La Festa del Papà è ogni anno il pretesto per una riflessione sulla figura paterna il che, negli ultimi decenni, coincide tipicamente con il rifiuto dei presunti “stereotipi” di mascolinità e paternità tradizionale, per non parlare della retorica sulla “mascolinità tossica”, mentre viene promosso un modello di padre sempre più appiattito sul ruolo tipico delle madri, in ossequio all’agenda della “parità di genere”, la cui mira è assimilare uomini e donne negando le loro specificità naturali e biologiche. Negli USA, a differenza che in Italia dove è collegata alla figura biblica di San Giuseppe, la Festa del Papà si celebra la terza domenica di giugno. Fu istituita ufficialmente nel 1966, solo 52 anni dopo quella della Mamma (ovvio, in un patriarcato che bisogno hanno gli oppressori di auto-festeggiarsi?) ma era stata proposta diversi decenni prima, nel 1910, da una donna, Sonora D. Smart, per celebrare tutti i padri d’America, sull’esempio del proprio, William Jackson Smart, veterano di guerra e, dopo la morte prematura della moglie, unico responsabile di quattordici figli, che crebbe con abnegazione e sacrificio. L’agenda femminista e gender è particolarmente vistosa nella narrazione della “violenza di genere”, delle quote rosa e simili, oppure in quei messaggi in cui la figura maschile viene sminuita, o dipinta come intrinsecamente “tossica”, mentre è più subdola, ma non meno perniciosa, in quelle narrazioni in cui si tende a presentare come virtuosa una figura maschile modellata su caratteristiche tipicamente femminili, e a contrastare come dannosi presunti “stereotipi” delle tipicità del sesso maschile.
Si guardi ad esempio uno spot appena uscito del Glenlivet, uno dei più amati whisky scozzesi (tipico prodotto a consumo maschile), dal titolo Cosa vuol dire essere padre oggi? Protagonisti sono quattro coppie padre/figlio o figlia (neanche tutti biologici: in un caso il padre è adottivo) che leggono e commentano tra loro il testo di uno spot per la Festa del Papà. Il testo che viene letto recita: «Figlio mio, ti ricordi quando siamo andati in campeggio insieme in montagna? Abbiamo fatto un fuoco usando nient’altro che legna e pietre, non è stato facile ma ce l’abbiamo fatta. E per cena abbiamo pescato. Eravamo “tosti” allora, ma lo siamo ancora! Sappiamo ancora come cavarcela in ogni situazione, non importa quanto dura o complicata. E sappiamo apprezzare le cose semplici della vita, come godersi un buon whisky con la propria famiglia e gli amici intorno a un fuoco. Salute ai cacciatori e agli avventurieri, a coloro che sanno assumersi dei rischi e sfidare i propri limiti: salute ai padri e ai figli, uniti da un legame fatto di forza e di resilienza». Un bel testo, no? Ovviamente no: per Glenlivet si tratta di un’esposizione di beceri e dannosi stereotipi, assolutamente da respingere, come fa uno dei quattro padri appena il figlio finisce di leggere lo script, con un disgustato «oh mio dio!» che gli scappa di bocca.
L’importanza del ruolo paterno.
