Chi pensava che con il governo “tecnico” ci sarebbe stato uno stop all’invasione delle stupidaggini femministe nelle strategie dell’esecutivo, dovrà rassegnarsi a rimanere deluso. Lo si capisce da quanto è emerso da un webinar intitolato “Obiettivo 62% – l’occupazione femminile come rilancio nazionale”, organizzato domenica scorsa da alcune lobby del settore, dedicato al rapporto tra donne e mondo del lavoro. All’incontro ha partecipato un vero e proprio parterre de roi: i ministri Andrea Orlando (dicastero del Lavoro), Vittorio Colao (dicastero dell’Innovazione), Mara Carfagna (dicastero del Sud), Elena Bonetti (dicastero della Famiglia), ed Enrico Giovannini (dicastero dei Trasporti), con gli interventi integrativi nientemeno che della a noi ben nota Linda Laura Sabbadini, in veste di esperta statistica specializzata in questioni “di genere” (inteso come questioni riguardanti le sole donne, gli uomini s’ammazzino pure). Questo popo’ di personaggi si è riunito online per accodarsi a uno dei tanti piagnistei femministi: l’esclusione delle donne dal mondo del lavoro, la disoccupazione femminile, le discriminazioni che le donne patiscono sul mondo del lavoro, il divario salariale e altro armamentario simile. Il tutto con due grandi obiettivi non dichiarati: ottenere ulteriori privilegi di genere e trovare pretesti per arraffare una fetta sostanziosa di Recovery Fund.
Non stupisce quanto asserito nel webinar dal Ministro Bonetti, il cui settarismo ben conosciamo, secondo cui una politica «che promuove l’empowerment femminile e libera energia femminile è un investimento, è un tipo di politica che va ricercata». Per togliere ogni dubbio che l’obiettivo reale di questa retorica leziosa non siano i denari europei, precisa poi che «nella Next generation Eu l’Italia ha deciso che tutte le politiche avessero la priorità di garantire la parità di genere [“parità” intesa ovviamente come priorità e privilegi alle donne]». Nessuna novità nemmeno dal versante Carfagna che, pur se relegata in un ministero secondario, riesce a ficcare nel suo intervento la solita tiritera donnista: «l’occupazione femminile è una priorità per il rilancio del Paese, soprattutto al Sud dove lavora una donna su tre. Occorre liberare il tempo delle donne, sulle quali grava tutto il peso della cura familiare». Niente di nuovo o stupefacente, insomma: la solita gara a chi la spara più grossa nel promettere vantaggi a senso unico. Un po’ come la Regione Lazio, che annuncia finalmente una legge per la parità salariale, come se già non esistessero i CCNL, proponendo in più l’idea di dare maggiore punteggio alle imprese o candidate donne negli appalti e nei concorsi pubblici (come si fa con gli invalidi, in pratica…). Tornando al webinar, però, i fuochi d’artificio se li riservano gli altri intervenuti di sesso maschile, che vestono fieramente i paramenti dei cavalieri bianchi, pronti a tutto pur di compiacere coloro che li ospitano.
Due stupidaggini in un unico webinar.
È Andrea Orlando ad aprire le danze, proponendo l’apertura di una piattaforma impostata per ricevere le denunce anonime di chi, durante un colloquio di lavoro, ricevesse dal potenziale datore domande relative alla vita privata, cosa vietata dall’art. 27 del “Codice delle Pari Opportunità”. Non sapevate che ci fosse questo divieto, vero? Nemmeno noi e probabilmente nessuno dei potenziali datori di lavoro italiani, che fino a ieri, anche per capire che tipo di persona stavano per mettersi in azienda, hanno chiesto ai candidati cosa fanno nel tempo libero, quali sono i loro hobby e sì, perché no, anche se intendono sposarsi o avere figli. «Quello è il momento in cui impresa decide se assumere un uomo o una donna», osserva Orlando, a cui proprio non va a genio che un imprenditore abbia la libertà di scegliere il candidato che gli garantisca continuità operativa, oltre che preparazione e professionalità. Quella libertà deve essere negata a monte e per reprimerla meglio Orlando vuole ora consentire a chi venisse escluso da un’opportunità di lavoro, magari semplicemente perché inidoneo, di potersi vendicare in totale anonimato denunciando per sessismo l’impresa che l’ha intervistato. Una possibilità che, come sempre, sarà aperta a tutti sulla carta e poi riservata alle sole donne nella pratica. Con il meraviglioso risultato che nessuna azienda chiamerà più candidate donne a colloquio, segandole tutte già in fase di esame del CV.
