Niente da fare, né gli investigatori né tanto meno i mass-media si vogliono rassegnare al fatto che non ci sono riscontri all’ipotesi che Claudio Nanni abbia assoldato un killer per far uccidere l’ex moglie Ilenia Fabbri. Oltre l’alibi d’acciaio, a indurre tutti a guardare con coraggio altrove dovrebbero essere altri aspetti, a partire dall’assenza di risultanze rilevanti dalle perquisizioni e dai sequestri con cui le forze dell’ordine hanno rivoltato la vita dell’uomo come un guanto. Non solo: se davvero ci fosse lui dietro la morte della donna, saremmo davanti a un grande attore, oltre che a un delitto perfettamente congegnato, ma anche a un pazzoide. Nanni infatti, secondo le ipotesi, avrebbe messo in piedi l’omicidio della ex moglie pagando un sicario per evitare un processo con in ballo qualche decina di migliaia di euro, poco meno del costo di un killer professionista, il tutto senza lasciare la minima traccia e, capolavoro della perfidia, partecipando ai funerali della donna con atteggiamento triste e contrito. Un vero genio del male, insomma, che però mette in opera tutto il suo talento criminale per una questione tutto sommato non così decisiva. Tutto molto tirato per i capelli, troppo per indurre ad abbandonare altre piste possibili.
Eppure il sistema non molla l’osso. Quello di Ilenia Fabbri deve per forza, ad ogni costo, avere tutti i crismi del “femminicidio”, altrimenti non va bene. Ecco allora che il grottesco entra in scena in tutto il suo viscido splendore, grazie anche all’alleanza più o meno esplicita tra inquirenti e redazioni. Che con grande fatica colgono ogni occasione per costruire un’effigie dell’uomo-mostro capace di stare abbastanza a lungo in piedi da poterla poi bruciare pubblicamente in modo credibile. Non avendo gli inquirenti cavato un ragno dal buco dalle varie perquisizioni (è stata perquisita anche la casa dell’anziana madre di Nanni…), la tela mediatica che dovrebbe invischiare l’uomo acchiappa al volo diverse indiscrezioni che, non si sa bene come visto che si sarebbe in fase d’indagini, trapelano dalla Procura. Tutta roba assolutamente rilevante, capace di inchiodare il colpevole alle sue responsabilità. Ad esempio qualcuno si sarebbe presentato agli inquirenti dicendo di aver sentito Nanni dire, uscendo da colloqui con il proprio legale, la frase: «Se continua così, prima o poi le mando qualcuno a farle la festa». Non si sa se l’uomo abbia detto questa frase parlando da solo, come i matti, o rivolgendosi a qualcuno, né se entrambe le volte l’abbia ripetuta esattamente così, né se si riferisse all’ex moglie, né quanto sia credibile il testimone che si è presentato agli inquirenti. Ma sono bazzecole: la notizia finisce su tutti i media a rincarare la costruzione del mostro.
41esimi per libertà di stampa. E si vede.
Il grottesco però non si limita mai, è smodato, ed ecco che poco dopo i media diffondono un’altra indiscrezione di quelle decisive: le telecamere attorno alla casa della vittima avrebbero «registrato un’ombra». Nientemeno. Una non-notizia usata come pretesto per fare l’ennesima ricapitolazione della vicenda, dando una rinfrescata al vestitino di mostro e colpevole tagliato su misura su Claudio Nanni, pur in totale assenza di riscontri concreti di colpevolezza. Si sa: repetita juvant, ma soprattutto una cosa replicata ossessivamente diventa verità… Consapevoli che l’abito, nonostante tutto, ancora cade maluccio, le redazioni scovano allora presunte amiche di Ilenia, che non hanno dubbi nel testimoniare le parole della vittima: «dopo l’ultima sentenza succederà qualcosa», avrebbe detto Ilenia. Sul piano temporale non si capisce cosa voglia dire, sempre che davvero abbia detto qualcosa di simile. In realtà è probabilmente un de relato distorto: caso mai Ilenia si sarà detta preoccupata di ciò che poteva accadere dopo la prossima sentenza, quella già pianificata sulle questioni economiche. Insomma un pasticcio, che però i media recuperano al volo, complici anche alcune amiche della vittima che, con un tatto speciale, si presentano ai funerali indossando le simboliche scarpette rosse. Apoteosi: le redazioni ci sguazzano su queste cose, le amiche hanno il loro minuto di celebrità e l’occasione è buona per ribadire che, a dispetto di tutto, Claudio Nanni è già colpevole e il fatto commesso è un “femminicidio” oltre ogni ragionevole dubbio. Una delle poche che sembra non credere alla sua colpevolezza, per altro, è proprio la figlia («il mio babbo non c’entra», ha dichiarato), mentre l’altra Arianna, la giovane che avrebbe visto l’ombra dell’assassino, viene messa sotto protezione in quanto testimone chiave. Evidentemente si pensa che le ombre possano vendicarsi in qualche modo. E quando proprio non c’è più nulla da dire per rinfrescare l’immagine del uomo mostro… be’, si parla della casa del delitto, una “casa d’autore” citata nei manuali di architettura. Tutto fa brodo per confermare che, a prescindere, il colpevole è l’ex marito.
Ben intesi: noi abbiamo il nostro punto di vista sul delitto. Lo deriviamo dagli elementi riscontrati dai media e dai loro cambi di narrazione nel tempo, il tutto filtrato dalla logica e dal proverbiale “rasoio di Occam”. Per noi Claudio Nanni non c’entra con l’omicidio, che quindi non è un “femminicidio”, qualunque cosa voglia dire quella parola (praticamente niente). È una nostra ipotesi, una mera opinione, che potrebbe venire confermata o smentita a seconda di cosa scopriranno gli inquirenti, se scopriranno qualcosa. A differenza del mainstream, tuttavia, teniamo aperto un varco alla possibilità di sbagliarci e siamo pronti, nel caso, ad ammettere di esserci sbagliati. Quello che auspichiamo in ogni caso è che si arrivi a una verità accertata oltre ogni ragionevole dubbio, con correttezza e senza lasciare nulla d’intentato, visto che di mezzo c’è una vita spezzata. Questo per dire che al centro del nostro discorso non c’è e non vuole esserci la vicenda in sé: in ogni caso, chiunque l’abbia commesso, è un fatto tragico e criminale tra i pochi che (fortunatamente) accadono nel nostro paese, che non si qualifica come più o meno grave a seconda dell’autore o della vittima. Al centro del nostro discorso ci sono i processi e le sentenze emesse sui mass-media, sempre molto rapidi, zelanti e accaniti quando c’è l’ipotesi di un colpevole uomo e del tutto assenti a parti invertite. Sono processi sul nulla che, a prescindere dall’esito giudiziale, fanno orrore e che, in caso il mostro di turno sbattuto in prima venisse poi scagionato, generano rovina e sofferenza in chi è stato ingiustamente e con tanta ossessività bersagliato. Al centro del nostro discorso, insomma, più che la vicenda criminale in sé, c’è una magistratura sempre troppo poco riservata e troppo amante della ribalta, ma soprattutto ci sono questi media italiani da vomito, conformisti e servi. E che siano tali non lo diciamo noi, ma l’ultima classifica sulla libertà di stampa che ci colloca al 41esmo posto, dietro a paesi come Jamaica, Namibia, Costa Rica, Ghana e Burkina Faso.