I fondi del PNRR verranno erogati soltanto a fronte di una serie di riforme, inclusa quella del sistema giudiziario. In Parlamento si discute così, tra le altre cose, la riforma del processo civile, dentro cui ricadono i casi di separazione e di affido dei figli minori. L’Unione Europea, su questo tema, come abbiamo visto lunedì, dà indicazioni chiare: la prole vada sempre tassativamente affidata alle madri nel caso i padri siano “autori” di violenze. Non “colpevoli”, come per altro già dice la legge vigente, bensì “autori”, come tali asseriti dalla madre stessa. Mettete insieme questi aspetti nelle mani di personaggi come la senatrice Valeria Valente e tutta la sua compagnia femminista e avrete la nuova configurazione del processo civile. Spariscono i “Tribunali dei Minori”, trasformati in “Tribunali per la famiglia”, con specifiche competenze proprio su separazioni, divorzi e affidi. Non è soltanto un cambio di nome, cambiano anche tempi e procedure in una prospettiva ben precisa, quella dettata dalla legge europea: favorire la rapidità dei procedimenti per le donne vittime di violenza. Solo per loro. Perché, questa è la premessa, gli uomini e i padri non possono essere vittime di violenza, e se lo sono, si tratta di pochi casi trascurabili. Si chiama “discriminazione positiva”, è un’aberrazione giuridica, è incostituzionale ma, come si è detto lunedì, è conforme a una direttiva europea che ancora non c’è, ma arriverà presto. E le direttive comunitarie sono superiori alla Costituzione. Quindi è un’aberrazione sì, ma del tutto regolare.
Non è finita qui, però. Al giudice civile vengono conferiti poteri tipicamente attribuiti a quello penale: avrà la possibilità di assumere provvedimenti “di protezione” per la donna che asserisca di essere vittima di violenza. Per verificare che la violenza ci sia “davvero”, il giudice civile dovrà contattare quello penale che si occupa del caso e vedere se ci sono «tracce di violenza». Lo stesso giudice penale deve avvisare il giudice civile nel caso l’uomo sia sottoposto a qualche disposizione restrittiva. E mentre avviene questo passaggio di informazioni, se il giudice civile riscontra che tra i due, ex marito ed ex moglie, c’è una parte economicamente debole, può stabilire da subito che una porzione dei redditi di quello più forte vada automaticamente a quello più debole. Esempio pratico: Gino e Gina si separano. Non riescono a mettersi d’accordo sui termini della separazione e sull’affido dei figli, si va in giudiziale. Prima di andare davanti al giudice civile, Gina denuncia Gino per un reato penale a scelta (stalking, abuso sessuale sui figli minori, maltrattamenti, percosse, la scelta è ampia…). Grazie al Codice Rosso, Gino viene subito incriminato e magari gli viene erogata anche una misura restrittiva, in attesa di vedere se ci sono riscontri alla denuncia di Gina. Nel frattempo, avendo dichiarato un caso di violenza, la causa civile di separazione accelera: il giudice chiama il PM che sta perseguendo Gino e gli chiede: «oh, c’è violenza in questo caso?». Risponde il PM: «boh, lo stiamo verificando, ma intanto Gino è ai domiciliari, hai visto mai…». «Ok, grazie». Con ciò, il giudice civile torna in aula, dispone a favore di Gina l’affido dei figli e, dato che guadagna meno di Gino, anche che metà dello stipendio di quest’ultimo vada mensilmente sul conto di Gina.
L’interesse del minore coinciderà con quello della madre.
