La Fionda

L’appassionato comitato ora ci ripensa: «sì, la PAS esiste!»

Soltanto gli stupidi non cambiano mai idea, questo è certo. C’è modo e modo di cambiarla, però, e proprio da esso si capisce se c’è di mezzo la sincerità o la malafede. Ne è prova il vero e proprio ribaltone fatto di recente dal comitato “Femminicidio in Vita”. Sì, è normale che non ne abbiate mai sentito parlare, nonostante il nome furbesco e drammatizzante. È soltanto uno dei tanti esseri mitologici metà avvoltoio e metà femminista (spesso non si distinguono) che si aggirano nel cupo sottobosco delle questioni separative, arruffandosi con altre associazioni concorrenti per strappare una iscritta in più e contrapponendosi frontalmente a tutto ciò che sappia di maschile o paterno. Non di rado si tratta di micro-associazioni a carattere personalistico, nate essenzialmente sulla spinta di qualche vicenda personale che si cerca di far assurgere a caso emblematico e nazionale. Le si riconosce proprio per il nome audace o drammatico e per la loro capacità di infiltrarsi come faine in ogni possibile convegno dove si parli degli argomenti per loro scottanti, e dove alla fine intervengono raccontando la loro storia personale, fra mille lamenti e rivendicazioni rabbiose.

Il comitato “Femminicidio in Vita” non è l’unico esponente di questo genere di organizzazioni, ce ne sono altre (si segnala per attivismo la “Associazione Madri Vittime di Violenza Istituzionale”, nientemeno), che di tanto in tanto incrociano il percorso e fanno assieme un pezzo di strada, salvo poi tornare a criticarsi ferocemente alle spalle. C’è un unico argomento che, soltanto a nominarlo, unisce tutte in un fronte unico e compatto: “PAS, Parental Alienation Syndrome”, in italiano “Sindrome da Alienazione Parentale”. Ne abbiamo parlato spesso, non ci spenderemmo sopra tante parole. È una teoria psichiatrica su cui la comunità scientifica ancora non è concorde, secondo cui taluni genitori sviluppano un istinto maniacale a manipolare i figli contro la o l’ex coniuge, provocando danni immensi alla psiche infantile. Se il concetto di “sindrome” resta dibattuto, ben più consenso c’è nel concepire l’alienazione come una condotta, un modo di agire chiaramente denotato e precisamente descrivibile, con tanto di “comportamenti spia” che lo annunciano (il “mobbing genitoriale”). Su questo punto la teoria e la prassi convergono su una conclusione innegabile: le pratiche alienanti ci sono, le mettono in atto padri e madri, ma queste ultime in numero infinitamente maggiore.

femminicidio in vita
Un’affollata manifestazione del comitato “Femminicidio in Vita”.

Il parere espresso dalle associazioni come quelle testè citate invece diverge molto. Anzitutto negano recisamente l’esistenza di una sindrome e definiscono “scienza spazzatura” le discipline che la analizzano. Possono farlo dall’alto delle loro licenze elementari o diplomi in segretaria d’azienda: non è un fatto di competenza, ma di genere. In quanto donne (e madri) sono autorizzate a sentenziare su tutto lo scibile umano, specie se le riguarda. Oltre a questo, negano anche la declinazione dell’alienazione in altre modalità, come condotta descrivibile o reato contro il minore. Anzi, ritengono che si tratti di un pretesto costruito a bella posta dalla “lobby dei padri separati”, in combutta con tutta la giurisprudenza internazionale, per poter portar via i figli alle madri e soprattutto per nascondere la loro natura violenta e abusante. Impregnate di un (in)sano femminismo, infatti, ritengono tutti gli uomini indistintamente carnefici e violenti, ma in special modo i padri che, nella migliore tradizione filosofica di enti di distruzione di massa come il CISMAI, per loro stessa natura, quasi per antonomasia, abusano sessualmente dei figli. Che sia vero o no in ogni caso specifico non importa, basta parlare col minore: qualunque cosa dirà verrà riportata a quella chiave di lettura (magari aiutandosi con qualche correzione ai disegni…), e la teoria è bell’e dimostrata.

