La Fionda

Condizionamenti di massa: l’unica emergenza in Italia sono i “femminicidi”

Il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica offre, con il suo report ferragostano, un quadro riassuntivo delle attività e delle iniziative di tutte le componenti del ministero dell’Interno, affrontando il tema della sicurezza a 360 gradi. Il report del Viminale pubblicato a ferragosto, di cui abbiamo già parlato qui, è infatti composto da 61 pagine, dense di dati, grafici e tabelle. I dati pubblicati sono di estrema rilevanza e riferiscono tutta l’attività delle Forze dell’Ordine: terrorismo interno e internazionale, criminalità organizzata, truffe agli anziani, traffico di stupefacenti, omicidi, furti, rapine, reati informatici, incendi boschivi, e poi vittime del racket e dell’usura, persone scomparse, scuole sicure, immigrazione clandestina, accoglienza migranti e richiedenti asilo, particolari focus sull’emergenza Afghanistan ed Ucraina, e tanto altro. 61 pagine di cui 60 ignorate dai media e una – solo una, sempre la stessa – ossessivamente rimbalzata nei TG pubblici e privati, nelle testate di carta stampata, nelle edizioni online di tutti i media nazionali e locali. Tutte le fonti di informazione, ma proprio tutte, riportano esclusivamente i dati della pagina 19: 125 decessi femminili, tutti spacciati per femminicidi.

Qualcuno ricorda un titolo sulla criminalità organizzata, sul terrorismo, sul traffico di stupefacenti, sull’accoglienza ai migranti o altro? Silenzio assoluto, problemucci di poco conto, l’unica emergenza sociale da inculcare nella coscienza collettiva deve essere il femminicidio. Facciamoci qualche domanda

  • È una improvvisa distrazione collettiva di tutti i giornalisti italiani sui dati dell’intero report, tranne pagina 19?
  • È un condizionamento inconscio nell’assoggettarsi all’ideologia politically correct?
  • È una sorta di servilismo rispetto alla propaganda istituzionale in atto da anni?
  • È un diktat imposto dall’alto per puntare i riflettori su un solo fenomeno, oscurandone altri?
  • È una costruzione artificiale di ciò che il popolo-bue deve essere indotto a considerare “il problema” per eccellenza?
  • È un pretesto per varare stanziamenti a pioggia come doverosa soluzione alla più estesa e terribile emergenza nazionale?
  • Si tratta di altro?

Va ricordato che le voci del PNRR 2021 prevedono stanziamenti alla voce “questioni di genere” superiori a quelli previsti alla voce “sanità”, nonostante il mondo intero fosse in piena emergenza sanitaria quando il PNRR stesso è stato concepito. In qualche modo bisogna inculcare nella collettività un germe strisciante: il femminicidio è la madre di tutte le emergenze, dunque riflettori su pagina 19, tutto il resto non conta, anche se di fatto si tratta del confezionamento di un allarme falso, attuato in cinque precise fasi successive.

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Le falsificazioni sui “femminicidi”.

Fase 1: prendere il dato globale del fenomeno “omicidi volontari”. Fase 2: enfatizzare solo il dato che riguarda le vittime femminili, anche se minoritario. Fase 3: ignorare il dato che riguarda le vittime maschili, anche se maggioritario. Fase 4: giocare sull’equivoco, facendo credere che tutte le vittime femminili, nessuna esclusa, siano catalogabili come “femminicidio”. Fase 5: lasciare che i media abbocchino. L’esito è dunque che tutti, anche all’estero (come di vede nella slideshow qui sopra), titolano “femminicidi in aumento, uno ogni tre giorni – 125 donne uccise nell’ultimo anno”, senza che nessuna fonte ufficiale smentisca, chiarendo l’equivoco di fondo sul quale è costruita la menzogna. In tutto questo, va sottolineato ancora, gli uomini uccisi sono 194, il 60,8% del totale, un dato non funzionale alla costruzione di un allarme artificiale, che quindi viene ignorato. Per gli uomini non viene scorporato il dato relativo a quelli uccisi da mogli, fidanzate, conviventi o ex, non nasce una commissione parlamentare ad hoc, non nasce un allarme sociale, ci mancherebbe. Il report del Viminale dice che 108 vittime femminili sono conseguenza di eventi maturati “in ambito familiare o affettivo”, è questa la dicitura utilizzata, che però non specifica il genere dell’autore, né il movente. Mancanza gravissima, imperdonabile, poiché il cosiddetto femminicidio (ricordiamolo ancora una volta: termine esclusivamente mediatico ma inesistente nel codice penale, sia come fattispecie autonoma di reato che come aggravante) dovrebbe, nelle intenzioni di chi ne rivendica la validità, connotare i fatti di sangue che vedono una donna uccisa inquantodonna.

