Insieme a loro danno forfait anche i medici, psichiatri e psicologi, che avrebbero sostenuto la ragazza non solo dal lato clinico ma anche da quello giudiziario. “Che siano vere o false le ricostruzioni di Quarto Grado, abbiamo preferito fare un passo indietro”, dicono diplomaticamente. Sanno benissimo che è tutto vero, ma vogliono uscirne giustamente con dignità. A conferma parlano di una “corte dei miracoli” che ha iniziato a circolare attorno alla presunta vittima, probabilmente premendola verso direzioni specifiche. Sia ben chiaro: non c’è nulla di illegale in accordi extra-giudiziali con passaggi di denaro, purché il tutto sia gestito dagli avvocati e all’interno del procedimento in corso. Qui però pare che gli abboccamenti siano stati molto informali. Lo sottolineano anche gli avvocati uscenti: “se questa trattativa fosse stata portata avanti, a nostra insaputa, da mediatori vicini a Genovese e rivolta direttamente alla ragazza, si tratterebbe di un’azione illegale”, specificando in aggiunta che loro non avrebbero mai accettato “aggiustamenti economici” di alcun tipo.
Lo scenario dunque cambia e riporta la vicenda dell’attico di Milano al centro delle cronache, anche se sotto tono, vista la scomodità degli sviluppi per il narrato comune. Saremmo infatti davanti a una ragazza che, come altre, partecipa per propria convenienza a feste, festini e festucce molto particolari, dove i vol-au-vent sono sostituiti da tavolate di cocaina e droghe varie e alle partite a Scarabeo sono sostituiti rapporti sessuali multipli e incrociati. Come quella convenienza si concretizzasse non si sa: cronache da quel mondo dicono che talvolta basta garantire un’ampia disponibilità di droga, talaltra regalie concrete (viaggi, capi d’abbigliamento, gioielli), talaltra ancora denaro sonante. Esisterebbe un modo, a questo punto, per far sì che quel piccolo investimento possa rendere in un colpo molto molto di più. Il riccone foraggiatore, Alberto Genovese nella fattispecie, si trasforma così in una vera e propria banca che però, con il suo arresto, non ha più i caveau e le casseforti chiuse e vigilate, ma anzi spalancate e indifese. C’è la possibilità, con una semplice denuncia, facendo passare per straordinario ciò che in certi incontri è ordinario, di ficcare le mani in un mucchio di soldi e di filarsela via con un bottino enormemente più grande del semplice gettone di presenza a questo o quel festino. Le accuse di violenza sessuale a scopi di estorsione, oltre tutto, sono una delle casistiche più frequenti nel novero delle frequentissime false denunce, accanto a quelle per vendetta o per un candeggio pubblico della privata coscienza (il cosiddetto “ripensamento”). E così Alberto Genovese si trova ora nelle condizioni di dover vedere i propri vizi e vizietti messi in piazza, di rischiare un buon numero di anni di galera, e di assistere all’assalto delle banditesse al suo patrimonio.
Emerge una realtà vile e miserabile, quindi probabilmente la più vicina al vero.
Ci hanno provato le attiviste di “Non Una di Meno” a rivendicarlo, senza però ottenere nulla. Non hanno pensato che sarebbe stato più semplice presentare una denuncia contro Genovese, accusandolo (falsamente s’intende) di averle molestate o stuprate. Non avrebbe retto comunque, essendo le attiviste femministe mediamente similari più a un cofano incidentato che a una ragazza da festino hard, ma un tentativo potevano farlo. Ben più astute sono le altre ragazze che in qualche modo negli ultimi tempi si sono trovate a frequentare i divertissement di Genovese. Si dev’essere sparsa la voce che la banca non ha più guardie, le porte sono aperte, così come le casseforti, ed ecco allora che, dopo lunga e tormentata riflessione, cominciano a risalire dalla memoria dolorosissimi ricordi di più o meno recenti abusi che l’imprenditore avrebbe perpetrato a innocenti fanciulle convinte di trovare in lui un asceta del pensiero filosofico contemporaneo. Ecco allora che salta fuori una ventitreenne che a luglio avrebbe partecipato a un altro festino di Alberto Genovese, stavolta a Ibiza, in un posto chiamato emblematicamente “Villa Lolita”. La deposizione della ragazza, cui se ne stanno aggiungendo altre, parla molto chiaro. Così mette a verbale: “i primi giorni di vacanza […] li abbiamo trascorsi normalmente, facendo feste, bagni in piscina, e consumando droghe (cocaina, 2CB e pasticche di vario genere) che Alberto metteva liberamente e gratuitamente a disposizione di tutti gli ospiti, poste in dei piatti in sala… Ad un certo punto della serata io, Alberto e altre ragazze siamo andate nella sua camera e abbiamo assunto della cocaina”.
Aggiunge poi di aver sniffato una polverina rosa, di aver perso i sensi e di essersi risvegliata il mattino dopo dolorante dappertutto e con i vestiti strappati. Questo induce il GIP Tommaso Perna a scrivere, nella sua ordinanza di arresto, che Alberto Genovese (corsivi nostri) “abusa sessualmente delle donne drogandole a loro insaputa” e che “ha agito prescindendo dal consenso della vittima“, aggiungendo come chiosa drammatizzante il ben noto cliché di aver trattato le ragazze “come bambole di pezza”. Una ricostruzione in piena scuola Fabio Roia, non c’è dubbio, molto conforme al tipo di rappresentazione del maschio bruto che tanto piace al sistema di potere e di comunicazione che comanda nel nostro paese e non solo. E che, in realtà, rischia di essere una mera pantomima. Mentre giudici e media scrivono queste cose, infatti, un piccolo esercito di giovani e intraprendenti fanciulle mascherate come la Banda Bassotti scivola nei caveau della “Banca Alberto Genovese”, che la diciottenne di Milano è riuscita ad espugnare, aprendola all’assalto di tutte le interessate. La denuncia di violenza sessuale può essere presentata entro sei mesi dalla presunta commissione del fatto: tra costoro chi doveva farsi i propri conti se li è fatti e si presenterà di sicuro con una storia sovrapponibile a quella della diciottenne del festino di Milano in una mano e un conto a sei zeri nell’altra. Questa è la realtà che sta emergendo, la più vile e miserabile, quindi probabilmente la più vicina al vero. Che nulla toglie in termini di responsabilità e di biasimo etico per lo stile di vita di Alberto Genovese, né a ben vedere nemmeno a quello delle ragazze che accettavano di sollazzarlo. Sono realtà sempre esistite e che sempre esisteranno. Quello che conta è che questa realissima e grettissima realtà sbriciola in un secondo tutte le chiacchiere e tutti gli schemi imposti all’opinione pubblica dove ogni donna, ahimè, è sempre vittima, e ogni uomo, orrore, è sempre carnefice.