Andiamo fuori tema, stavolta, anche se non troppo. Non ci siamo mai occupati di coronavirus e pandemia per il semplice motivo che non abbiamo competenze scientifiche. Però abbiamo dimestichezza con numeri e statistiche, e attendevamo ne venissero pubblicate di ufficiali per elaborare qualche riflessione. Che, come si vedrà, non si concluderà con risposte, ma con molte domande, com’è diritto per qualunque cittadino consapevole e attento. In premessa, e per evitare facili accuse di “negazionismo”, ci pare evidente che il covid esista, non se ne può smentire l’esistenza, sebbene sul suo reale isolamento le notizie non siano univoche. Il nostro interesse è utilizzare i dati per capire se la sua diffusione e letalità siano tali da giustificare la gigantesca emergenza che perdura da mesi e che ha cambiato il nostro stile di vita e snaturato la quasi totalità delle nostre libertà e della nostra democrazia. L’occasione viene dalla pubblicazione da parte dell’ISTAT del numero di decessi in Italia dal gennaio a novembre del 2020, all’interno di un file excel scaricabile dal sito ISTAT (i dati di novembre sono una stima e quelli di dicembre al momento mancano).
Il file contiene il conteggio dei decessi suddivisi per provincia e per mese, con un curioso confronto con la media dei decessi avvenuti in Italia tra il 2015 e il 2019, e senza che vengano calcolati i totali nazionali. Una scelta doppiamente curiosa: i totali sono indispensabili per comprendere il fenomeno su scala nazionale, ma soprattutto ISTAT ha a disposizione i dati totali dei decessi annuali dal 2011 al 2019, che per altro mette a disposizione in un’utile banca dati pubblica, dunque perché fare una comparazione con una media quadriennale e non con i dati veri e propri di ogni anno? Abbiamo allora elaborato noi i dati mancanti (excel integrato scaricabile qui), utilizzando i dati forniti dall’ISTAT nel suo excel e quelli presenti nella sua banca dati online. Gli esiti sono meritevoli di essere osservati e di una riflessione profonda. Nel confronto tra il totale dei decessi del 2020 e la media quadriennale considerata si nota un incremento dei morti pari al 13%, circa 77 mila decessi, in linea con quanto viene detto dalla comunicazione pubblica. Non è una percentuale da peste bubbonica o febbre spagnola, ma comunque un dato incontestabilmente grave.
Dirimente è la questione di/con covid.
La musica cambia un bel po’, però, se si va oltre il dato medio quadriennale, che inevitabilmente “schiaccia” i dati di picco e sovrastima i numeri minimi. Nella seconda scheda del nostro excel è dunque possibile vedere il confronto tra i decessi di ogni anno, dal 2011 al 2019, e quelli registrati nel 2020. Si nota una notevole variabilità, ben rappresentata dal grafico (qui sopra), che mostra anche una tendenza in crescita dei dati di mortalità. Quello che si nota è che i dati del 2020 sono sicuramente i più alti mai registrati dal 2011. Si nota soprattutto che la variazione percentuale dei decessi rispetto ad alcuni anni del passato non è molto rilevante, posizionandosi sul 2,6% (2015) e 2,4% (2017). Il quadro risulta ancora più chiaro se si fa, anno per anno, utilizzando i valori assoluti e non le medie, lo stesso raffronto fatto dall’ISTAT: nel terzo foglio del nostro excel abbiamo raffrontato l’andamento dei decessi di ogni anno rispetto all’anno precedente, con gli esiti piuttosto chiari rappresentati nel grafico (qui di seguito). Si conferma che nel 2015 si ebbe un incremento della mortalità eccezionale rispetto al 2014, idem nel 2017 rispetto al 2016. In entrambi i casi si trattava di un incremento maggiore di quello che si sta registrando quest’anno rispetto al 2019. In allora il covid non c’era, ma soprattutto nessuno gridò all’emergenza. Di fatto quel 13% di incremento dei decessi registrato dall’ISTAT e calcolato in raffronto a una media quadriennale, crolla al 4,8% se calcolato in raffronto al 2019, mentre il numero assoluto di morti in più passa da 77 mila a 30 mila.
