di Davide Stasi. Il DDL n.1762 (scaricabile qui con evidenziature e commenti) è stato depositato alla chetichella durante la pandemia e quatto quatto ha raggiunto ora la Commissione Giustizia del Senato, dunque è in una fase avanzata dell’iter legislativo. Prima firmataria, la Sen. Valeria Valente, presidente della “Commissione femminicidio”, seguita da alcuni nomi noti del femminismo suprematista in politica, come le senatrici Leone e Conzatti. Oggetto della proposta legislativa: le statistiche sulla violenza. Da tempo parliamo di guerra in corso e di atti ostili da parte dell’industria femminista contro tutti i cittadini: ebbene questo DDL è al momento l’aggressione più feroce alla giustizia, alla parità e alla verità. A partire dalle sue premesse dove, come in tutto il resto della proposta, si opera una calcolata sovrapposizione tra “violenza di genere” (ovvero tutta la violenza caratterizzata in base al genere) e “violenza contro le donne”. Un trucchetto per indurre l’idea che non esista altra violenza di genere che quella contro le donne. Il che è falso, oltre che discriminatorio, come in termini molto limitati (alle notizie riportate dai media) dimostrano le nostre rilevazioni su questa pagina e come ob torto collo ammette anche la famigerata “Convenzione d’Istanbul” (la cui menzione ovviamente non manca nelle premesse del DDL). La proposta è piena di trucchetti linguistici simili, come quando la “parità” diventa “uguaglianza”, o quando soggetti sovranazionali autonomi (tipo GREVIO) vengono spacciati come facenti parte dell’Unione Europea, o ancora quando si parla di “violenza dei partner“, che pare suggerire una pari considerazione dei generi, da cui però è facilissimo fare marcia indietro, grazie all’uso di un termine inglese ambiguo. Il non-plus-ultra, in questo senso, è l’evocazione del “femminicidio”, fattispecie non esistente nei codici e mai definita in modo univoco, tanto che la stessa Valente, parlando degli “orfani di femminicidio”, ha ammesso che si tratta di casi che “non riusciamo a definire” (!). Il tutto, per altro, nel paese più sicuro d’Europa quanto a omicidi in generale.
L’obiettivo, lo rivela la proposta nei suoi 7 articoli, è stabilire l’obbligo a misurare dal lato statistico solo ed esclusivamente la violenza contro le donne, e di farlo nel modo più strumentalizzabile possibile. La legge in discussione straccia violentemente non solo l’Articolo 3 della Costituzione, ma anche la realtà dei fatti nel momento in cui esclude a prescindere che possano esistere altri tipi di violenza degni dell’attenzione dello Stato e delle istituzioni. La violenza sui portatori di disabilità, sui minori o sugli anziani in Italia non esiste. Tanto meno esiste la violenza femminile sugli uomini. Ancor meno esiste la violenza tra persone che intrattengano relazioni non eterosessuali. Questa è la vergognosa premessa di tutto: un’esclusione pregiudiziale di realtà che non solo si verificano su proporzioni talvolta anche maggiori a quelle della violenza sulle donne, ma che sarebbero meritevoli di considerazione quand’anche si manifestassero in un numero di casi contabile sulle dita di una mano. Perché si è tutti uguali davanti alla violenza come davanti alla legge. A meno che non ci siano interessi correlati a uno tipo specifico di violenza. Ed è a questi interessi che è asservito il DDL 1762 oggi in discussione al Senato, il cui messaggio anticostituzionale, bugiardo e discriminatorio è urlato chiaro e forte: quella sulle donne è la violenza più grave, più importante, più diffusa, più specifica tanto da essere l’unica degna di essere misurata sul piano statistico. Ogni altro tipo di violenza è irrilevante a confronto, così tanto da poter essere tranquillamente rimossa dal quadro generale e dal novero del possibile. Già solo per questo in un paese serio la legge verrebbe incenerita per patente incostituzionalità due secondi dopo essere stata presentata. Invece il suo iter procede indisturbato.
Tutti devono adeguarsi.