Una genialata, insomma. D’altra parte da uno che, come Ministro della Giustizia, fece inserire il reato di stalking nel codice antimafia cosa ci si può mai attendere? Ma l’exploit di Orlando non finisce qui. Ancora sostiene, come da mito ormai consolidato, che la pandemia abbia penalizzato soprattutto le donne lavoratrici: «i dati sull’occupazione sono chiari», dice, «con la pandemia la precarizzazione del lavoro è stata pagata di più dalle donne». In realtà i dati, a volerli guardare tutti, mostrano che c’è un gran numero di donne in Italia che rimane inattivo, ovvero non cerca lavoro, non gli interessa trovarlo, non ha nessuna intenzione di fare né la CEO né la maestra d’asilo, di contro a un numero risibile di uomini nella stessa condizione, compensato anzi da una fiumana che sarebbe disponibile a qualunque cosa pur di lavorare. Ma tant’è questa verità non fa gioco, così come il gran numero di suicidi maschili dovuti alla perdita del lavoro o alla chiusura di attività a seguito della pandemia. L’essenziale è raccontare che a patire di più sono state le donne e proporre qualche corbelleria che dia il pretesto all’ampio fronte dell’industria femminista di mettere le manacce sul Recovery Fund. E così la fiumana di uomini pronti a lavorare continuerà a defluire nell’inedia, perché ogni sforzo sarà profuso da Orlando & Co. per portare a lavorare donne che non ne hanno (legittimamente) alcuna intenzione. Due stupidaggini in un unico webinar, insomma, roba da record.
Un distacco siderale dalla realtà.
È poi Vittorio Colao a dare una spolverata di folle fantasia al tutto. D’altra parte è Ministro dell’Innovazione, per statuto deve dire qualcosa di creativo, sennò che sta lì a fare? E così avanza l’ideona che «ogni azienda, ogni ente, in alto a destra sul proprio sito abbia una “piramidina” che indichi le percentuali dei ruoli ricoperti dalle donne a tutti i livelli». Vedi te cosa ti tira fuori il Colao: la “piramidina” sul sito, magari colorata di rosa o azzurro, e più c’è rosa, più c’è parità. Se poi la “piramidina” diventa tutta rosa, allora si ha la parità perfetta in azienda. Il tutto arricchito da “Valutazioni di impatto di genere” (per chi non sapesse di che orrore si tratta, può approfondire qui), fatte però con precisione, «in modo asciutto, con delle tabelle». Eh sì, le tabelle sono fondamentali, vanno un po’ su tutto. Lui che in Vodafone introdusse l’iniziativa He for she (cosa possono fare gli uomini per migliorare la condizione delle donne sul lavoro), sa di cosa parla. Che mestiere meraviglioso il Ministro per l’Innovazione… A Enrico Giovannini poi il ruolo del poliziotto cattivo: l’8 marzo ha inviato una lettera a tutte le società vigilate dal Ministero dei Trasporti e tra tre mesi, dice solennemente, ne chiederà conto. Pretende di avere una risposta e di sapere che piani hanno sviluppato per combattere il divario salariale di genere. Sarà inutile che queste società gli mettano sotto gli occhi la normativa vigente dei contratti collettivi nazionali di lavoro che già (da decenni) sanciscono la parità salariale tra uomini e donne, perché l’obiettivo è un altro. Lo si capisce quando dice che il Ministero sta lavorando con l’ISTAT «a una metodologia per valutare l’impatto dei 48 miliardi di fondi dedicati al Ministero dei Trasporti dal Recovery plan». Sempre lì si casca. E guarda caso a scavare i solchi dove scorreranno i denari europei c’è l’ISTAT della turbofemminista Linda Laura Sabbadini.
Si dirà: sono solo boutade per prendere applausi in un webinar organizzato da femministe. Può darsi, ma in ogni caso è estremamente pericoloso sottovalutare uscite pubbliche di questa portata. Sono manifestazioni di conformismo pericolosissime perché, se realizzate, otterrebbero effetti indesiderati sia sulla struttura imprenditoriale nel suo insieme, sia su un genere solo, ovviamente quello maschile. Come molti giovani uomini oggi hanno paura a relazionarsi con le donne per timore di finire sul banco degli imputati anche solo per un semplice bacio, così le aziende finiranno per temere la presenza di donne nello staff o già nei colloqui di lavoro (a riprova che più femminismo nelle politiche significa meno opportunità per le donne), con ciò privandosi magari di professionalità eccellenti ed essenziali per l’azienda. Dall’altro lato, a forza di moltiplicare le iniziative o la retorica femminista in ambito lavorativo, a rimanere indietro è un numero crescente di uomini, privato di (pari) opportunità e di occasioni di lavoro a favore di una platea dominata da chi il lavoro non lo intende cercare. Ma ciò che più di tutto deve attivare la vigilanza delle persone per bene è proprio il carattere apodittico di quanto sostengono soggetti come i ministri menzionati. Essi danno per scontata una realtà formatasi ideologicamente nella loro mente, come tale priva di riscontri, e quella realtà virtuale rende legittime ai loro stessi occhi le proposte che fanno. Gente come Orlando, la Bonetti e anche Colao è davvero convinta che le famiglie oggi siano marito in carriera (o in corriera per andare al cantiere) che sta fuori 12 ore a lavorare e donna ai fornelli che si sbatte con lavoretti part-time o in smart-working. Il tutto mentre nella realtà uomini e donne, ugualmente forzati alla precarietà, alla flessibilità e a tutte le altre forme di schiavismo a norma di legge, cercano di darsi una mano in modo equilibrato, per sopravvivere loro e, quando possono permettersi di farli, per tirare su i loro figli. Situazioni maggioritarie che questa gente non può vedere per il distacco siderale che ha con la realtà vera e per il loro attaccamento ferreo agli interessi delle lobby che ne tirano i fili, a partire proprio da quella femminista.