Un recente post su Facebook di una ragazzina in crisi, a cui eviterò di dare ulteriore visibilità, lamenta l’esistenza di un corrispettivo della tanto famosa “friendzone”, denominato con molta fantasia “fuckzone” e descritto come uno stato di sfiducia nei confronti della genuinità di qualsiasi rapporto umano con l’altro sesso, in cui ci si sente valorizzati unicamente per la possibilità di un risvolto sessuale, senza alcuna importanza data a cos’altro si abbia da offrire come persona, il tutto enfatizzato con un vittimismo e un’isteria prossimi al “Ti piaccio? Ah, allora significa che mi consideri un oggetto”. Ma “fuckzone” non si riferisce all’altrettanto famosa scopamicizia, come sembra aver capito una larga parte delle centinaia di persone che hanno condiviso il post, bensì allo stato in cui si trova la persona che compie il friendzonamento quando casca dal pero e scopre che quella dall’altra parte ha accettato di esserle amico solo perché sperava in altro, che fosse andarci a letto o stabilirci una relazione romantica. Esatto, non si scopa nella “fuckzone”! E se cogliete l’ironia di chiamarla così, coglierete perché non abbia intenzione di dare a chi lo ha fatto ulteriore visibilità. Cionondimeno, il disagio che ha espresso è sincero e merita risposta, perché vi traspare una profonda e diffusa ingenuità nel gestire il proprio rapporto con l’altro sesso, nel caso in questione con gli uomini.
Ingenuità per cui do la colpa all’incompleta educazione relazionale che tutti riceviamo, alle balle continue che ci raccontiamo su come, uomini e donne, siamo fatti, alla sempre più limitata capacità di imparare dalle sempre più scarse esperienze reali che viviamo, che permette a queste balle di perdurare finché, a un certo punto, non ci crollano addosso. E allora ci incazziamo. Ci incazziamo con l’altro sesso perché non si comporta secondo il nostro copione, quando dovremmo incazzarci per avergli attribuito un’aspettativa non corrispondente alla realtà. E poiché credo fermamente che il miglior strumento contro questo tipo di ingenuità, in mancanza di esperienza diretta o evidente incapacità di elaborarla, sia la corretta informazione, risponderò in modo da fornirla.
Il tango si balla in due.
Cominciamo dalle cose più semplici: il problema non è simmetrico fra uomini e donne. Sì, è vero che ho iniziato dicendo “uno stato di sfiducia nei confronti della genuinità di qualsiasi rapporto umano con l’altro sesso”, ma questo è per come lo descrive l’autrice del post in oggetto, specificando che il problema è generalizzabile in un senso e nell’altro e addirittura fra omosessuali. Non lo è. Mi prendo io la responsabilità di essere quello stronzo e sessista e dire che esiste solo in un ben specifico caso: donna che friendzona e uomini che si fanno friendzonare. Non che l’atto del friendzonamento in sé non avvenga mai a parti inverse o fra omosessuali, ma banalmente non viene vissuto così. Non sentirete mai un uomo struggersi allo stesso modo affermando di non riuscire più a fidarsi dei rapporti umani per aver scoperto che tutte le sue amiche platoniche in realtà vogliono scoparselo.
Assodato questo, fate caso alla scelta delle mie parole: ho detto uomini “che si fanno friendzonare” e non “che vengono friendzonati”. Non è accidentale. Nessuna donna costringe un uomo di cui non ricambia l’interesse sessuale o romantico a restarle amico. È una condizione autoinflitta nel 100% dei casi. Convengo dunque con una ben specifica cosa che ha detto, pur inquadrandola in modo diverso, ossia che la narrativa dell’uomo friendzonato come un “poverino” sia malposta e tossica. Un friendzonato non è un poverino. Nella più indulgente ipotesi è un pirla, un uomo che per ingenuità o vigliaccheria pensa che l’attrazione possa essere compensata dalla confidenza e che far vedere a una donna quanto si è bravi e affidabili come amici sia un valido svincolo alternativo verso la cerniera dei suoi pantaloni. Ma il tango si balla in due.
“La mia migliore amica”? Rarissimo.
E come non faccio sconti a un uomo così ingenuo da credere che passare il proprio tempo ad ascoltare i drammi esistenziali di una donna prima o poi la farà bagnare, non ne farò a una donna così ingenua da credere che un uomo possa sinceramente essere interessato a passare il proprio tempo ad ascoltare i suoi drammi esistenziali. Uomini e donne vivono l’amicizia in maniera fondamentalmente diversa, e questo è tanto più palese da notare quanto più entrambi sono cresciuti socializzando adeguatamente con il proprio sesso. Una donna che friendzona un uomo è solida addossargli solipsisticamente il proprio modo di vivere l’amicizia, spesso lontano anni luce dal suo. Un uomo non si sente valorizzato dal raccontarsi a vicenda i propri drammi, dall’essere il tampone emotivo di una donna che non gliela dà, si sente usato. E la cosa è tanto più frustrante quante più sono le donne che da lui vogliono “solo quello”, senza curarsi del fatto che lui abbia altri, primari bisogni. Suona familiare?
Care lettrici, se il tratto saliente che cercate in una persona è la capacità di farvi sentire ascoltate, come sembra trasparire dalla vaga descrizione di amicizia del post che continuo a menzionare, non state cercando un amico, state cercando un’amica. E un uomo che accetta di farvi da amica, o ha delle grosse carenze di socializzazione maschile che lo rendono incapace di fare l’amico, o lo fa con un secondo fine. Spesso entrambe le cose. Sembra assurdo a me doverlo dire e sembrerà assurdo doverlo sentire alle donne con un minimo di esperienza e consapevolezza, ma a noi uomini non interessa essere i vostri confidenti, ci interessa portarvi a letto. È una realtà difficile da ingoiare (sic!), come d’altronde lo sono molte realtà femminili per noi. Si può reagire piangendo e ostinandosi a non volerla vedere, si può reagire cercando di cambiarla forzatamente e facendo danni colossali nel processo – ogni riferimento a un certo movimento che nella follia di voler rendere le donne uguali agli uomini sta rendendo entrambi più soli e infelici è da prendersi alla lettera – oppure si può reagire adattandosi. Il nostro primo pensiero all’atto di conoscervi è “me la farei oppure no?” e da quello sarà condizionata ogni nostra azione nei vostri confronti. Significa che non siamo capaci di avere un rapporto genuinamente platonico? No. Ma sarà un rapporto formale, di lavoro, oppure un’amicizia parziale e occasionale, basata magari su uno specifico interesse comune. Sarete “quella con cui gioco a pallavolo” o “quella con cui mi piace parlare di filosofia”. “La mia migliore amica”? Rarissimo. Significa che non ci importa di creare un legame profondo con voi come persone? Nemmeno. Ma la cosa per noi è subordinata alla presenza di un legame fisico. Prima vogliamo intimità sessuale, poi facciamo ben volentieri la parte della roccia a cui appoggiarvi. Quando sovvertiamo quest’ordine, o siete praticamente nostra sorella o c’è un fine recondito.