di Fabio Nestola. TgCom24 pubblica un articolo che ha lo stesso titolo di questo, ma a parti invertite. È una lamentela semiseria, farcita di luoghi comuni antimaschili. Se un rapporto non funziona la colpa può essere solo dell’uomo, deve essere solo dell’uomo. Deresponsabilizzazione a tutto tondo, non c’è mai una motivazione riscontrabile nel carattere o nei comportamenti di lei, sotto accusa c’è sempre e solo lui. Eppure tanti anni di attività nel campo di separazioni, divorzi e cessazioni di convivenza, danno anche un’altra lettura della crisi di coppia. Evitando di indossare occhiali dalle lenti esclusivamente women friendly, proviamo quindi ad analizzare il fenomeno in maniera bipartisan e stiliamo un elenco delle esperienze raccolte tra gli uomini. Vediamo dunque anche noi le tipologie tossiche più diffuse a ruoli invertiti.
L’indifferente – Sembra non apprezzare niente di quello che faccia il marito, anche se si tratta di passi importanti che costano lavoro e fatica (dalla casa nuova al gioiello che-desiderava-tanto, dalla colf al doppio lavoro per garantire alla famiglia un migliore tenore di vita). Non sempre è facile riconoscere la donna indifferente, specie nei primi tempi, ma queste forme di disinteresse sono da fuggire anche quando sono latenti: di solito nascondono un carattere egocentrico, per il quale tutto è dovuto. All’inizio l’indifferente mostra entusiasmo, felicità e gratitudine se il marito si sbatte per colmarla di attenzioni tutte le settimane; dopo sei mesi la carineria diventa un dovere e lui diventa uno stronzo se non la replica tutti i giorni.
Gelosa e possessiva: due tipologie che si sovrappongono.
La vanitosa – Sa fare tutto, è esperta di qualsiasi argomento si parli. Nelle forme più gravi è una millantatrice e una bugiarda. Critica alle spalle tutti e tutte, anche le sue amiche con le quali esordisce cinguettando “tesooooro” appena se le trova davanti. Sparla delle donne che si rifanno le labbra “per apparire provocanti, ‘ste zoccole”, poi quando le labbra se le gonfia lei è “per sentirmi meglio con me stessa”, un appagamento interiore. Le altre sono bagasce esibizioniste mangiauomini, solo lei è introspettiva. Oltre ad essere insopportabile e falsa come una moneta da tre euro, spesso si lascia andare a comportamenti irrispettosi e può fare molto male all’autostima. Meglio evitarla.
La super gelosa – La relazione a due deve basarsi sulla fiducia reciproca. Il fatto che una donna pretenda di leggere la posta ed i messaggi del compagno, che magari lo faccia di nascosto, o che faccia scenate ogni volta che lui rivolge la parola ad un’amica, è una pretesa inaccettabile alla quale porre un freno con la massima fermezza fin dal primo istante. Comportamenti di questo genere sono indicatori di un’indole possessiva e possono in qualunque momento degenerare nello stalking o nella violenza, come la cronaca (per lo più ignorata dai media nazionali) troppo spesso insegna. La rabbia, il rancore e le pulsioni violente femminili esistono, eccome, nonostante in troppi si accaniscano a negarlo. Parente stretta di questa tipologia è la possessiva, tanto che le due tipologie spesso si sovrappongono. Fuggire a gambe levate davanti a una donna che cerca di sostituirsi agli amici del marito, ai suoi interessi e magari anche ai suoi familiari. Il malsano desiderio di possesso viene esteso anche ai figli, in caso di separazione sono dolori.
Corre l’orologio biologico.
La venale – Tipologia che non si palesa subito, di solito emerge dopo qualche tempo. Sposandosi aveva delle aspettative, diciamo che “si era fatta i suoi conti”, e quando realizza che li aveva fatti male se la prende col marito. Lo accusa di non aver fatto carriera, di non guadagnare abbastanza, di essere un mediocre, un fallito, un Fantozzi, lo paragona ai mariti delle amiche che fanno fare una vita migliore alle proprie mogli. Preludio alla separazione, nella quale mostrerà l’apoteosi della contraddizione chiedendo un mantenimento da ricchi ad un marito che ha lasciato proprio perché ricco non è. In questo filone sta anche il fenomeno delle badanti che circuiscono il vecchietto badato: chi si frega tutto col nonnetto ancora in vita; chi si fa intestare immobili, BOT, azioni; chi si fa sposare per garantirsi la pensione di reversibilità, chi viene denunciata dalla famiglia perché alla morte del nonnetto saltano fuori testamenti sospetti.
Quella che all’inizio non vuole figli, poi avverte l’orologio biologico – La donna in carriera considera la maternità un ostacolo alle proprie ambizioni, avere figli è una scocciatura che impedisce la realizzazione personale. Non a caso l’età media del primo parto si è ormai alzata ben oltre la soglia dei 30 anni, nel secolo scorso a quell’età di figli ne avevano 4 o 5 e la prima gravidanza arrivava attorno ai 20 anni. Se il marito della donna in carriera desidera dei figli, si rassegni pure: non ne avrà. Nemmeno per una gravidanza non programmata, il classico incidente di percorso; se la moglie decide di abortire lo farà, indipendentemente dal parere del marito che non viene neanche chiesto. Poi corre l’orologio biologico, la voglia di maternità può arrivare all’approssimarsi dell’età nella quale potrebbe essere rischioso concepire per la prima volta. Allora il figlio arriverà, anche contro il parere del marito che, come sopra, non viene neanche interpellato.