Si dice: le leggi sono come le salsicce, smetti di apprezzarle quando vedi di cosa sono fatte. Nel caso del DDL 1762 il detto è quanto mai vero. Giusto all’inizio dell’articolato si replica l’inganno linguistico dove si parla di “uguale visibilità dei dati relativi a donne e uomini”. Pare auspicare una misurazione bidirezionale, ma in realtà, lo si capisce proseguendo la lettura, sottintende “vittime” quando dice “donne” e “carnefici, quando dice “uomini”. La maggiore ansia manifestata dalla proposta riguarda poi la più volte citata necessità di “adeguare la modulistica”. Non si capisce cosa intenda fin tanto che non viene menzionato (art.3) l’Allegato A alla proposta stessa. C’è da restare allibiti nel verificare di cosa si tratta. È infatti sostanzialmente lo stesso set di domande utilizzate dall’ISTAT nelle indagini campionarie sulla “violenza di genere” realizzate nel 2006 e nel 2014. Proprio quelle di cui abbiamo parlato di recente e che io stesso ho sottoposto a critica nel mio ultimo libro. Elaborate a suo tempo da un think-tank composto da diversi centri antiviolenza, venne adottato dall’ISTAT di Linda Laura Sabbadini per produrre quella che ho chiamato “l’origine del male”, ossia quelle indagini campionarie divenute la fonte di ogni falsificazione sul tema a livello nazionale. Quelle che, con un set di domande palesemente tendenziose, stimano (cioè ipotizzano) che siano milioni le donne vittime di violenza in Italia. Ipotesi poi trasformata in fatto reale dalla comunicazione mediatica, in spregio alle rilevazioni sulle condanne di uomini per violenza sulle donne (meno di 5.000 all’anno). Sulla base di quelle indagini campionarie, talmente inaffidabili da non essere state mai citate da enti o organismi internazionali interessati al tema (che anzi in molti casi ne hanno smentito i risultati), si sono fatte leggi più che discutibili (il “Codice Rosso”), se ne sono affossate altre (il DDL 735 sull’affido condiviso), si sono istituite commissioni lunari come quella su quel fenomeno indefinito chiamato “femminicidio”, sono stati erogati milioni di euro all’industria antiviolenza e si è raccontata la realtà di un paese misogino e violento che però, dati reali alla mano, non esiste.
L’ansia di tutta la legge sta proprio lì: rendere obbligatorio per legge l’utilizzo di quel set di domande specifico, con la scusa della “confrontabilità” con i dati precedenti sebbene, dimostrati questi ultimi del tutto inaffidabili, logica detterebbe di polverizzare quel set di domande, per acquisirne uno più oggettivo, sul modello ad esempio adottato dalla European Fundamental Rights Agency. E che si tratti di domande inadeguate è facile da riscontrare: qui ci siamo “divertiti” a riportare in tabella, a sinistra, i quesiti che la legge vorrebbe cristallizzare e imporre, così come sono, in tutta la loro soggettività e inadeguatezza, e a destra come quelle domande dovrebbero essere se si volesse realizzare un’indagine campionaria seria, rivolta a uomini e donne indistintamente, e non una rilevazione da usare strumentalmente. Nota a margine: per produrre le domande tendenziose dell’ISTAT sono stati arruolati e strapagati fior di esperti, per la versione equa e corretta è bastata mezz’ora di confronto tra gli autori de “La fionda”… Secondo il DDL, inoltre, l’ISTAT dovrebbe realizzare indagini campionarie con quelle domande ogni tre anni. Sì, ma con quali risorse? E soprattutto con quale metodo? Di nuovo il “giro di telefonate”, come nel 2006 e nel 2014, senza avere certezza di chi ci sia dall’altro capo né quanto concentrata e partecipe sia la persona intervistata? Non si sa, ma probabilmente sì. La falsificazione della realtà è talmente ben riuscita nel 2006 e nel 2014 che si ritiene sensato replicarla, rendendola addirittura cogente per forza di legge. Un abominio proposto con grande disinvoltura che si pretenderebbe (art.3) di utilizzare anche per misurare il “sommerso”, ovvero le famose violenze che non vengono denunciate. Ossia quei fatti la cui esistenza si dà per certa pur in mancanza di qualsivoglia manifestazione o indizio, tranne quelli autocertificati da qualche portatore d’interesse. Ciò che conta è che tutti dovrebbero adeguarsi alla modulistica e alla necessità di comunicare i casi di violenze contro le donne, a partire dai presidi sanitari (art.4), che dovranno ignorare l’uomo che si presentasse ai sanitari pesto o con un coltello ficcato nella schiena ad opera della moglie o ex fidanzata, mentre scatterà l’obbligo di comunicazione di ogni dettaglio se l’assistenza viene prestata a una donna.
Un pericolo per la verità, la giustizia e dunque per la vita attuale e futura di tutti.
