Pace all’anima di Carla Nespolo, presidentessa dell’ANPI, venuta a mancare questa mattina. Quando ho letto la notizia della sua dipartita non ho potuto fare a meno di chiedermi a nome di chi o cosa si esprima questa ANPI, ovvero: Associazione Nazionale Partigiani Italiani. Escludo lo faccia a nome dei partigiani, visto che la stragrande maggioranza di essi, per raggiunti limiti di età, sono passati a miglior vita, e quei pochi superstiti sono pressoché centenari; il che mi fa supporre che costituiscano una fetta non proprio maggioritaria degli attuali iscritti: tra cui appunto la compianta Nespolo, che infatti partigiana non era mai stata. Sembrerebbe una domanda retorica e tutto sommato irrilevante: in fondo, a chi frega qualcosa dell’ANPI? Se non fosse che l’ANPI ultimamente sembra essere dedita unicamente alla censura: vede il “fascismo” in qualsiasi cosa si muova, lancia continuamente accorati appelli con tono ultimativo ed emergenzialista ad autorità, governanti, istituzioni, perché rimuovano dal suo incarico Tizio, boicottino Caio, incriminino Sempronio, prendano provvedimenti contro Tiberio. Una specie di Tribunale Speciale permanente: effettivamente molto antifascista.
L’ultimo a sentirseli addosso è un tale Nino Spirlì, vicepresidente (leghista) della Giunta regionale della Calabria, gay dichiarato, che in una “ennesima affermazione shock”, oltre a rivendicare il diritto a usare la parola “negro”, ha osato definirsi “ricchione” e ha denunciato l’esistenza di una lobby gay. Testualmente “la lobby frocia, quella a cui dovrei appartenere io”. E quindi, pure io che scrivo. Affermazione shock! Figuriamoci. Adesso che l’ho sentita sono tutto sconvolto, non telefonatemi, non cercatemi, non mi sento di parlare, devo subito andare in terapia. Già che “shock” lo scriva la sempre equilibratissima “Repubblica”, attentissima anche stavolta a pesare le parole, è tutto dire. Parliamo di un quotidiano che si fa dettare le linee guida da una mediocre scrittrice, ripetutamente sanzionata da Facebook per incitamento all’odio, che però continua ad aggirarsi indisturbata facendo pistolotti sul bullismo e sugli “haters”, come se tale non fosse lei stessa. Parliamo di un giornale sul quale scrivono indisturbati dei rispettabilissimi, istituzionalissimi, civilissimi, ingessatissimi maschi alfa che bevono prosecco, ruttano in silenzio, citano libri, chiedono quotidianamente perdono per la loro “fessaggine maschile” (cit. Michele Serra) e generosamente difendono le donne, i neri e i gay: ovvero, il sottoscritto. Ma che dolci, sono commosso.
Scusa, ANPI, ma chi cacchio ti ha cercato o invitato?
Quanto alla parola “negro”, anche se i suddetti gentleman fanno finta di non ricordarsene, si usava tranquillamente senza alcuna connotazione offensiva fino agli anni ’80. Gli anni ’80: il decennio del volemosebbene per eccellenza, in cui spuntavano come funghi serie TV con protagonisti di colore, che nel doppiaggio italiano, ancora disponibile finché a qualche cancellazionista non salterà in mente di esigere che venga sostituito perché “razzista”, usavano tranquillamente l’orrenda parola senza che nessuno se ne fosse mai adontato. Gli anni ’80, in cui anche la scuola era in prima linea, e con enorme successo, nell’educare gli alunni di ogni ordine e grado all’idea che “il razzismo è sbagliato perché non si deve giudicare nessuno solo per il colore della sua pelle”. Un’educazione tanto più efficace in quanto, non puntando sulla colpevolizzazione di chi non c’entrava nulla con la cretina accusa di un qualche privilegio congenito del maschio-bianco-eterosessuale-cisgender che tanto piace ai cretini intersezionalisti di oggi, con la sua semplicità e logicità penetrava senza alcuna resistenza nella mente e nel cuore di tutti. E andava tutto bene, finché negli anni ’90 qualche cretino narcisista, antenato dei cretini intersezionalisti di oggi, non decise di dimostrare che lui era più antirazzista degli altri: da lì si scatenò quell’ossessione linguistica che dura tuttora. “Negro” è razzista, si dice “persone di colore”. No, “di colore” è razzista, si dice “neri”. No, “neri” è razzista, si dice “afroamericani” (quando i neri americani erano sempre stati “americani” a tutti gli effetti senza bisogno di alcun prefisso-etichetta). Non so quale sia oggi la parola corretta, ma sicuramente sarà sbagliata domani, quindi è inutile impararla. Al limite mi informerò su cosa va di moda con il color pervinca quando capiterà la giornata che devo uscire.
