Nel corso degli ultimi giorni si sono manifestati tre eventi che in qualche modo possono essere connessi in un concetto unico: il regime attuale, monopolizzato nella cultura, nella politica e nella società dall’ideologia femminista, è disseminato di inganni profondamente umilianti e dannosi proprio per le donne. Partiamo dal fatto più recente: lo storico Alessandro Barbero, docente universitario e volto noto della televisione, viene intervistato su “La Stampa” nell’ambito di alcune sue lezioni sul tema «Donne nella storia: il coraggio di rompere le regole». Concede ciò che oggi si deve concedere alla narrazione dominante, il prof. Barbero, affermando l’usuale mantra per cui «siamo ancora lontani da un’effettiva parità professionale tra uomini e donne». Poi però, conoscendo il personaggio, non riesce a trattenere un tarlo assolutamente logico che probabilmente gli stuzzica la mente da tempo: «Rischio di dire una cosa impopolare, lo so», esordisce, in realtà del tutto incurante del rischio, lui che si è posizionato già coraggiosamente contro il Dio-Green Pass, «ma vale la pena di chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi, nella vita quotidiana si rimarcano spesso differenze fra i sessi».
Non è che ci sia da girarci troppo intorno: la frase di Barbero contiene una serie di verità incontrovertibili. Donne e uomini hanno molti aspetti in comune, ma sono diversi sotto una formidabile molteplicità di aspetti bio-fisiologici, psicologici, neuronali, comportamentali. Uno non è meglio dell’altra, ma sono decisamente diversi, con differenti talenti e differenti “difetti”. Mettendoli a confronto è piuttosto evidente che l’evoluzione li abbia plasmati entrambi come fortemente complementari. Tutto questo non è opinione, ma verità pressoché assoluta, accertata sul piano scientifico e che, sì, può essere verificata nella vita quotidiana di oggi e del passato. Barbero pone prudenzialmente la questione sotto forma di domanda, ma è evidente che conosce già la risposta: proprio così, ci sono cose che solo le donne o solo gli uomini sanno fare bene, e si tratta di quelle cose più affini alla loro profonda natura, plasmata da millenni di evoluzione e come tale non modificabile da qualche legge, libro o manifestazione di piazza. Naturalmente ci sono diverse aree di sovrapposizione, ma le specializzazioni restano tali e spiegano quasi tutto delle relazioni di genere. Così, là dove ci sono gerarchia e competizione spinta, è tendenzialmente l’uomo a primeggiare; dove ci sono comunitarismo ed empatia solidale, primeggiano tendenzialmente le donne. E non c’è nulla, se non qualche forma di pregiudizio o di invidia, che possa definire una cosa migliore, più importante, più autorevole dell’altra. Un ingegnere aerospaziale non è più fico di una maestra elementare. Guadagna di più, perché è un lavoro altamente specializzato e una professionalità rara da trovare, ma sul piano della dignità e dell’importanza non c’è differenza alcuna. Ed è incontrovertibilmente vero che si tratta di mestieri a cui i due sessi sono rispettivamente più portati, per natura ed evoluzione.
Ripensare l’intero sistema.
Inutile dirlo, la domanda legittimissima e piena di verità di Alessandro Barbero ha scatenato un putiferio, con accuse di sessismo e maschilismo da parte dei lacchè della narrazione unica dominante, tra i quali il primo premio va a Gianni Riotta, che in un tweet sminuisce il professore universitario a «simpatico divulgatore», prospettandone un degrado addirittura di tipo razzista. Reazioni e allusioni indegne di un internato in un manicomio, figuriamoci di un giornalista “di razza” come Riotta. Il fatto è che c’è un’agenda da difendere e da portare avanti e alcuni sono lì proprio per vigilare che tutto vada liscio. Non importa che sia folle, ma tutto deve rispettare il percorso definito dall’ONU (Agenda 2030) e dall’Unione Europea. Va in questa direzione la legge approvata di recente alla Camera proprio per la “parità salariale”: molti si stupivano e indignavano di un Parlamento che ufficializzava la tesi di “Ruby figlia di Mubarak”, ma nessuno si stupisce o si indigna della stessa istituzione che, nel fare una legge del genere, di fatto dichiara implicitamente l’illegalità dei “contratti collettivi nazionali di lavoro” adottati finora e per decenni, perché discriminatori nello stabilire il salario tra dipendenti uomini e dipendenti donne. Naturalmente è una distinzione inesistente, nei CCNL non si fa alcuna discriminazione, dunque di fatto abbiamo un Parlamento che legifera per riparare un’anomalia che non esiste. L’idea geniale, che farebbe impallidire Orwell, è naturalmente del PD, ed è più una chiamata alle elettrici prima delle amministrative che altro. Ora la legge dovrà passare al Senato, e se mai verrà approvata aggiungerà un tassello in più al quadro distopico e involutivo progettato più in alto, quello che i vari Riotta difendono a spada tratta.