Dunque già negli ultimi dieci anni la mortalità ha conosciuto picchi notevoli, senza che il covid arrivasse a dare il suo contributo peggiorativo. È lecito allora chiedersi quale sia questo suo contributo e in questo senso si giunge alla questione centrale: i morti di covid e i morti con covid. Un’informazione che non è mai circolata né presumibilmente mai circolerà in un contesto dove la mera positività viene associata alla malattia conclamata. Che, stando ai numeri, parrebbe davvero avere il tasso di mortalità affermato di recente ad esempio dal Prof. Giorgio Palù: 0,5% o giù di lì. Un tasso per altro, a dimostrazione di quanto sia dirimente la questione di/con covid, rovinoso soprattutto per categorie specifiche di persone: anziani, persone immunodepresse o affette da gravi malattie pregresse. Su di loro il covid arriva come una maledetta falce, è indubbio, mentre resta avvolto nel mistero se sia possibile o mai accaduto che una persona giovane e in piena salute sia stata uccisa dal solo covid e quale sia la percentuale di questi rispetto a chi, con il proprio sistema immunitario o attraverso cure efficaci, abbia vinto il virus e sia guarito.
Riterremmo necessario un momento di chiarimento definitivo.
Alla luce dei numeri dell’ISTAT, integrati da un confronto storico corretto, come abbiamo fatto, non è possibile trarre conclusioni definitive, tanto meno a carattere scientifico, ché non abbiamo le competenze per farlo. Si può però stilare un lungo elenco di domande, cui sarebbe dovere degli specialisti e del Governo dare qualche risposta. Qual è il reale apporto negativo del covid sul tasso di mortalità del 2020? Quante persone sono morte di covid e quante con covid e quali erano lo stato di salute e l’età di questi ultimi? La variazione della mortalità di quest’anno, comparata con quella dell’anno precedente, è inferiore ad altri picchi registrati in passato, quando il covid non c’era, e di poco superiore, in termini assoluti, ai decessi registrati in quei singoli anni: è legittimo da ciò desumere che il covid abbia una sostanziale bassissima letalità e dunque non giustifichi le restrizioni messe in atto dal marzo scorso ad oggi? Se si conferma la scarsa letalità del virus, per altro circoscritta maggioritariamente a soggetti specifici, ha senso gettarsi nell’avventura di un vaccino di cui non si conoscono gli effetti a lungo termine e distribuito secondo accordi discutibili, invece che investire con decisione nelle cure e nelle infrastrutture e nel personale sanitario, concependo sistemi di profilassi specifici indirizzati soltanto ai soggetti più a rischio e non indiscriminatamente a tutta la popolazione? Quest’ultima domanda andrebbe integrata alla luce del fatto che i dati italiani sono sicuramente frutto positivo del lockdown di sei mesi, che però andrebbe visto anche nella prospettiva dell’andamento del virus e dei suoi effetti in taluni altri paesi: in Brasile ad esempio, dove le restrizioni sono state minime, al momento si ha un tasso di mortalità pari all’Italia pur avendo una popolazione maggiore di più di tre volte; o Cuba, che senza restrizioni e un sistema sanitario pubblico all’avanguardia, al momento conta 15o decessi su una popolazione di 11 milioni di persone.
In attesa che qualcuno (se mai accadrà) risponda a queste domande, non possiamo fare a meno di notare alcune angoscianti somiglianze tra l’emergenza covid e l’emergenza violenza sulle donne, tema quest’ultimo spesso trattato su queste pagine. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di fenomeni esistenti e gravi, indubbiamente, ma non tali da costituire emergenze nazionali. Nell’uno e nell’altro caso, poi, sembra si applichi la nota regola del: “esageriamo all’inverosimile l’emergenza e otteniamo quanto non otterremmo in condizioni normali”. La sovrastima parossistica del fenomeno “violenza sulle donne”, lo si è detto spesso qui, serve a garantire una diffusa circolazione di denaro pubblico in tasche private, posti di potere e ampie clientele, a discapito della normale capacità relazionale tra uomini e donne. La stessa sovrastima del pericolo covid non è chiaro ancora che vantaggi porterebbe e a chi, considerando la sua ampiezza globale. Non si può tuttavia non prendere atto che ovunque tale emergenza viene usata per tenere in piedi una situazione di sospensione delle libertà di tutti e della democrazia, in uno scenario dove si alimenta un’assurda polarizzazione divisiva tra le persone (pro-vax e no-vax, covidisti e anticovidisti, eccetera) e dove le fake news sono la regola, fino all’assurdo di dover ricorrere al proprio avvocato per fermare la diffusione di bugie strumentali sul proprio conto e smentire l’intero apparato mediatico nazionale, come capitato all’infermiera Claudia Alvernini. In attesa di una risposta alle nostre domande, riterremmo necessario un momento di chiarimento definitivo, ad ogni livello.