Il catch dello spot è che il testo viene presentato come generato da una intelligenza artificiale. Vediamo espressioni di sorpresa da parte degli attori nello scoprirlo, poi ci sono i commenti, tutti costruiti nel senso di demolire gli stereotipi cattivi, frutto di decenni di patriarcato e assorbiti dall’intelligenza artificiale. La prima cosa che viene sottolineata è che il testo comincia con “Figlio”, donde l’indignazione degli attori nei due casi in cui si tratta invece di una figlia femmina: l’AI ha osato usare il maschile generico! Per smontare lo stereotipo che vuole i ragazzi più “tosti” delle ragazze, una delle figlie si chiede con un tono un po’ di scherno: «È stato davvero così difficile accendere un fuoco e catturare dei pesci?». Uno dei padri sottolinea: «Dà per scontato che se un padre andrà in campeggio porterà con sé il figlio maschio, e non la figlia femmina» e subito uno dei figli si affretta a sottolineare che non ama il camping selvaggio, preferisce le comodità; ma anche una delle figlie, subito dopo, rifiuta le proposte del padre di andare a caccia o in campeggio o anche solo a pescare: «Una qualsiasi cosa nella natura selvaggia?» propone il padre alla fine, e la figlia risponde «Stiamo nel giardino di casa, ti piace così tanto la tua erba!». L’altra figlia poi spiega con tono perplesso: «Non mi avrai insegnato come sopravvivere e cavarmela all’aperto, ma mi hai insegnato l’empatia e la fiducia in me stessa». Due attori proseguono in montaggio alternato a descrivere, con manifesto rifiuto espresso con mimiche caricaturali, il ruolo tipico dell’uomo come quello di chi è forte, resistente, “super-stoico” e non mostra mai le proprie emozioni. In realtà l’uomo vero, ci viene detto, può apparire rude all’esterno ma “dentro” è un marshmallow, come dice una delle figlie. Uno dei figli seguita a spiegarci che la mascolinità tradizionale è un ruolo «ansiogeno» perché comporta un costante tentativo di ambire a un ideale di “vero uomo”. L’altro figlio ci dice che suo padre è un esempio di «mascolinità positiva»: «non fugge dalle proprie emozioni, non ha paura di piangere, e soprattutto non ha paura di farlo davanti a me». Lo spot si chiude con le sovraimpressioni: «Celebriamo tutti i tipi di padri», e «Glenlivet. Non il solito padre stereotipato». Nella pagina di presentazione dello spot si invita candidamente a «demolire gli stereotipi», con un hashtag apposito, #breakthestereotype che però, nella pagina dedicata, si rivela essere piuttosto rivolto allo stereotipo del tipico bevitore di whisky, apparendo quindi meramente una strategia di Glenlivet per allargare il proprio bacino di consumatori.
Ringraziamo Glenlivet per non aver proposto nello spot una rappresentazione esplicita di un padre omosessuale o magari di una donna che si identifica in un uomo e fa il padre. Ma ci urge comunque una risposta: noi non ravvisiamo un problema nel fatto che i padri siano diversi dalle madri, e che i figli siano diversi dalle figlie. Non si tratta di pure convenzioni sociali ma di realtà empiriche profondamente connaturate alla biologia dell’essere umano. Un report del 2016 dell’American Academy of Pediatrics ad esempio documenta come «La letteratura scientifica dell’ultima decade, con un numero crescente di studi peer-review dedicati specificamente alla figura paterna, offre una chiara percezione del ruolo unico e fondamentale dei padri nella formazione dei figli. Questi studi dimostrano che il ruolo del padre, che differisce da quello della madre in modi non sostituibili, specialmente negli ambiti della dieta/nutrizione, dell’attività fisica, del gioco e della disciplina, ha un decisivo impatto positivo sulla salute del figlio». Un’ampia meta-review del 2018 condotta sui dati forniti da 34 studi, per un coinvolgimento totale di oltre 37000 soggetti, documenta come lo stile genitoriale paterno sia profondamente diverso da quello materno e come questa differenza, nell’integrazione dei due ruoli, contribuisca a migliorare la qualità della vita dei figli. «Mentre le madri sono mediamente più accoglienti nella propria relazione col figlio, i padri sono più attenti a preparare il figlio alle avversità della vita. I loro giudizi sono meno emotivi e più realistici, e pertanto più validi nel monitorare e prevedere problemi comportamentali o deficit cognitivi che possono affliggere i figli nel corso della crescita. Il ruolo paterno è fondamentale nel ridurre il rischio di delinquenza e abuso di sostanze nei figli, e contribuisce a una loro migliore performance negli studi».
Noi non ce lo beviamo.
Il report del 2016 sottolinea anche quanto il benessere fisico e mentale del padre sia un elemento chiave per il benessere del figlio, dimostrando ad esempio come l’obesità nel padre presegnali un rischio alto di obesità nel figlio, e come la depressione possa influire negativamente sul coinvolgimento del padre nella crescita dei figli e sui propri comportamenti genitoriali. Ci si può chiedere quanto tutta questa retorica volta ad azzerare gli “stereotipi” sull’uomo e sulla figura paterna, a schernire valori come l’autodisciplina, l’attività fisica all’aria aperta, la forza, la capacità di cavarsela in scenari difficili e di resistere ai colpi della vita, in favore di caratteristiche come l’arrendersi alle proprie emozioni del momento, o adottare il pianto come risposta ai problemi e soprattutto farlo davanti ai propri figli, contribuiscano effettivamente al benessere fisico e mentale degli uomini. In linea con la vulgata femminista, Glenlivet ci propina uno scenario in cui l’uomo che scimmiotta la donna sarà più felice ed un miglior padre. Noi non ce lo beviamo.