Il titolo è provocatorio: non siamo per la censura e preferiamo la libertà di espressione di tutte le posizioni, purché sia garantito un confronto libero, paritario e razionale, in un contesto di ascolto reciproco in cui pesino i dati e gli argomenti, e non chi è più bravo a delegittimare l’interlocutore. Fa riflettere in questo senso la campagna di delegittimazione che hanno subìto il Prof. Luca Sammicheli, docente di psicologia all’Università di Bologna, e il Dr. Marco Inghilleri, direttore del Centro di Psicologia giuridica, Sessuologia clinica e Psicoterapia di Padova e vicepresidente della Società Italiana di Sessuologia ed educazione sessuale. Due soggetti di elevatissima competenza quindi, invitati a parlare lo scorso 8 febbraio a un incontro organizzato dalla Consulta Studentesca di Padova dal titolo “Quali strade per una sostenibile parità di genere?”, e seguìto via web da 130 classi scolastiche. I due dottori («maschi», peccato originale sottolineato da Repubblica nel titolo dedicato) sarebbero rei di aver espresso «frasi choc sessiste» e «concetti aberranti», come li ha definiti Enrico Ferro su Repubblica, «un insulto per tutte le vittime di violenza» secondo la Rete Studenti Medi di Padova. Tuttavia le posizioni espresse da Inghilleri e Sammicheli sono ragionevoli, di buon senso prima ancora che espressione delle loro competenze, ed è confortante sentire delle voci autorevoli, scientifiche e/o istituzionali, esprimere posizioni in linea con quanto da anni sosteniamo su La Fionda (e come sostengono altri soggetti autorevoli, come ad esempio il prefetto di Padova, Francesco Messina, in merito ai “femminicidi”).
Dice Inghilleri: «I ruoli di potere generalmente vengono occupati dal maschile, come mai? Perché c’è una latitanza da parte del femminile nell’assumersi una carica pubblica e anche politica, tant’è che si parla di “quote rosa”, come se il femminile fosse una specie di un panda da proteggere con il WWF». Esatto: la norma sulle “quote rosa” oltre che discriminatoria, è di fatto coercitiva e offensiva verso il mondo femminile, che ha tutte le capacità e possibilità di accedere agli incarichi pubblici e politici senza bisogno di aiutini, spinte e privilegi vari; ma ha anche tutta la dignità e autonomia per esprimere, nonostante tali politiche e le incessanti campagne propagandistiche, una preferenza per altri tipi di occupazioni. Per arrivare al 50% e 50% l’unica soluzione sarebbe la pianificazione totale da parte dello Stato: come nel Nuovo mondo di Huxley, obbligare ciascuno a un incarico prestabilito rispettando rigorose quote paritarie in ogni occupazione, assegnato prima ancora del concepimento, magari raggiunto per inseminazione artificiale o fabbricato del tutto in laboratorio, così ci liberiamo anche di questo “sbattone” delle relazioni intime con l’altro sesso, e possiamo dedicarci all’amore queer tra sologamia, colonie feline e “modello Murgia” senza il rischio di estinguerci. Prosegue Inghilleri: «l’educazione sessuale non si può fare su larga scala, diventa una sorta di campo di rieducazione maoista, perché la dimensione che andiamo a toccare è una dimensione privata, soggettiva, ciascuno di noi è chiamato a darci un occhio (se ne ha voglia). Su larga scala a me preoccupa, perché la considero una forma di autoritarismo». Come non condividere? Incalza poi Sammicheli: «per dominare questa pulsione, di cui tu sei l’io e vittima (quindi la prima vittima sei tu), non è che ti insegno che una donna non la devi stuprare: se la stupri vai in galera e basta».
Il fastidio della complessità.
L’esperto ribadisce l’ovvio: nelle scuole non si insegna a delinquere. Famiglie, maestri, professori e la stessa tradizione culturale che ci viene tramandata (basti pensare al kantiano «tratta l’uomo sempre come fine e mai solo come mezzo») ci insegnano a rispettare la legge e il prossimo, non certo a infrangere la legge e trattare gli altri come oggetti. Ciononostante, un residuo minimo di antisocialità e delinquenza rimarrà sempre: caratteristica definitoria del delinquente è che non segue la legge, pur conoscendola, e tradisce l’insegnamento scolastico, pur avendolo ricevuto. «E quindi come facciamo? Li riabilitiamo lo stesso in società?» domanda la studentessa che modera l’incontro. Qual è l’alternativa? Forse la studentessa preferirebbe che chiunque commetta un reato (sottinteso: purché uomo) debba restare chiuso in una cantina a marcire per l’eternità, senza concepire neanche una vaga, remota possibilità di redenzione, di riconciliazione con la società?