Sì ma, si dirà: Gino non è stato ancora sentenziato come colpevole del reato per cui è stato denunciato da Gina, per legge è innocente fino a quel momento, quindi anche questa disposizione è orrendamente incostituzionale! Sì, rispondiamo noi, non serve essere giuristi per rendersene conto. Ma anche in questo caso è la futura, imminente e già citata direttiva europea a richiederlo: in quanto fonte superiore anche alla Costituzione, risulterà tutto regolare. Così Gina si trova con uno stipendio e mezzo, la casa assegnata e i figli affidati, mentre Gino deve affrontare un lungo processo penale. E mentre lui, allontanato coattivamente dal giudice, attende la sentenza e non vede più i figli, Gina e la sua famiglia hanno tutto l’agio di candeggiare il cervello e il cuore dei figli stessi per far sì che arrivino a odiare, o quanto meno a ignorare, la figura paterna. Gino può farlo notare al giudice civile, che può stabilire delle CTU per capire come stanno le cose ma… la riforma costruita dalla Valente vieta ai CTU di menzionare anche solo di striscio casi di condizionamento psicologico o condotte materne ostative alla frequentazione del padre. Sebbene la Cassazione recentissimamente abbia sancito che quel tipo di comportamenti debba essere sanzionato con l’affido superesclusivo ai padri, la nuova legge proibisce ai consulenti di far menzione anche solo lontanissima a condotte alienanti. E se per caso un dubbio c’è sui veri motivi per cui un figlio rifiuta il padre, «il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza le cause del rifiuto». Si chiede insomma ai giudici di fare anche gli psicologi dell’infanzia. Non essendone capaci, faranno la cosa più ovvia: crederanno alle parole del bambino, senza chiedersi se per caso non gli siano state preventivamente e debitamente installate in bocca dalla madre.
Gino, intanto, ha due strade possibili: potrebbe incappare in uno dei “tribunali speciali” di cui si parla nella legge europea, concepiti apposta per aumentare le condanne a carico degli uomini e dei padri, e allora non avrà scampo: verrà condannato, dovrà sottoporsi ai “programmi di trattamento”, anch’essi previsti dalla norma europea, e non vedrà i figli mai più. Se quei tribunali, per sua fortuna, non saranno ancora stati creati, allora dopo tre-quattro anni di procedimento, vedrà la denuncia a suo carico archiviata o si vedrà assolto con formula piena da un’accusa falsa, come capita nel 90% dei casi. Sì, ma nel frattempo i suoi figli non lo vorranno più vedere, lo detesteranno, lo odieranno o semplicemente non gliene fregherà nulla di frequentarlo. Les jeux sont faits et rien ne va plus. Questo capita già oggi in un numero spropositato di casi. Capita talvolta che però il meccanismo non scatti: qualche giudice lucido, qualche insistenza di troppo da parte di madri troppo rancorose, e tutta la strategia rischia di saltare. In quei pochissimi casi accade quanto previsto dalla Cassazione: le madri vengono riconosciute come palesemente inadeguate e i figli vanno a stare con i padri. Ebbene, con la riforma della Valente, non solo l’esclusione dei padri dall’affettività dei figli (e il saccheggio delle sue risorse economiche) diventerà sistematica e strutturale, portando l’intero ordinamento allo stato (penoso) in cui era prima della riforma del 2006 basata su bigenitorialità e mantenimento diretto, ma scompariranno anche quei pochi casi eccezionali in cui il sistematico connubio false accuse-affido materno viene svelato e disinnescato. L’intervento della Valente e della sua accolita sul processo civile ottiene un risultato storico e devastante: «Il “superiore interesse del minore” prevale sul principio della bigenitorialità», si dice. In realtà viene fatto coincidere con quello della madre, affondando definitivamente la, per altro mai applicata veramente, legge 54/2006 su separazioni e affidi, e dando un impulso ancora più poderoso al già dilagante fenomeno delle denunce fondate su accuse false e strumentali presentate a carico degli uomini e padri.
Non siamo stati capaci di difendere i figli e i padri del futuro.
