Abbiamo dedicato l’intera settimana a raccogliere le idee sul “femminicidio” a seguito dell’iniziativa del Governo di proporre un disegno di legge che, oltre a inasprire in linea generale tutte le disposizioni legate al “Codice Rosso”, pretenderebbe di inserire nel Codice Penale il reato di “femminicidio” come fattispecie a sé, con questa formulazione: «Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo». Chiunque invece cagionasse la morte di un uomo per lo stesso motivo o anche per altri, rischia una pena inferiore. Oltre a suonare quasi come una sollecitazione all’uccisione di uomini, è una palese discriminazione, in conflitto inconciliabile con l’Art.3 della Costituzione. Uno di quegli articoli facenti parte di quello che viene chiamato “nucleo rigido” della nostra Carta fondamentale, dentro il quale stanno disposizioni che non possono essere superate da nessun’altra legge, quand’anche venisse da organismi sovranazionali.
Davanti a questa mostruosità, dunque, la domanda è: che fare? Abbiamo raccolto un po’ di impressioni in giro e l’idea è che, quand’anche quella legge venisse approvata, capiterà presto che qualche accusato di “femminicidio”, vedendosi a rischio ergastolo, chieda al proprio avvocato di sollevare un’eccezione di costituzionalità. Quando succede, il processo ordinario viene sospeso e si chiede alla Corte Costituzionale di esprimersi se quella legge è conforme alla Carta fondamentale o no. Si dà per scontato che la Corte stessa si esprimerà cassando la norma, ed è qui uno dei due lati deboli di questo punto di vista. I massimi giudici ci hanno abituato a decisioni più che discutibili, anche di recente, senza contare che anche la Consulta è ampiamente inquinata dall’ideologia femminista che ha ispirato il DdL “femminicidio”. Ma c’è una seconda ragione: per arrivare a questo punto occorre che qualcuno rischi l’ergastolo e che quel qualcuno abbia risorse economiche sufficienti per pagare l’avvocato che sollevi l’eccezione di costituzionalità. E se si tratta di un poveraccio che potrebbe avere diritto ad attenuanti? Non potrà fare nulla se non finire spedito in galera a vita. Qualcuno è disponibile a far pagare questo prezzo. Noi no.
Unica strada: via il DdL.
Altri, soprattutto tra gli esperti di diritto, avvocati e accademici, vorrebbero tentare la strada dell’emendamento. Cioè lavorare con i parlamentari disponibili e contrari alla norma (ce ne sono… stanno zitti per paura, ma ce ne sono) per cercare di trovare qualche cavillo che permetta di inserire qualche altra frase nella legge che, pur restando ferma la sua anticostituzionalità, ne equilibrerebbe il senso. Sarebbe una micro-vittoria, sarebbe il “gol della bandiera”, che non cambierebbe nulla nella sostanza e di nuovo metterebbe sul tavolo la necessità che da un processo emerga la possibilità di sollevare un’eccezione di costituzionalità. Si andrebbe alle lunghe, con sforzi immani per ottenere un risultato puramente simbolico. Anche in questo caso, noi non siamo d’accordo con la strategia proposta perché, oltre alla sua inefficacia, finirebbe per assecondare e legittimare la deriva vittimocentrica a cui da anni è soggetto questo tipo di leggi. Invece di porre al centro il fatto, il reato, e di mantenere sotto la tutela della presunzione di innocenza l’accusato, come impone il principale cardine del processo liberale, tutto si impernia sulla sacralizzazione della vittima, sul suo sentimento. Da processo giudiziario a processo “empatico”, con i disastri che ben conosciamo e il conseguente profluvio di false accuse.
Non ci sono strade alternative: il DdL deve essere ritirato o, se proprio si vuole salvare la faccia di questo vergognoso Governo, gli si deve far fare la stessa fine dell’altrettanto impresentabile DdL Zan, affondato nella palude parlamentare fino allo scioglimento della legislatura. Non è facile perché ormai Meloni, Roccella & Co. si sono esposti. Nella smania di bruciare un argomento agli avversari politici e di mostrarsi “vera destra” di legge e ordine, hanno ormai tratto il dado e molto difficilmente torneranno indietro. L’unico modo è obbligarli, parlando l’unico linguaggio che capiscono, che è quello del consenso. In moltissimi, a tutti i livelli, dall’associazionismo ai professionisti, alle unioni di settore, all’accademia, hanno espresso indignazione e desiderio di mobilitarsi. Ci sono intere galassie fatte di movimenti da sempre separati e parcellizzati che in breve su questo specifico tema possono essere capaci di coagularsi e costituirsi in un potente strumento di pressione culturale, politica ed elettorale. Ancor più ora che su questo inqualificabile centro-destra incombe la figura del generale Roberto Vannacci, il cui eventuale partito politico, con il sostegno anche di Marco Rizzo, viene dato all’11%, terzo partito nel paese.

Davvero Meloni se la vuole rischiare?
L’uno e l’altro potrebbero essere sensibili a questo tema. Potrebbero fiutare l’importanza elettorale di un movimento complessivo che dall’associazionismo fino alle vette dei maggiori esperti di diritto si mostra indisponibile a ingoiare una violenza ai valori di base come quella proposta dal Governo. Potrebbero sapersi posizionare correttamente rispetto al nuovo vento di normalizzazione che, anche su queste tematiche, spira dai rinnovati Stati Uniti, mentre gli altri, compresi i partiti dell’attuale maggioranza, tendono ad opporvisi come asini cocciuti. Ecco allora che in queste condizioni, con un aggregato organizzato, un raggruppamento d’opinione capace di penetrare nel muro di gomma della narrazione unica, il richiamo ai dilettanti allo sbaraglio dell’attuale Governo potrebbe arrivare forte e chiaro: via il DdL “femminicidio” o si paga un dazio salatissimo in cabina elettorale. La domanda è: non personaggi irrilevanti come Casellati, Bernini, Roccella, Piantedosi o Nordio, ma una come Giorgia Meloni, sfolgorante nella sua carriera e nei suoi primati, davvero vuole rischiare di lasciarci la pelle politicamente arroccandosi su un disegno di legge di quel tipo? Se sì, il raggruppamento che deve crearsi a breve sarà felice, tessera elettorale alla mano, di accontentarla.