David Lazzari, Presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi, ha bisogno di aiuto. Non tanto di un collega (possibilmente bravo), quanto di un esperto di statistica e di uno di etica, generale e professionale. Solo così ci si può assicurare che non scriva più sul tema “femminicidio” ruffianerie mediatiche imbarazzanti come quelle che ha consegnato settimana scorsa al sempre zelante Huffington Post. Tesi dell’articolo, proclamata indossando le paludate vesti della scientificità: l’ira non è e non può essere un’attenuante del “femminicidio”. Partiamo dalla radice: nessuno, incluso David Lazzari, sa cosa significhi “femminicidio”, l’abbiamo compiutamente dimostrato in un recente podcast. L’unica cosa certa è che si tratta di un termine di marketing, sul resto nebbia fitta. Nonostante ciò, Lazzari sentenzia che si tratta di «una sconcertante piaga quotidiana», nientemeno, con un salto propagandistico implicito dal già falso slogan “un femminicidio ogni tre giorni” al lunare “un femminicidio al giorno”. Tuttavia, lo si è detto, per bocca di Lazzari parla lascienza, dunLaque ci si deve genuflettere di fronte a un’asserzione bislacca tipo: «le ricerche scientifiche ci confermano come un contesto sociale e giuridico che condanni in modo esplicito, sistematico e assertivo chi commette ogni tipo di violenza, e tra queste, quella di genere che sfocia spesso in uccisione, rappresenti la condizione necessaria e indispensabile per diminuire numero ed entità delle violenze». Considerando che il tema e tutta la mistificazione che ci gira attorno sono secondi nella comunicazione pubblica solo alla questione covid, che le condanne non sono solo “esplicite, sistematiche e assertive” ma addirittura ossessive e strutturalmente falsificate, è facile dedurre che le “ricerche scientifiche” a cui Lazzari fa riferimento o non esistono o sono pura e semplice fuffa.
Ma veniamo al punto: «l’attenuante dell’ira non ha consistenza di tipo psicologico e psicopatologico. Nulla può giustificare una violenza o addirittura un’uccisione». Grazie doc, molto illuminante. Il problema è che ciò che vale per la psicologia o la psicopatologia non vale necessariamente per i procedimenti giuridici. Se così fosse, sarebbe il caos totale, come dimostra chiaramente la sua asserzione: in tribunale l’ira non giustifica certamente un atto criminale, ma al massimo lo spiega, ne dà una contestualizzazione che può comportare non l’assoluzione del reo, come lei pare suggerire, bensì un’attenuante. Questo perché un giudice non deve decidere a quale terapia sottoporre l’imputato, ma se condannarlo e a quale pena: una questione delicata, che incrocia svariati principi fondanti della nostra rantolante civiltà, oltre che la natura profonda dell’essere umano. Nessuno viene assolto, nemmeno l’uomo che lei cita, cui è stata solo ridotta in Appello la pena per omicidio dopo aver dimostrato di essere stato vessato dalla propria vittima fino alla perdita del controllo. Eppure è questo che Lazzari cerca di far credere al lettore, applicando per intero il protocollo fascista di Michela Murgia, che abbiamo visto in azione anche di recente contro Barbara Palombelli: vietato contestualizzare, sia in termini di ragionamento attorno a un fatto, sia durante i procedimenti giudiziari. Tutto va ridotto al fatto in sé, isolato dal resto: lui ha ucciso lei. Ogni altra cosa è superflua. Un approccio esiziale, che come tale dovrebbe venire riconosciuto proprio dal presidente degli psicologi: gli individui dovrebbero aver chiaro che ogni persona ha il proprio limite e che non è mai prudente raggiungerlo o superarlo, senza essere disponibili a considerare le eventuali conseguenze. A meno di non presumere che a qualcuno (implicito: alle donne) sia concessa licenza di fare tutto ciò che vuole senza assumersi quella cosa che è tra i principali strumenti di crescita interiore: la responsabilità.
L’etica personale e professionale si piega agli interessi.
Senza contare un fatto non irrilevante, che Lazzari finge di ignorare: se l’attenuante c’è, essa vale per tutti, donne comprese. Non solo: nei tribunali, ma soprattutto nella comunicazione, essa viene usata ampiamente per giustificare gli atti violenti di una donna verso un uomo. Lei pianta una lama nel torace di lui: «era esasperata», «poverina, chissà cosa le aveva fatto lui per portarla a tanto»… frasi che diluviano sui social media e nell’informazione mainstream, così come dalle labbra dei vari avvocati nei vari tribunali, e che funzionano alla grande quando alla sbarra c’è quel soggetto che si presume per natura mai violento, la donna. Di contro, il meccanismo funzionicchia di tanto in tanto quando in ballo c’è il mostro, quello per natura settato alla violenza più bestiale, ossia l’uomo. Nonostante questi dati di fatto, Lazzari chiama all’adunata tutte le componenti di quella che lui battezza «fabbrica della non violenza», un’espressione che farà venire i ventricoli a Gandhi, nella sua tomba, e che è la versione ruffiana di quella che, ben più realisticamente, noi chiamiamo “Antiviolenza Srl”. Una fiorente azienda con altissimi dividendi, molti dei quali finiscono proprio nelle tasche degli strizzacervelli rappresentati da Lazzari, in special modo quelli che ronzano come mosche attorno all’ampia rete dei centri antiviolenza o dei centri per uomini “maltrattanti”. Una corporate dove, per essere inclusi, occorre essere sempre sul pezzo e mai perdere l’occasione di confermare pubblicamente la mistificazione di base che garantisce l’esistenza a quelle entità. Ecco perché Lazzari decide di segnare il territorio, con il suo contributo sull’Huffington post. «Siamo anche noi nel gioco!», proclama forte dalle sue righe, affinché nessuno se lo dimentichi.
Prova ne è il suo appello finale, indirizzato nientemeno che al Ministro Cartabia, affinché cancelli l’attenuante dell’ira. Per farla bene, occorrerebbe cancellarla sì, ma soltanto per gli imputati uomini. Sarebbe una riforma che regolarizzerebbe ciò che già avviene quasi sempre nella prassi, in effetti. Lazzari poi supera se stesso allargando l’appello anche alla “Commissione femminicidio” (sì sì, proprio quella che non ha mai definito cosa sia il “femminicidio”) affinché possa approfondire statisticamente in quanti casi viene applicata l’attenuante dell’ira. E se i numeri torturati da Linda Laura Sabbadini non dovessero tornare comodi, l’Ordine degli Psicologi, assicura Lazzari, è pronto a «fare squadra per motivare come l’attenuante per “rabbia scatenata da soprusi” risulti un ammiccamento alle spregiudicate ingiustizie, violenze e prevaricazioni di certo maschilismo ancorato all’idea del possesso delle persone e dei corpi». Tradotto: se vi serve un bollino blu di certificazione di scientificità sulle vostre corbellerie ideologiche e sulle vostre falsificazioni propagandistiche, di psicologi pronti ad aiutare ce ne saranno sempre. È tutto molto comprensibile: la greppia è ampia, la pappatoia è ricca e basta allinearsi per poterci mettere il muso dentro. Lo si è visto già in precedenza con l’AIPG e il suo endorsement per gli incostituzionali “emendamenti Valente”, salvo poi una specie di ambigua marcia indietro che ci è stata fatta pervenire. Alla fine di tutto resta un fatto noto: gli interessi attorno alla leggenda della dilagante violenza contro le donne e alla “piaga quotidiana” dei femminicidi sono tanti. Così tanti da piegare anche le più resistenti etiche personali e professionali. David Lazzari ce ne ha data un’ulteriore prova.