Dicevamo: un politicante gay si autodefinisce “ricchione”. E l’ANPI, in rappresentanza non si sa bene di chi o cosa, prende, salta su e dà lezioni di omofobia al suddetto “ricchione”: che magari, non vorrei dire, ma di “omofobia” ne sa qualcosa in più di loro. Come si dice in Toscana, “O ANPI, vorrai mi’a insegnà a trombà al babbo?”. La prima cosa che mi sono chiesto è se qualcuno all’ANPI abbia mai sentito una conversazione standard tra due gay. Anche due gay di quelli stereotipati, di quelli tutti spicegirls-barbetta-lustrini-bandierearcobaleno che piacciono tanto agli etero progressisti dal cuore d’oro che pensano che l’intero universo gay si debba ridurre a questa rappresentazione da macchiette. Probabilmente no, perché posso testimoniare che normalmente non ci si prende per nulla sul serio: mi spiace dare un dispiacere all’ANPI, ma tra gli argomenti che vanno per la maggiore nel mondo gay la Resistenza e i partigiani, per quanto rispettabilissimi, non sono neppure tra i primi dieci, e la quantità media di epiteti ed espressioni auto-omofobe è molto al di sopra del livello delle peggiori darkroom di Caracas. Adesso, immaginatevi di stare a casa vostra in mutande a bere birra, ballare e ruttare, da buoni maschi alfa (in attesa di qualche donna da difendere dal maschilismo). A un certo punto vi suona il campanello e si presenta qualcuno mai visto né conosciuto che vi dice “Ciao, sono l’ANPI e ti rappresento contro te stesso. Sappi che bere birra in mutande, ruttare e ballare in casa tua è sbagliato, devi bere Chardonnay, astenerti dalle esalazioni di gas e ascoltare compostamente le Spice Girls”. Ebbene, scusa, ANPI, ma chi cacchio ti ha cercato o invitato? Ma chi sei, mia madre?
Non è proprio così che funzionano le lobby?
Il suddetto “ricchione” poi dice che il re è nudo e parla della “lobby gay”: che al pari della misandria, dell’eterofobia, della violenza sugli uomini, della teoria gender e dell’emicrania, come sanno benissimo tutti coloro che non ne sono vittima, è immaginaria. Però i negazionisti sono gli altri. Al che la suddetta lobby gay (che non esiste) insorge in massa con la bava alla bocca chiedendo la sua testa, dimostrando così, per l’appunto, di non esistere. Tutto molto logico. Peccato che la suddetta lobby gay non esista, altrimenti mi potrebbe spiegare com’è che uno ha il diritto inalienabile di definirsi “gender fluid”, “non binario”, “novigender”, “agender”, “intersex”, “pangender”, “polygender” e addirittura “trigender”, ma non è autorizzato a definirsi “ricchione”. Peccato che la lobby gay non esista, altrimenti mi potrebbe spiegare com’è che le organizzazioni GLBT spuntano come funghi e si arrogano, addirittura si contendono, il diritto di rappresentarmi, autonominandosi difensori dei miei diritti senza che io li abbia mai autorizzati, e presentandosi come intermediari tra la “comunità GLBT” (che invece esiste, sebbene nessuno l’abbia mai vista o sappia dire cos’è) e le istituzioni.
Peccato che la lobby gay non esista, altrimenti mi potrebbe spiegare com’è che le associazioni GLBT, poco importa che sparino cazzate, sono diventate gruppi di pressione micidiali sui politici locali e nazionali, i quali sono ben contenti di semplificarsi la vita pensando che basti parlare con uno di questi sedicenti rappresentanti dei miei diritti per stare dalla parte della “comunità” tutta e usarla come bacino di voti. I politicanti del PD, che carini! In cambio della marchetta al gerarca GLBT di turno vorreste il mio voto? Perché mi ricordo che ai tempi dell’Ulivo, quando i chiesaioli (Binetti, Mastella eccetera) erano l’ago della bilancia, non eravate così coraggiosamente gay-friendly. Peccato che la lobby gay non esista, altrimenti mi potrebbe aiutare a capire anche questo miracolo. E, sempre se esistesse, questa lobby gay, potrebbe anche spiegarmi com’è che verso le varie associazioni GLBT vengono convogliati finanziamenti locali e statali per rappresentarmi, e in quale misura: perché di certo non ci sono di mezzo interessi elettorali, via, non pensiamo subito male… E infine vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse com’è che i suddetti finanziamenti per la lotta alle discriminazioni, a detta delle stesse organizzazioni GLBT che denunciano continuamente uno stato di emergenza omofoba imperante che manco nella notte dei lunghi coltelli, evidentemente non sono serviti a un tubo perché più soldi prendono e più il problema, a detta delle suddette associazioni, è lontano dall’essere risolto. Verrebbe quasi da pensare che i rappresentanti dei miei diritti abbiano bisogno non di risolvere problemi, ma di avere istanze da portare avanti per poter crescere in visibilità e potere di ricatto, e che la soddisfazione non convenga. Peccato che la lobby gay non esista, altrimenti questo dubbio me lo potrebbe sciogliere lei. Però che strano: non è proprio così che funzionano le lobby?