Il fatto è che questa cosa non si può più fermare. Per i motivi contingenti ben spiegati da Alessio Cardinale su queste pagine, ma anche per motivi molto più ampi e generali. Si tratta della realizzazione concreta di un orrore giuridico ed etico a cui si lavora da lungo tempo, con un percorso graduale ma inarrestabile che parte dall’infame legge anti-stalking del 2009 e arriva fino all’oggi. È un piano preordinato e pianificato, costruito a tavolino con grande precisione, attuato con zelo dagli operatori della politica sostenuti da una rete territoriale sempre più consolidata e ricca, dotata di tentacoli che operativamente affondano nelle redazioni di ogni mezzo d’informazione di massa e nei centri decisionali dei settore-chiave della vita civile (forze dell’ordine, istruzione, giustizia), geograficamente arrivano fino a Bruxelles, Strasburgo e New York, e storicamente risalgono alle conferenze ONU del Cairo e di Pechino negli anni ’90 e alla Convenzione di Istanbul che ne è seguita. Si tratta della realizzazione di un mondo nuovo, governato da un regime asseritamente “al femminile”, in realtà totalitario femminista, come tale imperniato sulla guerra spietata all’uomo, al “maschio” e a tutto ciò che rappresenta: la forza, l’inventiva, l’anticonformismo, l’intraprendenza, l’esplorazione, il cambiamento (anche rivoluzionario), la solidità di valori e di istituti come la famiglia. Il regime che si sta costruendo ha bisogno di eliminare e umiliare tutti quegli aspetti per potersi radicare in una configurazione terrena, conservatrice, conformista, iperprotetta, immobile, malleabile, conciliante, fondata sull’empatia e l’emozione, quest’ultima debitamente sollecitata verso gli impulsi al consumo e l’abbandono del risparmio. Una configurazione che è né più né meno che il tramonto dell’uomo e del padre, certificati entrambi in modo definitivo come elemento storicamente e attualmente tossico, dunque da neutralizzare, ma che è anche l’alba della donna, santificata a sua volta come vittima storica che nell’oggi trova il suo riscatto in un sistema costruito a sua esclusiva immagine e somiglianza. Un regime configurato su postulati falsi, insomma, ma capace di alimentare una gigantesca rete di interessi e il bisogno dei poteri sovranazionali di poter comprimere le libertà e i diritti di tutti senza avere alcuna opposizione, ma anzi l’applauso di tutti.
Chi non applaudirebbe a una legge che “restituisce i figli alle madri”? Chi a norme pensate espressamente per “la difesa delle donne contro la violenza”? Sono gli stessi applausi che i tedeschi tributavano a chi parlava di “leggi per la purezza della razza”, o i coloni americani a chi liberava i territori dell’ovest sterminando la “barbarie indiana”. La storia si ripete e continua a non insegnare nulla. Mentre scrivo questo articolo, mi arrivano a pioggia segnalazioni di webinar, dirette YouTube, prese di posizione nette contro questo colpo di mano eversivo che fa a pezzi i più elementari diritti, oltre che il buon senso. Mi limito a sorridere con accondiscendenza. Troppo tardi, penso. Troppo troppo tardi. Da anni c’è chi suona le campane a stormo per allertare rispetto ai pericoli che ora prendono corpo in forma di legge. Qualcuno ha ascoltato il segnale d’allarme, pochissimi. Altri, troppo compresi a difendere il proprio orticello (associativo, politico, culturale o di altro tipo) hanno fatto finta di non sentirlo. La maggioranza non l’ha proprio sentito a causa della quantità di ovatta propagandistica che le farciva le orecchie. Avremmo potuto suonarlo più forte, essere più incisivi, più presenti, più uniti, meno stolidamente attaccati alle appartenenze partitiche? Sì, decisamente sì. C’erano ampi margini per interrompere il percorso strisciante che ha portato fino a questo momento di albore del nuovo regime. Per lo meno lo si poteva rallentare o deviare. C’è chi ha fatto molto e gli va reso merito, ma è il totale finale che va considerato. Ed è negativo. È una profonda voragine in cui sono destinati a cadere tutti i figli e le figlie del futuro, e subito dietro a loro anche tutti i padri del futuro. Potevamo batterci strenuamente, uniti e determinati, per qualche tempo ed evitare la situazione attuale, che farà danni riparabili solo nel giro di diverse generazioni, ma non l’abbiamo fatto. Per questo, invece di fare webinar da vuoto chiacchiericcio, dopo esserci lasciati ridurre alla rilevanza di piccole formiche incazzate, dovremmo invece tacere, fare autocritica, ma soprattutto chinare il capo e chiedere perdono per la nostra inerzia alle generazioni di figli, figlie e padri che verranno dopo di noi e che non siamo stati capaci di difendere.