Accade a Borghetto di Borbera, in provincia di Alessandria, che una donna, Agostina Barbieri, uccida il marito Luciano Giacobone dopo averlo sedato. Si chiama omicidio premeditato, non ha altro nome, e ci sono poche vie di fuga da questo tipo di accusa. La donna però ne prova subito una, la più facile: «ero stufa degli abusi e dei maltrattamenti contro di me e nostro figlio». Tra le tante opzioni (separarsi, denunciarlo, scappare) sceglie la più difficile e spiccia: addormenta il marito, lo strangola nel sonno, poi chiama le forze dell’ordine. Che ora indagano, inevitabilmente, perché diverse cose non tornano: non ci sono denunce pregresse della donna, in compenso nel pomeriggio l’uomo era andato in ospedale per farsi curare una ferita dopo un litigio proprio con il figlio 27enne (non si conoscono i motivi della lite), che pare avesse deciso di buttare fuori di casa. Ugualmente in paese, una cittadina di poche anime dove tutti sanno tutto di tutti, nessuno è propenso a dire che l’uomo fosse un violento. Stavano insieme con Agostina da ben 45 anni e mai si erano sentite voci in merito. Unico neo, che potrebbe aver innescato un circuito di tensione, di recente Giacobone aveva perso il lavoro come camionista. Gli inquirenti ora nutrono comprensibili dubbi sulla versione della donna, che attualmente è agli arresti.
Azzardiamo due ipotesi alternative, tanto ci sembra cristallina la vicenda: mamma Agostina ha interpretato il ruolo di chioccia in modo troppo estensivo, non tollerava l’idea che il figlio venisse maltrattato (forse il padre gli chiedeva di trovarsi un lavoro?) e cacciato di casa dal marito, così ha agito di conseguenza. Seconda ipotesi, da non escludere, il figlio potrebbe essere stato d’accordo con il piano materno e aver lasciato fare il lavoro sporco alla madre (le prime dichiarazioni della donna, subito tese a scagionarlo, inducono a pensarlo), conscio che in Italia una donna può ammazzare un uomo con ottime speranze di passarla liscia, quando non di diventare una testimonial, se si appella a una storia di violenze subite, anche senza dimostrarle. Mere ipotesi, le nostre, sia chiaro. Starà agli inquirenti fare luce su una storia che, per ora, ha solo un dato di fatto: una donna ha ucciso il marito in modo premeditato. La nostra amica Barbara Benedettelli lo chiamerebbe “maschicidio”. Noi no, ma in ogni caso di qualcosa del genere dovrebbero parlare i titoli dei media. Se non fosse che su queste vicende vige il diktat del decalogo di Michela Murgia, acquisito per amore o per forza un po’ da tutta la stampa mainstream. Vero è che i comandamenti murgiani dettano come si debba raccontare un “femminicidio”: drammatizzando al massimo i toni, togliendo ogni elemento di contesto, criminalizzando oltre ogni limite possibile l’uomo ed empatizzando al massimo con la vittima. Però esiste anche la sua versione implicita, che è quello stesso decalogo però elevato alla -1, che va utilizzato quando a uccidere è una donna e la vittima è un uomo. Basta applicare tutte le regole della Murgia, ma all’inverso: minimizzare la pulsione omicida, utilizzare ogni possibile elemento di contesto per giustificare la colpevole e demonizzare quanto più possibile la vittima. Ed è esattamente ciò che fa la prima redazione che ne parla, quella di FanPage. Per non sbagliare, mette l’autoassoluzione della donna direttamente nel titolo e da quel momento tutti gli altri media vanno a traino sullo stesso tono:
Bene, il nostro articolo potrebbe anche finire qui. Se serviva una dimostrazione del doppio standard e dell’odio antimaschile alimentato nel nostro Paese (e non solo), eccone uno tra i tanti. Ma non basta ancora, perché i media mainstream sono lì non per informare ma per indottrinare. A quello scopo Michela Murgia ha prodotto i suoi “Dieci Comandamenti”, non per altro. Non solo: lo scopo è anche provocare, istigare, sollecitare, in particolare gli istinti più bassi delle persone, in modo da creare discussione sul web, che per un organo di stampa significa entrate economiche tramite le pubblicità. E infatti le persone e le loro pulsioni più crasse rispondono secondo le attese. Qui di seguito riportiamo solo alcuni dei commenti apparsi sotto il post di FanPage uscito sulla sua pagina Facebook. Non sono valutabili, perché si commentano da sé. Contengono tutto l’odio che può essere generato da una propaganda martellante, piena di falsità sul tema della “violenza di genere” e colma di un risentimento vendicativo cieco, l’esatta negazione di quella cosa chiamata giustizia. Leggiamo di continuo roba del genere, dovremmo esserci avvezzi, invece ogni volta ancora ci si accappona la pelle… Dunque, così è come viene accolto dall’opinione pubblica il cadavere di un uomo morto ammazzato da una donna oggi, anno 2021, in Italia. Come probabilmente i cowboy accoglievano l’uccisione di un indiano, i nazisti di un ebreo, i sovietici di un kulako, i conquistadores di un indio (clicca per ingrandire):