Risponde Inghilleri: «è vero, statistiche alla mano, che le violenze perpetuate sulle donne hanno una percentuale abbastanza elevata rispetto a quella perpetuata sugli uomini» – non proprio, ad esempio gli uomini sono le principali vittime di omicidi, crimini violenti e rapine, ma tralasciamo – «però tenga presente che gli uomini denunciano anche di meno». «Non ritiene che ci sia un quadro culturale e magari anche degli aspetti ben radicati all’interno del tessuto sociale, che in qualche modo rendono più possibile una violenza su una donna che su un uomo?» chiede la studentessa. Risponde l’esperto: «È di recente cronaca il fatto di alcune ragazzine della vostra età che hanno bullizzato un’altra ragazzina, una loro coetanea… Viviamo in una società estremamente complessa, e anche le polarizzazioni sono dei tentativi di controllo o semplificazione di una complessità sociale che a stento riusciamo a tenere insieme».
C’è ancora chi non ci sta.
Leggiamo tra le righe una condanna della polarizzazione “uomini-oppressori e donne-vittime”, quello che va a unico vantaggio di entità che a nostro modesto avviso sono più lobby di potere che centri operativi contro la violenza. Lobby che non hanno certo perdonato ai due psicologi questi “psicoreati”. Secondo D.i.Re. (“Donne in rete” Rete nazionale antiviolenza) le affermazioni dei due psicologi rappresenterebbero «la cancellazione della violenza sulle donne e la negazione del bisogno di educare alla sessualità» e «un fatto gravissimo ed un tentativo di rendere invisibili sia gli anni di lotte per i diritti delle donne che un fenomeno strutturale». Sfidiamo chiunque a reperire nelle frasi citate un qualsiasi barlume di “cancellazione della violenza sulle donne”: Inghilleri dice perfino che le donne vittime di violenza sarebbero in percentuale più elevata rispetto agli uomini. Niente da fare, parte la campagna social giocata a prescindere sull’etichetta di “negazionismo”, che va forte in questo periodo per delegittimare qualcuno: «Fuori i negazionisti dalle scuole» scrive D.i.Re. (e l’etichetta è ripresa dal coordinamento donne della CGIL di Padova), «L’intervento alla Consulta studentesca da parte dei due psicologi è l’ennesima conferma che nei luoghi del sapere ci devono stare le attiviste dei centri antiviolenza. Da anni diciamo che non basta essere psicologi e psicologhe per parlare di violenza: serve un percorso di formazione specifico».
Ma certo, gli psicologi non hanno un percorso di formazione abbastanza specifico, l’unico davvero specifico è quello ideologicamente orientato delle attiviste e delle operatrici dei centri antiviolenza. Tutti gli altri non possono esprimersi e anzi, nel caso di posizioni critiche, non devono. Infatti hanno provato a colpire i “negazionisti” nella reputazione e nella vita professionale: non solo invitando l’Ordine degli Psicologi a prendere posizione contro di loro, ma addirittura con una petizione ad personam promossa dall’Assemblea Universitaria Transfemminista, “Sospendete Inghilleri” al fine di farlo sospendere dall’incarico di vicepresidente della Società Italiana di Sessuologia. Non ci risulta che tali inviti siano stati seguiti (deo gratias!), a parte qualche dichiarazione annacquata sulla cronaca locale. D’altra parte lo scopo di queste campagne è essenzialmente intimidatorio: non si debbono dire certe cose, altrimenti… Prova ne sia l’azione di cui Inghilleri è stato bersaglio, riportata dal Coordinamento degli studenti medi di Padova: “ignoti” hanno coperto la targa del suo studio («è stata corretta», precisano gli studenti antifascisti queer transfemministi) con la scritta “Dott. Marco Inghilleri: vicepresidente delle str**zate patriarcali”. Ma l’intero episodio ci conferma che, nonostante tutto, parte cospicua della società civile non ci sta ad accettare supinamente la propaganda antimaschile e arcobaleno, e non si farà intimidire.