In presenza infatti di leggi che già impongono la parità salariale tra uomini e donne, i CCNL appunto, la norma in questione in realtà stabilisce qualcos’altro: una sorta di “certificazione rosa” da riconoscere alle aziende che dimostrino di avere a cuore la parità tra dipendenti di sesso diverso. Ma come arrivare a dimostrarla? Semplice: accettando il postulato che il personale femminile sia penalizzato per sua stessa natura e dando quindi, ovunque possibile, vie preferenziali alle donne quando si tratterà di assunzioni, superminimi, permessi, licenze e ogni altro istituto già disponibile per legge. Tutto verrà controllato da speciali auditor che verificheranno bilanci e organigrammi e se tutto sarà in ordine, verrà rilasciata la certificazione. Sì dirà: be’, finché non è obbligatoria, poco male. A parte che è già grave che una cosa del genere sia stata pensata, in ogni caso l’obbligatorietà viene scavalcata dall’offerta di uno sgravio fiscale significativo (fino a 50.000 euro) per le aziende che si adeguino ai parametri stabiliti dalla legge e ottengano la certificazione. A stretto giro, poi, oltre a questa proposta, si sbandiera che è stato inserito nella previsione di bilancio un taglio della tassa gravante sugli assorbenti femminili. Grida di giubilo si sono levate da ogni parte e in tantissimi tra associazioni, partiti, singoli personaggi politici, si sono affollati a intestarsi questa grande conquista. Ben intesi: il taglio delle tasse per strumenti di igiene di tale importanza e di così ampio uso è sacrosanto, non importa chi ne sia il fruitore. Anzi a ben vedere è limitante, perché un identico taglio meriterebbero allora anche i pannolini per bimbi o quelli per anziani contro l’incontinenza, ma è ben noto che nella gara dei privilegi (come in quella delle violenze) le donne vincono sempre su minori e vecchi. Il tutto non si sa bene come si concili con le asserite politiche green, visto che proprio assorbenti e pannolini sono tra gli oggetti più inquinanti in assoluto. Forse più che tagliare le tasse sarebbe il caso di ripensare l’intero sistema insieme a chi produce questi beni, ma si tratterebbe di una strategia di ampio respiro, quindi impossibile da concepire per la politica asfittica che attualmente governa.
Donne che barattano la vita con un po’ di orgoglio.
Perché però si è detto all’inizio che questi fatti concatenati rappresentano un inganno, un danno, un’umiliazione per le donne? Pare evidente che sottoporre a shitstorm Barbero per aver posto una domanda-chiave nell’ottica di una piena realizzazione delle donne, sia qualcosa che va a danno delle donne stesse. È negando l’oggettiva diversità-complementarietà tra uomini e donne che si rende difficile, talvolta impossibile, la realizzazione di relazioni complete e compiute tra i due sessi; è così che si semina zizzania e sciocca competizione tra due generi costruiti dall’evoluzione apposta perché cooperino; ma soprattutto è così che si inducono molte donne a non a eccellere in ciò che più sentono affine alla propria natura, bensì a contendere le attività maschili in campi lontani dalla propria indole. Fior di studentesse, ad esempio, oggi subiscono pressioni, espresse con toni vagamente rivendicativi, affinché scelgano percorsi di studio STEM, con il rischio connesso di produrre studentesse infelici e nel futuro professioniste insoddisfatte e non all’altezza. È la costruzione di un futuro di ingegnere mediocri e infelici al posto di efficaci e appagate insegnanti o dottoresse. Dichiarare guerra alle inclinazioni naturali non è mai saggio, tendenzialmente crea sfracelli: con la scusa della lotta agli “stereotipi”, spacciati come il male assoluto, le donne vengono spinte alla conflittualità con l’uomo, il loro genere viene parificato a una disabilità o a una specie animale in via d’estinzione e l’emancipazione proposta non è mai autenticamente femminile, ma sempre declinata nell’ottica del confronto-scontro con l’uomo. Una donna normale, cioè immunizzata dall’ideologia femminista, dovrebbe sentirsi profondamente offesa e danneggiata da tutto questo. nonché preoccupata dagli sviluppi conseguenti.
Gli sviluppi conseguenti sono proprio leggi come quella sulla “parità salariale” o sul taglio della “tampon tax”. La prima rientra proprio in quell’ottica generale che equipara l’esser donna all’essere bisognosa di sostegni, assistenza pubblica, protezione, incentivi, promozioni legate non a fattori di performance, come accade in ogni posto di lavoro che si rispetti, ma all’appartenenza al proprio genere. Non c’è rispetto della straordinaria capacità lavorativa di una donna se le si concede un superminimo, un permesso, una via preferenziale in quanto donna e non perché straordinariamente brava in ciò che fa. Non c’è dignità nel vedersi preferita al collega uomo, magari più performante, ma penalizzato in quanto uomo, che magari in un altro contesto potrebbe essere un fratello, un marito o un figlio. Di nuovo: le donne stesse dovrebbero sentirsi insultate, sminuite, offese e danneggiate da tutto questo e dovrebbero protestare. Invece sono tutte sollecitate a plaudere ed esultare perché finalmente la tassazione sugli assorbenti passa dal 22% al 10%. Peste colga chi non scende in piazza sventolando con orgoglio pienamente femminile un tampone o una fettuccia assorbente, possibilmente usati, così la fierezza è più evidente. Molte cascano nell’ennesimo inganno e davvero si mostrano felici e soddisfatte di un taglio del 12% sui propri assorbenti intimi, mentre alle spalle loro e delle loro famiglie le tariffe energetiche e i prezzi dei beni al consumo rincarano del 30/40%. È anche dell’assenza di donne consapevoli di queste crudeli e dannose prese in giro per loro stesse che si sente il peso, oggi. In troppe ancora barattano la possibilità di una vita giusta e piena, da sole o al fianco degli uomini, con un po’ di fatuo orgoglio di genere a buon mercato. Uno dei punti focali della resistenza al transumanesimo in costruzione sta anche lì.