Professionista del vittimismo militante.
Anche in questo caso l’eventuale incidente di percorso verrà risolto secondo il volere della donna, se il marito non vuole figli ne potrà al massimo parlare al bar con gli amici, la sua volontà vale meno di zero dal ginecologo, al consultorio, in tribunale. In sostanza se la donna non vuole figli non ne avrà, anche contro la volontà del partner; se invece vuole averli li avrà, sempre contro la volontà del partner. Visto quanto conta il parere dell’oppressore? Tutta colpa del patriarcato. A volte può accadere che la signora abbia dei figli da rapporti extraconiugali, ma fa comodo accollarli all’ignaro becco. L’amante è un toyboy aitante ma squattrinato, meglio far crescere il frutto del peccato come se fosse figlio del maturo e benestante marito ufficiale. Poi dopo qualche anno al poveretto vengono dei dubbi, fa il DNA e scopre che il figlio non è suo. Ops!
La separata professionista – Ci vorrebbe un trattato, meglio sintetizzare. Lamentele continue di essere lasciata sola a crescere i figli, poi in tribunale le lotte più feroci per non lasciare i pargoli all’ex. Professionista del vittimismo militante, la separata DOC combatte come una tigre alla quale viene sottratto il cucciolo, sostiene tra le lacrime che sarebbe traumatizzante strappare il figlio dalle sue braccia un weekend in più, un pomeriggio in più, un’ora in più. Poi, una volta divenuta genitore affidatario o collocatario (ed i benefit che lo status comporta, dalla casa all’assegno) la tigre può finalmente separarsi dal cucciolo, quindi i bambini possono stare con chiunque: le educatrici del nido, i nonni (materni, s’intende), la zia, la babysitter, la moglie del portiere… basta che non stiano col padre. Oppressori all’opera per ribadire la posizione maschile dominante.
Molto gettonate sono le insinuazioni di presunte molestie sessuali sui minori.
Nuovo trend, le false accuse. Per facilitare il percorso civile è sempre più frequente lo sconfinamento nel penale: sono vittima di violenza, punto. Violenza psicologica, fisica o sessuale non ha importanza, conta solo denunciarla, meglio se si aggiunge anche la violenza assistita che coinvolge i figli, meglio ancora se si passa attraverso un centro antiviolenza, sempre alla ricerca di donne da salvare, passaggio che conferisce credibilità a qualsiasi dichiarazione. Poi magari dopo due/tre anni o più si risolve tutto in un nulla di fatto, ma intanto qualcosa ha ottenuto da spendere sul tavolo della separazione: un ammonimento, un allontanamento, un’incriminazione, un rinvio a giudizio, comunque una protezione dall’odiato maskio “pericoloso”.
Col codice rosso (grazie, Bongiorno) può ottenere anche le manette per l’accusato, salvo poi sgonfiarsi tutto all’udienza di convalida dell’arresto. A conti fatti è meglio un iter giudiziario lungo, che lascia l’accusato a cuocere per anni nel brodo dell’incertezza. Gli effetti del patriarcato. Molto gettonate sono le insinuazioni di presunte molestie sessuali sui minori, false accuse dal risultato minimo garantito: interrompere i rapporti tra il genitore presunto abusante ed il minore presunto abusato. Poi le verifiche, la CTU, gli incontri protetti… intanto i mesi passano ed il rapporto con i figli è compromesso. Gli effetti del patriarcato.
Ah, se avessi dato retta a mia madre!
Ultimo filone della separata professionista è la sottrazione dei figli, un rapimento che raramente viene riconosciuto come tale. Trasferimento in altra città, altra regione, altro Stato, ovviamente portando con sé i figli senza concordarlo col padre. Poi valli a recuperare. Gli effetti del patriarcato. La separata professionista ha anche diversi tratti della venale, l’aspetto economico riveste molta importanza nelle separazioni. Lui è sempre un miserabile, qualsiasi cifra versi: se dà 400 euro è un miserabile perché ne potrebbe dare 600, ma anche chi versa 3000 è sempre un miserabile perché se ne da 3000 vuol dire che potrebbe arrivare a 5000. Spesso la rabbia per non ricevere più soldi viene riversata sui figli inculcando loro astio antipaterno: “vorrei fare di più, ma con quella miseria che ci dà tuo padre…” .
La mammona – Sembra impossibile, ma anche nel Terzo Millennio la tipologia è molto diffusa. Entro certi limiti non c’è che da tollerare: la mamma è sempre la mamma, soprattutto quella che ha saputo crescere una famiglia matriarcale e trasmettere il modello alla prole. Lasciamo i bambini da mia madre, stasera mia madre viene a cena, facciamo la delega a mia madre per prendere la bimba a scuola, Natale lo passiamo da mia madre, mia madre viene a stare da noi. Il tutto condito da quattro telefonate al giorno madre-figlia. L’ingerenza strisciante della suocera diventa sempre meno strisciante, la figlia ne segue pedissequamente i “consigli”, non fa più un passo senza prima averlo concordato con la madre. Compreso il ricorso agli avvocati, non sono rari i casi in cui l’input per la separazione arrivi proprio da mammà. Aveva ragione mia madre, me l’aveva detto che non ti dovevo sposare, che non andavi bene per me, che mi avresti fatto soffrire la fame, che era meglio il figlio del notaio. Ah, le avessi dato retta…