Il primo giorno di insediamento, Joe “sniffabimbi” Biden ha battuto subito un record. I suoi predecessori, per prendere la mano con il nuovo ruolo, si sono sempre limitati a una, massimo due ordinanze. Lui è invece partito in tromba con 19 ordini presidenziali esecutivi firmati e consegnati. Dentro c’è di tutto, soprattutto c’è la fretta di smontare buona parte di quanto deciso da Donald Trump negli ultimi quattro anni e di mostrare lo zelo del nuovo presidente verso le lobby che ne hanno sostenuto l’elezione. Quando però hai alle spalle una montagna di minoranze piagnucolanti che reclamano il primato del vittimismo, diventa tutto più complicato e il cortocircuito è dietro l’angolo. Nel versante che più ci interessa, le notizie che sono circolate di più riguardano la riapertura alla partecipazione delle persone trans all’interno delle sezioni femminili dei vari sport nei college e nelle università USA, e la cancellazione del divieto al reclutamento nell’esercito delle stesse persone trans. Da un lato le atlete biologicamente femmine ringraziano sentitamente per averle messe in condizione di non vincere mai più un piffero, dall’altro si discute se i trans in uniforme minino o meno l’unità di gruppo, tanto essenziale nell’esercito, specie nelle fasi di combattimento. Ma sono quisquilie, in realtà.
C’è un altro ordine esecutivo di Biden che qui da noi è stato poco rimarcato, ma che pure negli USA sta suscitando un putiferio. Si tratta della decisione intitolata “Ordine esecutivo sulla prevenzione e la lotta alla discriminazione basata sull’identità di genere o sull’orientamento sessuale”, che sostanzialmente dà ordine a ogni agenzia federale di eliminare ogni disposizione interna che possa tradursi in atti sostanziali o formali di discriminazione, stabilendone anzi di nuove che contribuiscano a prevenirle, il tutto da realizzarsi entro 100 giorni. Nella sostanza significa che lo Stato centrale, ovunque renda i suoi servizi e eroghi le sue risorse a supporto di specifiche iniziative, non dovrà più fare alcuna distinzione tra le identità di genere dichiarate né tra i vari orientamenti sessuali (aspetto quest’ultimo che per altro da tempo ha perso rilevanza all’interno del regime queer). Questo avrà una ricaduta diretta su alcuni aspetti formali, come la scomparsa della dicitura uomo/donna o maschio/femmina nei formulari, o una loro declinazione tra le varie identità possibili, o un semplice spazio bianco, ma ci saranno conseguenze anche più sostanziali.
Biden si trasforma da “good guy” in “bad guy”.
Ad esempio l’associazione per la promozione dei diritti dei transessuali potrà asserire di battersi per i diritti delle donne, dato che i trans hanno un’identità di genere femminile, e in questo modo accedere ai molti fondi governativi dedicati alla tutela delle donne. Non solo: qualunque legge federale che stabilisca una qualche forma di priorità, preferenza o privilegio per il genere femminile, dovrà essere applicata a chiunque dichiari di identificarsi in una donna. Nell’immediato viene in mente quel tizio argentino che non molto tempo fa, per andare in pensione prima, dichiarò per l’appunto di sentirsi donna, ottenendo ciò che voleva dall’amministrazione pubblica (una questione che si sta ponendo anche qui in Europa, per altro). In realtà il problema tracima oltre queste buffe possibilità, e ha finito per esplodere in faccia a sleepy Joe. Il quale, oltre agli antifa che hanno civilmente manifestato per mesi sulla scia del movimento Black Lives Matter e oltre a tutta la comunità GLBT, ha tra i suoi sostenitori anche l’ampia schiera del femminismo a stelle e strisce, rimasto silente e ribollente astio per tutti e quattro gli anni di presidenza Trump. Ed è proprio lì che scaturisce il cortocircuito e iniziano i mal di pancia.