Lo so, uccisa inquantodonna non vuol dire nulla, ma è la propaganda femminista a dire che le donne vengono uccise per la sola “colpa” di essere donne. Altre fonti dicono che, come requisito essenziale, l’assassino deve essere un uomo; poi la colpa dell’evento delittuoso è attribuibile al patriarcato, all’oppressione di genere, alle sovrastrutture culturali maschiliste, alla fallocrazia, alla mascolinità tossica, al possesso, alla gelosia morbosa, all’incapacità maschile di accettare la fine di un rapporto e una dozzina di motivazioni più o meno analoghe. Tuttavia le contraddizioni dilagano, perfino l’assassino di genere maschile non è un requisito indispensabile: la povera bambina uccisa dalla madre viene inserita tra i femminicidi, e a chi fa notare l’assurdità viene risposto che, pur essendo una donna l’assassina, a giudizio di chi compila gli elenchi la morte della piccola ha “una matrice patriarcale” quindi è femminicidio. L’hanno scritto davvero. Ma non è tutto: nella classificazione “donne uccise in ambito familiare o affettivo” entrano anche le donne uccise da altre donne (le madri, le figlie, le nipoti, le partner o ex partner omosessuali), uccise per movente economico (debiti insoluti, ricatti, eredità contese) o uccise per non farle più soffrire. Quest’ultimo è il filone, purtroppo corposo ogni anno, dei delitti di anziani che uccidono la moglie malata terminale e poi si suicidano. È la pietà la molla scatenante, nulla a che vedere con gelosia morbosa, patriarcato, ecc., comunque finiscono sempre tra i femminicidi.

Valeria Valente
La Sen. Valeria Valente

A chi giova l’allarme fittizio?

Ultimo distinguo del report: “in particolare 68 donne sono state uccise da un partner o ex”. Ah, ecco. Quindi da circa 120 si passa a circa 60, dimezzato il dato allarmistico iniziale che però è l’unico che – nonostante sia falso – dilaga sui media: 125 femminicidi, uno ogni tre giorni. Nemmeno il dato di 68 vittime del partner o ex chiarisce il movente che invece costituisce, o almeno dovrebbe, la caratteristica principale del cosiddetto femminicidio. Bisogna lasciare intatta la cortina fumogena che avvolge le classifiche sui femminicidi, e la responsabilità di ciò è da ascrivere esclusivamente alla Senatrice Valente, Presidente della Commissione Femminicidio, che non ha mai voluto né saputo ufficializzare i criteri ai quali un fatto di sangue debba rispondere per essere classificato come femminicidio, né ha mai voluto o saputo pubblicare un elenco dei delitti che tali criteri soddisfano. Nessuna chiarezza, nessuna ufficialità, nessuna oggettività, è più conveniente lasciare a un’indefinita fluidità soggettiva la valutazione di quali episodi, anche a forza, possano essere infilati tra i femminicidi. Ecco come nasce l’allarme sui femminicidi in aumento. Lo abbiamo detto e scritto mille volte, ma giova ripeterlo: la nostra analisi non è la negazione della violenza che spinge ad uccidere una donna, è la contestazione dei dati falsi. Massima empatia per le circa 50 donne uccise a causa della gelosia morbosa di partner o ex partner, massima partecipazione al cordoglio delle famiglie, massima condanna ai gesti criminali. Resta il fatto che propagandare 125 femminicidi all’anno è una bufala, nulla di più e nulla di meno. A chi giova costruire un allarme fittizio? Quali fondi, norme restrittive, centri antiviolenza e serbatoi elettorali nascono da un allarme gonfiato ad arte?



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