Che tale sia la posizione di queste simpatiche signore è facilissimamente riscontrabile, basta chiedere all’occhio che tutto vede e tutto tiene in memoria: Google. Digitate al suo interno i nomi delle associazioni citate, o ancora titoli originali come “Il diavolo veste PAS“, “Non strappate i figli alle madri”, o “Basta violenza istituzionale”, e vi si apriranno davanti agli occhi giganteschi strapiombi di contenuti, tutti con vista sul Cocito. E non è solo un profluvio di registrazioni da convegni di persona o sul web dove tipe con chiare difficoltà di autocontrollo ed equilibrio strillano concetti senza senso roteando gli occhi e con un filo di bava al lato della bocca: per gli amanti del genere freak può anche essere uno spettacolo interessante a cui assistere. Il vero valore assoluto sta nella forza e determinazione con cui costoro spingono le proprie vicende personali, fatte passare per questioni di interesse comune, presso qualunque autorità costituita. Parliamo di gente che scrive al Papa, al Presidente della Repubblica, all’ONU con la disinvoltura con cui scriverebbe alla propria domestica. Missive piene di dramma, lacrime, sangue e sofferenza perché ci sono due o tre giudici sparsi in Italia che si sono miracolosamente accorti che la tale o la talaltra madre stavano stuprando il cervello dei loro figli solo per danneggiare l’ex marito, e quindi glieli hanno tolti per darli a quello stesso uomo (dopo naturalmente avergli archiviato una ventina di false denunce e avergli fatto fare una sessantina di percorsi di verifica sulla capacità genitoriale).

femminicidio in vita
Imma Cusmai, Presidente del comitato “Femminicidio in Vita”.

Casi rarissimi: si sa, la prassi in Italia è prendere la prole, gettarla in braccio a mammà, installare il bocchettone del bancomat alle tasche e il tastierino per il codice sulla fronte di papà, e via andare, fuori di casa e tanti saluti. Eppure anche quelle poche eccezioni infastidiscono, ed è tutta colpa della PAS. Così sono andate cianciando per anni queste dame giulive in ogni angolo d’Italia e a favore di telecamera. E dopo tutto questo… ribaltone! Il comitato “Femminicidio in Vita” fa dietro front e per San Valentino fa un regalo a tutti, innamorati e non, riconoscendo ufficialmente l’esistenza dell’alienazione parentale. Lo fa a firma della sua presidentissima Imma Cusmai, che scrive a Mario Draghi per renderlo edotto non più dell’esecrabile a-scientificità della PAS, non dell’uso che i padri abusanti ne fanno per rubare i figli alle mamme, bensì per sensibilizzarlo sui gravi rischi che corrono le donne madri a causa della PAS messa in atto dai padri. Quando la lettera è stata resa pubblica lo stupore è stato tale che si è percepito un chiaro disturbo nella forza. Un voltafaccia del genere non si era mai visto, è una roba che i voltagabbana professionisti della politica nostrana avrebbero di che arrossire. Come si diceva all’inizio, solo gli stupidi non cambiano idea, ma qui non si ha l’impressione di un’evoluzione. Sembra più un triplo salto carpiato con doppio avvitamento, tale da poter atterrare con la faccia (di legno) rivolta in direzione opposta a quella tenuta ostinatamente per anni.

Che succede a questo mostriciattolo del sottobosco delle separazioni? Come mai quest’improvviso ravvedimento? Basta leggere con attenzione la lettera per rendersene conto: è un ravvedimento “alla femminista”. Il concetto che si cerca di trasmettere a Draghi è, in sostanza, che la PAS non esiste, nemmeno come comportamento, a meno che non sia messa in atto dall’ex marito o compagno, comunque dal padre, ai danni dell’ex moglie e madre. Il passaggio evolutivo del comitato è in linea con i dettami generali: la violenza esiste, in generale. Smette però di esistere se è fatta da donne contro uomini. Diventa dilagante a generi invertiti. Qui è uguale, ma applicato all’alienazione. Il sospetto è che qualcuna del comitato si sia vista giustamente appioppare un’accusa di alienazione da qualche giudice e abbia perso la custodia o, ancora più efficace, che qualcuno dei loro figli si sia rotto di venire manipolato da una madre problematica che vive in un mondo immaginario e abbia dunque chiesto di stare con papà. Solo così, con una vicenda personale bruciante, si spiega il dietro-front, sebbene parziale, verso l’odiato concetto di alienazione. Si badi però: tutto ciò non è molto grave. Alla fine è solo una delle conseguenze della Legge Basaglia tra le tante con cui abbiamo imparato a convivere. Molto più grave è invece che questi deliri vengano costantemente assecondati ad ogni livello, da astute parlamentari (Giannone, Valente, Fedeli, solo per citarne alcune) che si uniscono alla crociata anti-PAS, fino a media e organi di stampa, passando per organizzatori vari di convegni e incontri, che accettano tutto, si bevono tutto, da sempre, conferendo autorevolezza a soggetti che in un mondo normale non verrebbero fatti parlare nemmeno in osteria. Non stupisce allora aprire il sito dell’agenzia D.I.Re., che fino a ieri sparava a zero sulla PAS e dintorni, e vederla rilanciare la notizia della lettera del comitato “Femminicidio in vita” a Draghi. «Tutelare le madri», titola. Sì, diremmo noi, in riferimento a quelle madri che a loro piacciono tanto, tuteliamole. Dal ridicolo però.



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