«Biden ha cancellato le donne! Abbiamo 100 giorni per far sentire la nostra voce prima che le nuove regole entrino in vigore presso le agenzie federali!», urla via Twitter il Women’s Liberation Front (“fronte di liberazione delle donne”). «Tutti pensavano che Biden fosse “il tizio buono”, e la prima cosa che fa è cancellare le donne», commenta una pasionaria. «È un attacco senza precedenti ai diritti delle donne e alle libertà di tutti», titola in caratteri cubitali il sito internet della stessa organizzazione. Un successone, insomma: volendo allinearsi ai dettami della lobby GLBT, zio Joe ha urtato con violenza il vespaio del femminismo, che ora è in armi verso il suo stesso candidato del cuore. Il problema è che il suo ordine esecutivo scavalca d’un colpo le competenze del Parlamento americano in materia di regolamentazioni anti-discriminazione, come prevede l’Equality Act, sottraendo ai gruppi di pressione femministe, che al Campidoglio bivaccano in pianta stabile ormai da anni, ogni influenza e la possibilità di utilizzare il bilancino affinché i vari privilegi per le associazioni femministe e quelli per le associazioni GLBT non entrino in conflitto. In sostanza la comunità di gay, lesbiche, trans eccetera eccetera ha sorpassato e sopraffatto la comunità femminista passando dalla Casa Bianca. Si tratta di tanti tanti privilegi e soprattutto tanti tanti dollari che vanno in fumo per le pasionarie dei diritti femminili. Ed ecco allora che Biden si trasforma da “good guy” in “bad guy”, così, da un giorno all’altro.
La patata bollente ora passa al zelante Joe Biden.
Chiaro che non si può dire apertamente che è tutta una questione di denaro e potere, così le femministe furenti si attaccano allo sbilancio che l’ordine esecutivo presidenziale creerà nella vita delle donne. L’insieme delle sue iniziative, denunciano a sprezzo del ridicolo, renderà legittimo l’ingresso dei maschietti (purché dicano di sentirsi femminucce) negli spogliatoi o nei bagni riservati alle signore. Tempestano le femministe: «le lavoratrici donne non avranno più diritto alla loro privacy e saranno forzate un linguaggio che validi le identità maschili». Maddai? Fino a ieri andava benone tutta la tiritera su he/him, she/her, they/them, e ora diventa una forzatura? Singolare… Singolare soprattutto che sulla questione dei pronomi ora le femministe si appellino proprio alla “freedom of speech”, quella libertà di parola con cui, quando ancora tenevano le redini, usavano nettarsi il naso (e prendano nota tutti i possibilisti e gli indulgenti sul DDL Zan…). E che dire delle leggi sul lavoro? Sembra impossibile, ma anche negli USA, patria del neoliberismo, non è così semplice licenziare una lavoratrice inefficiente. Per difendersi costei ha mille appigli, dalla discriminazione alle (finte) molestie subite. Tutta roba a cui, grazie all’ordine esecutivo di Biden, potranno appellarsi anche i lavoratori, purché assicurino di sentirsi intimamente donna. E anche in questo caso alle femministe non va giù di dover condividere un privilegio con un essere umano munito di pene.
Si potrebbe pensare forse che il cortocircuito finisca qui. E invece no: già che c’erano, le femministe americane hanno preso di mira anche un altro ordine esecutivo del “pacchetto Biden”, quello “per l’avanzamento dell’equità razziale e per il supporto alle comunità deboli”. Il riferimento è ai neri, i latini, i nativi americani, gli asiatici, chi proviene dalle isole del Pacifico e ogni altra persona di colore, le minoranze religiose, le persone lesbiche, bisessuali, gay, transgender e queer, i disabili, chi vive nelle aree rurali, e «tutte le persone in qualche modo penalizzate da disuguaglianze e povertà». In pratica è l’elenco completo della cosmogonia politically correct a cui il neo-presidente deve per forza pagare pegno. Sono le componenti essenziali del cortocircuito complessivo innescato anche per questo ordine esecutivo dalle femministe, che ora strillano: «le donne, il più ampio gruppo più severamente penalizzato dalle diseguaglianze, non sono menzionate in quell’ordine esecutivo!». In sostanza esigono di essere inserite anche loro tra le minoranze etniche o religiose e nel gruppo generico di chi soffre stenti e privazioni, e vogliono figurarvi per prime. Nel paradosso assoluto delle idee perennemente confliggenti del femminismo, pretendono insomma di essere trattate come un popolo sterminato e rinchiuso in una riserva, con però il riconoscimento del potere di dettare legge a tutti. Alla luce di tutti questi orribili sgarbi ricevuti, le femministe ora tuonano come un sol’uomo (!): «quegli ordini esecutivi vengano immediatamente ritirati!». La patata bollente ora passa al zelante Joe Biden e ancora non si sa cosa intenda fare per sedare i bollenti spiriti dei suoi mandanti. Molto dipenderà da cosa gli suggeriranno nell’auricolare.