Giusto ieri mattina abbiamo raccontato di come, a fronte dell’installazione del nuovo Governo, il più grande centro d’interessi collegato al femminismo nazionale, il coordinamento di centri antiviolenza D.I.Re., scendesse in campo con la sua PresidentA Antonella Veltri per richiamare all’ordine un esecutivo sulla carta poco incline ad assecondare le pretese di una lobby vorace come pochi. La Veltri, nel suo intervento al Sole 24 Ore, richiamava la necessità di un nuovo “Piano Strategico” per i centri antiviolenza, si richiamava all’immancabile Convenzione di Istanbul e alle “tre P”, Prevenzione-Protezione-Punizione, con cui essa, secondo le portatrici d’interesse, verrebbe pienamente applicata. Attraverso questa riedizione tripartita del noto “credere-obbedire-combattere”, la Veltri ha inteso riaffermare la centralità degli interessi che circuitano attorno a quella che noi chiamiamo “Antiviolenza Srl”, a nostro avviso il perno attorno a cui ruota una versione contemporanea e in rosa della “Tangentopoli” che fu (come la chiamiamo? Violenzopoli? Femministopoli?) e a cui ancora nessun ente di controllo sembra avere la forza di mettere le briglie. Forse perché il sistema con il tempo è diventato talmente potente e tentacolare da trasformarsi nel proverbiale “Stato nello Stato”, dunque qualcosa di non eradicabile, se non con operazioni incisive e coraggiose.
Si può misurare la potenza di questo sistema anche dalla velocità con cui induce i detentori dei cordoni della borsa a rispondere alle sollecitazioni. L’intervista della Veltri è del 24 febbraio. Non passano nemmeno dieci giorni che dal Ministero per le Pari Opportunità, destinatario del richiamo della boss di D.I.Re., si organizza subito un meeting online con «le Associazioni e le Parti Sociali», come recita il comunicato del Ministero stesso (comprensivo di maiuscole). Insomma Elena Bonetti batte i tacchi e si mette sull’attenti al primo richiamo dell’Amministratore Delegato della Antiviolenza Srl, di cui riunisce alcune rappresentanti per parlare della «violenza maschile contro le donne». Si badi bene: di quella nello specifico. Tra le tante declinazioni possibili dei fenomeni violenti in Italia, si intende parlare solo di quella. Un fenomeno che riguarda lo 0,01% degli uomini italiani in età adulta (dati ISTAT) in uno dei paesi certificati come tra i più sicuri al mondo per tutti, donne comprese (sempre dati ISTAT). Non si ravvisa in tutto ciò il minimo segno di “pari opportunità”: pare piuttosto, in modo esplicito e quasi sfacciato, la genuflessione di un organo dello Stato di fronte a un gruppo d’interesse il cui potere d’influenza è ormai, di fatto, fuori controllo.
Legalizzare uno status sostanzialmente illegale.
Durante l’incontro, dice il comunicato del Ministero, è stata condivisa «la roadmap che porterà all’adozione del nuovo Piano Strategico Nazionale», guarda caso proprio come da diktat di Antonella Veltri. E se ancora ci fossero dei dubbi che l’incontro è servito a tramutare il Ministro Bonetti in una rediviva garibaldina, pronta a pronunciare un sonoro «obbedisco!», è sufficiente notare che il suo impegno dichiarato rispetto al nuovo Piano Strategico Nazionale intende conformarsi alla «strategia integrata basata sui quattro assi definiti dalla Convenzione di Istanbul (Prevenzione, Protezione, Punizione e Assistenza e Promozione)». Proprio le famose “tre P” cui aveva fatto riferimento la Veltri nella sua intervista al Sole 24 Ore, e a cui la zelante garibaldina aggiunge una quarta, a buon peso. Accanto a ciò, durante la riunione si è anche parlato di una «governance multilivello che dovrà vedere coinvolti tutti i livelli di governo e la società civile». Un giro di parole in politichese per dire che si farà il possibile per far arrivare altri soldi ai centri antiviolenza, magari senza farli passare dalle Regioni e dagli Enti Locali, secondo i desiderata di D.I.Re.
