La decisione del governo Sanchez in Spagna è di un po’ di tempo fa (marzo 2019), ma le sue disposizioni sono entrate in vigore a tutti gli effetti soltanto all’inizio di quest’anno: alla nascita di un figlio, madre e padre avranno lo stesso numero di giorni di congedo dal lavoro. Si tratta di 16 settimane di congedo, di cui sei obbligatorie, pagate al 100% dello stipendio. Le prime 6 dovranno essere godute subito dopo il parto e in maniera simultanea dai genitori, le successive 10 nell’arco del primo anno di vita del bambino con la possibilità di alternarsi nei permessi.
Non è una misura a costo zero, si stima che costerà circa 1,2 miliardi all’anno, ma è una rivoluzione copernicana nella realtà spagnola, dove solo il 2% degli spagnoli, secondo i dati della previdenza sociale, richiederebbe il permesso di paternità, per anni limitato a 5 settimane. “La maternità non può essere un’arma contro lo sviluppo lavorativo e civico delle donne, ma deve essere una scelta libera, per cui dobbiamo farci tutti corresponsabili”, aveva dichiarato la vicepremier e ministra per l’uguaglianza Carmen Calvo al termine del consiglio dei ministri che aveva approvato il decreto. In altre parole, il femminismo iberico si era subito intestato questa innovazione. Non del tutto a torto, in realtà.
Un miracolo nella Spagna iperfemminista.
Il provvedimento includeva infatti anche misure per combattere il gap salariale fra uomini e donne, come un registro dei salari, nelle imprese con oltre 50 lavoratori disaggregati per sesso, categorie e gruppi professionali, da comunicare a comitati di fabbrica e sindacati. I piani aziendali devono includere obbligatoriamente un audit dei salari, misure di corresponsabilità e di prevenzione degli abusi sessuali. Ed è previsto l’annullamento del licenziamento delle donne in gravidanza anche durante il periodo di prova, o dei lavoratori che rientrano al lavoro dopo i permessi parentali, almeno nei 12 mesi dopo averli goduti. Un pateracchio che mescola iniziative sensate e altre di pura fuffa, con cui Sanchez è poi riuscito a sfangarla alle elezioni politiche che si tennero due mesi dopo l’approvazione del decreto.
Nulla da dire sulle misure relative al gap salariale, con tutti i procedimenti collegati, roba a metà tra l’Unione Sovietica e un mondo di pazzi. Tutta spazzatura ideologica e oppressiva per guadagnare il voto delle femministe. Parzialmente fuffoso, almeno ai nostri occhi, il divieto di licenziare donne in gravidanza: da noi questo tipo di tutele ci sono già. Interessante invece lo stesso divieto per chi rientra dal congedo: da come è formulata la legge, sembrerebbe valere anche per i padri, il che sarebbe giusto e pure un po’ miracoloso, trattandosi della Spagna iperfemminista delle Irene Montero & Company.
Le aspettiamo al varco.
Di sicuro però il colpaccio è l’equiparazione nei congedi, che ora vengono chiamati “neonatali”. Quello è un passo importante, su cui le femministe spagnole hanno fatto festa, additando i loro uomini in modo maligno: «ha-ha! Adesso tocca anche a voi sorbirvi il pupo!», come se davvero per gli uomini del 2021 fosse una pena mollare il lavoro per accudire il proprio figlio. In questo senso le femministe cadono due volte vittime della loro retorica obsoleta e da quattro soldi. La loro sopravvivenza, come gruppo ideologico e mobilitato, dipende dalla persistenza dell’immagine di un uomo d’epoca “industriale”, che non esiste più da una cinquantina d’anni, più o meno. A forza di affermarne l’esistenza, se ne sono convinte loro stesse. In realtà a far festa per primi sono proprio i padri, che da tempo hanno capito quanto sia meglio farsi “sfruttare” dalla casa e dal proprio figlio piuttosto che da un datore di lavoro.
La seconda fregatura che si sono date senza rendersene conto è l’effetto che l’equiparazione “a monte”, cioè alla nascita del figlio, può avere nella sua fase “a valle”, cioè al momento della separazione e della decisione sull’affido. Se oggi l’uomo può (anzi deve per legge) accudire il figlio appena nasce, non si vede perché non possa farlo una volta che sopravviene una separazione. Starà agli hombres iberici, dopo aver subito le leggi più discriminatorie d’Europa, sfruttare l’occasione per estendere la ratio della legge fino a quel punto, dando così scacco matto alle femministe su uno dei temi per loro più sacri: la maternal preference con ricco assegno annesso. In questo senso fanno ridere le iniziative del nostro Ministero della Famiglia: miseri contentini ai padri lavoratori. La vera rivoluzione, attesa da tempo, è un’ampliamento a dismisura dei congedi, con una parità perfetta tra padre e madre e un’obbligatorietà prolungata in entrambi i casi. Le femministe nostrane copiano tutto dalle “sorelle” spagnole. Attendiamo con ansia dunque che le imitino anche su questo. Le aspettiamo proprio al varco.