Gli stessi obblighi graverebbero anche sugli organi dipendenti dal Ministero dell’Interno e della Giustizia. Ogni dato dovrà essere fornito, declinato per genere e per ogni altro dettaglio che sia utile a mostrare la vittimizzazione della donna e la criminalizzazione dell’uomo, per una lunga serie di reati. Alcuni dei quali caratterizzabili sicuramente per genere (aborto forzato, mutilazione degli organi genitali femminili ), ma in gran parte di natura “neutra”. Percosse, stalking, violenza privata e tanti altri possono essere attuati indistintamente da uomini e donne, eterosessuali o no, eppure la strutturazione dei dati sarà basata solo sullo schema uomo-carnefice, donna-vittima. La forzatura del tutto è evidente scorrendo l’elenco dei reati presi a riferimento dalla legge, dove vengono comprese fattispecie bagatellari, come la molestia o il disturbo, o reati molto lontani da una possibile attuazione per motivi di genere. Ci sono l’omissione di soccorso, l’estorsione, l’appropriazione indebita, il danneggiamento, addirittura la tortura. In questo modo il caso della commerciante donna che subisca il racket dalla mafia verrà contata nel mucchio delle “violenze contro le donne”, così come la signora investita per strada da un (o una) pirata che poi prosegue oltre, o la donna che si trovi l’auto rigata da qualche vandalo, o la condomina disturbata dai rumori del vicino (o della vicina) di sopra. È piuttosto chiaro che con ciò ci si vuole garantire, in modo truffaldino, una raccolta dati che dimostri quanto ampia e radicata sia la violenza sulle donne. Si va a grattare il barile e si cambia faccia ad atti criminali privi di genere per garantirsi un parossistico sovradimensionamento dei dati, cui il set di domande sfacciatamente induttive dell’Allegato A dà già il loro ampio contributo. Completa il quadro l’impegno per l’ISTAT di svolgere (di nuovo senza sapere con quali risorse) rilevazioni biennali sui centri antiviolenza, registrando qualunque cosa facciano tranne, guarda caso, l’unico elemento qualificante: il numero di casi risolti grazie alla loro attività. Non manca infine l’accento posto, come sempre, sul numero di denunce, come se si trattasse di un dato rilevante.
Sabato ci chiedevamo se Linda Laura Sabbadini stesse covando qualche altra indagine statistica delle sue, ed ecco la risposta: la guerra è in atto e la strategia è ben più ampia. È infatti piuttosto evidente, per chi vuole vedere la realtà, a cosa siamo davanti. Il DDL 1762 è un abominio legislativo discriminatorio e asservito alla necessità di garantire all’industria dell’antiviolenza, che muove milioni di euro, coinvolge un poderoso apparato clientelare e decide equilibri di potere, una giustificazione permanente alla propria esistenza e prosperità a carico di tutta la comunità. Serve ingigantire un problema che purtroppo c’è, ma che è a un livello fisiologico nel nostro paese, talvolta anche meno, per sostenere l’esistenza di servizi inutili, non di rado dannosi, come quelli dei centri antiviolenza, utili più per chi li sostiene e finanzia che non per l’interesse comune. Numeri gonfiati e strumentalizzabili servono al sistema per convincere l’opinione pubblica ad accettare leggi, iniziative e narrazioni utili a piccole accolite, in un circuito affaristico in cui prima o poi qualcuno, si spera, vorrà vedere chiaro. L’abominio sta anche nell’imposizione per legge di un set di quesiti vergognosamente induttivi da utilizzare a fini statistici, con ciò commissariando l’ISTAT e ogni altro organismo sul territorio: tutti verranno forzati su un tracciato preordinato per dare un solo tipo di esito. Con ciò si cancellerà l’esistenza di ogni altro tipo di violenza, si condannerà il paese a un’arretratezza statistica accettabile solo per un regime antidemocratico, disinteressato a conoscere davvero quali fenomeni e dinamiche si verifichino all’interno della propria società e interessato solo a trovare mezzi per legittimare la perpetuazione del predominio di pochi, anzi di poche. Il DDL 1762 si inserisce insomma a buon diritto all’interno delle “grandi manovre” messe in atto per perpetuare un sistema che è ad un tempo ideologico, settario, affaristico, corruttivo e soprattutto produttore di ingiustizia e conflitto sociale. La manovra strisciante, nonostante i tentativi di tenere tutto sotto silenzio, è ora scoperta. Siete state beccate, sorelle. Di nuovo non per merito di un organo d’informazione di massa nell’esercizio della sua funzione di controllare il potere, ma per opera di un piccolo sito quale il nostro. E la domanda adesso è: esiste qualcuno in Parlamento che, a prezzo di un po’ di popolarità, sarà disponibile a fermare questo ennesimo scempio della verità e della giustizia?