Chiaro che, a fronte di un richiamo all’ordine come quello ricevuto dalla Veltri, il Ministro sente anche il bisogno di declinare quanto fatto finora. Parla allora di un «potenziamento del monitoraggio sull’utilizzo delle risorse ripartite tra le Regioni per il finanziamento dei Centri antiviolenza e delle Case Rifugio». Siamo in contatto con diverse Regioni, a tutte abbiamo chiesto conto di questo monitoraggio e la risposta per tutte è stata che sono pochissimi i centri antiviolenza che rendono conto dell’utilizzo dei fondi versati a loro favore. Se potenziamento c’è stato, insomma, non ce n’è traccia da nessuna parte, in barba alla trasparenza. Il Ministro aggiunge poi tutte le prebende e i favoritismi stabiliti finora: il “Reddito di libertà” e il “Microcredito di libertà”, tutti soldi pubblici versati a donne certificate come vittime di violenza non da una sentenza della Magistratura, bensì dai centri antiviolenza, in questo caso facenti funzione di ufficio di collocamento (solo per donne) o distributori di sussidi (sempre solo per donne). Forse per legalizzare questo status sostanzialmente illegale, la Bonetti menziona anche il graduale (lento, lentissimo) lavoro in Conferenza Stato-Regioni per ridefinire i requisiti minimi dei centri antiviolenza.
Non disperiamo. Giorno verrà.
«Le proposte ascoltate oggi», assicura la garibaldina, «saranno tutte esaminate e valutate con attenzione insieme ai colleghi di Governo». Infine assicura che «sarà ricostituita la Cabina di Regia Nazionale, nella quale il tema della violenza contro le donne sarà affrontato in modo integrato e condiviso». Si trattava di un’altra richiesta della Veltri che, a questo punto, si può ben dire sia la reale Ministro per le Pari Opportunità, mentre la Bonetti è una mera esecutrice. Nulla che già non si sapesse, ma vederlo così, sbattuto in faccia agli italiani alle prese con una crisi economica senza precedenti, fa male, molto male. Così come duole, almeno per chi ama i processi democratici, che questo tipo di consultazioni vengano riservate solo ad alcune realtà specifiche. Nel comunicato stampa vengono nominate come “Associazioni e Parti Sociali”, in realtà sono selezionatissime realtà, ideologicamente conformi agli orientamenti del Ministro e, lo si è detto, incaricati di dare ad esso direttive e ordini. Eppure una consultazione seria e democratica sul tema dovrebbe comprendere più soggetti, comportare più incontri con portatori di idee anche diverse da quelle usuali, inducendo il Ministero a fare politica, cioè a trovare una sintesi condivisa. Invece no, la procedura è quella di chiedere all’oste quant’è buono il vino.
Il che, di nuovo, per chi conosce la politica italiana, ha capito cosa e chi sono i politici che militano in Italia Viva, e ha un’idea precisa di come funzioni il potere gestito dal femminismo italiano, non dovrebbe sorprendere. Se non fosse che il tutto assume i caratteri di un’intollerabile beffa, dopo il danno: all’incirca tre mesi fa proprio il Dipartimento per le Pari Opportunità ha aperto un canale dove tutte le “parti interessate” alle tematiche di competenza del Dipartimento stesso potevano iscriversi con la certezza di venire interpellate in caso di consultazioni. Noi della Fionda ci siamo iscritti, e sappiamo che si sono iscritti anche l’associazione “Lega degli Uomini d’Italia” del nostro Francesco Toesca, il “Centro Studi Applicati” del nostro Fabio Nestola, più tante altre associazioni con cui siamo in contatto. Da quel momento non una comunicazione è pervenuta e tanto meno una convocazione, foss’anche per mandarci a quel paese o farci marameo. Peccato perché, oltre a proposte molto interessanti per i centri antiviolenza, come abbiamo scritto ieri, avremmo un paio di cosette interessanti da dire al Ministro e al Dipartimento, in sede ufficiale e verbalizzata. Ma non disperiamo. Giorno verrà. Non c’è regime totalitario e anti-democratico che abbia resistito a lungo alle proprie contraddizioni, e difficilmente quello attuale farà eccezione.