Passano gli anni, ma le bugie e le manipolazioni restano sempre le stesse, tanto che diventa quasi tedioso per noi andare a vedere (e farvi vedere) il marciume che si nasconde sotto il tappeto dei proclami allarmistici. Il riferimento è al periodico report diramato da D.I.Re., il più grande coordinamento di centri antiviolenza in Italia, ripreso e ampiamente diffuso da tutti i media mainstream con il classico copia-incolla del comunicato stampa elaborato da D.I.Re. stesso. Niente riflessioni, niente domande. Tutte cose che vengono delegate (e relegate) a siti come il nostro… E allora andiamo a vedere che si dice dalle parti dell’Antiviolenza Srl. Niente di nuovo in realtà: in aumento le donne vittime di violenza, «20.711 donne nel 2021, il 3,5% di contatti in più rispetto al 2020», dice Antonella Veltri, presidente D.I.Re. «I nostri presidi territoriali sono baluardi imprescindibili nella prevenzione e nel contrasto della violenza alle donne», continua poi, snocciolando cifre da grande corporate: 2.793 “attiviste” (così vengono definite le donne che lavorano nei centri antiviolenza, per dare l’idea che lo facciano gratis), 106 centri antiviolenza, 182 sportelli antiviolenza, 185 appartamenti per 1023 posti letto, più un numero non definito di quell’aberrazione dei tempi moderni nota come “centri per uomini maltrattanti”. Chiaro che per tenere in piedi una struttura e un business di queste proporzioni è necessario che l’emergenza ci sia e sia gigantesca.
Ed effettivamente il numero di donne vittime di violenza che si sono rivolte agli sportelli D.I.Re. è impressionante: 20.711. Lo stesso incremento annuo del 3,5% è piuttosto grave. Tutto preoccupante abbastanza per giustificare la corporate e i numeri visti sopra, ma soprattutto abbastanza per chiedere più strutture e più fondi, altro leit-motiv che rimane invariato da anni. Sì ma, è lecito chiedersi, chi ha rilevato quei numeri così sconcertanti? La Polizia di Stato? L’ISTAT? Il Ministero della Giustizia? Niente di tutto questo. La fonte dei dati sono… i centri antiviolenza stessi. Cosa nota da tempo e che pare non scandalizzare nessuno: loro stessi diramano dati e percentuali che giustificano la loro esistenza. Il business dell’antiviolenza è l’unico al mondo che autocertifica l’imprescindibilità dei propri servizi, in questo spalleggiato apertamente da tutto l’apparato mediatico. Si potrebbe ipotizzare che, nel farlo, il loro afflato ideale sia talmente puro da scavalcare qualunque sospetto di conflitto d’interesse, ma è già nella descrizione stessa dei dati forniti che si scova la magagna. Mentre i titolisti parlano di “donne vittime di violenza”, infatti, più pudicamente D.I.Re. parla di “contatti” avuti con la platea femminile. Il che include probabilmente, e a buon peso, anche quelle che entrano semplicemente per chiedere un’informazione generica o qualche consiglio, senza necessariamente essere vittime di alcunché. Un po’ come il servizio 1522, il “numero antiviolenza”, che nei suoi report conta nei contatti anche gli scherzi telefonici o chi ha chiamato per errore.
Centri antiviolenza: o mentono, o non servono.
In uno Stato serio, qualcuno chiederebbe conto dei dati forniti e verificherebbe la reale esistenza degli oltre 20 mila contatti: chi sono, cosa hanno chiesto, che risposta gli è stata data, se la situazione segnalata si è risolta, e altro. Insomma sarebbe l’occasione per fare qualche statistica seria, visto che quei numeri stanno lì a giustificare un carrozzone che da anni drena milioni di euro pubblici. La risposta, nel caso, sarebbe quella data solitamente, da anni: nein! Non ci si deve azzardare a chiedere una verifica della fondatezza dei dati “per rispetto della privacy” e “per tutelare al massimo le donne vittime di violenza”. Con la stessa argomentazione molti centri antiviolenza rifiutano di dimostrare i propri dati anche a vari enti pubblici, ad esempio a quelle Regioni che li richiedono come condizione per l’erogazione dei fondi (poche in realtà: nella maggior parte dei casi erogano fondi alla cieca, sulla fiducia). Poco importa che lo Stato, in tutte le sue forme, abbia la possibilità per suo stesso statuto legale di ottenere dati oltre la tutela della privacy. Già lo fa con i dati sanitari, fiscali, penali e tanto altro. In ogni caso le CEO dell’Antiviolenza Srl di fronte a una richiesta di verifica fattuale sui numeri forniti si oppongono strenuamente con rigorosi nein! Un atteggiamento che non stupisce. A una verifica superficiale è probabile che i numeri si dimezzerebbero. Se poi li si passasse al vaglio verificando quanti “contatti” sono diventati denunce e quante denunce sono diventate condanne, si arriverebbe in breve a recitare il requiem per tutto intero il carrozzone dell’antiviolenza di professione. Per memo: ogni anno soltanto il 5% delle oltre 70 mila denunce di donne contro uomini per violenze assortite esita in condanna. Il resto viene archiviato perché l’accusa è inconsistente o termina in assoluzione, andando a ingrossare il fenomeno dilagante delle false accuse, sul quale l’effetto deteriore dei centri antiviolenza dovrà essere prima o poi studiato a fondo.
Con ciò non si intende negare che esista il fenomeno della violenza di genere, intesa come quella degli uomini verso le donne e delle donne verso gli uomini. La violenza è purtroppo connaturata all’essere umano, a prescindere dal sesso di appartenenza, e in determinate circostanze emerge e fa danni. Fortunatamente, almeno in Italia, si tratta però di un fenomeno marginale, stando alle statistiche ufficiali e certificate. Vero che numericamente sono più gli uomini che commettono violenza contro le donne che viceversa, ma questo vale in termini assoluti: per loro costituzione gli uomini tendono a essere più violenti verso chiunque, per altro con una preferenza maggioritaria verso altri uomini. In ogni caso sono numerose le fattispecie dove è la donna violenta con l’uomo e si tratta di situazioni che non meritano di essere trascurate soltanto perché minoritarie. A meno di non volersi occupare più delle persone diversamente abili, o degli immigrati, o degli anziani perché sono numericamente inferiori ai normodotati, agli autoctoni, ai giovani, eccetera… Vecchie storie, vecchi argomenti, vecchie prassi manipolatorie che si ripetono di anno in anno come un copione già scritto in cui si ritrovano, intricate come un roveto, oltre a una miriade di falsificazioni, anche contraddizioni che, pur nel dramma di un paese minato da fenomeni parassitari del genere, potrebbero far sorridere. Da anni si dice ad esempio che la rete dei centri antiviolenza rappresenta “un baluardo imprescindibile nella prevenzione e nel contrasto della violenza contro le donne”, per usare le parole della Presidente D.I.Re. Antonella Veltri. Ma ogni anno gli stessi centri antiviolenza denunciano un allarmante aumento del fenomeno. Sarà dunque pure imprescindibile quel baluardo, ma non sembra funzionare granché. Come la giri, insomma, sempre lì si finisce: l’esperienza dei centri antiviolenza andrebbe terminata o profondamente rivista in ogni caso, o perché mentono sulle dimensioni dell’emergenza che pretendono di prevenire e contrastare, o perché non hanno alcun effetto reale sul contenimento del fenomeno. Dati alla mano, gli stessi da anni, noi propendiamo decisamente per la prima ipotesi.