Christine de Pizan (1365-1430) è stata una scrittrice italiana naturalizzata francese vissuta nel Quattrocento. Secondo la storiografia di genere, si tratta di una femminista ante-litteram, la prima femminista della storia, grazie alla sua opera più famosa, il Livre de la Cité des Dames (la Città delle Dame). Questo libro venne scritto in risposta al libro di Giovanni Boccaccio (De mulieribus claris, Sulle donne famose), nonché di altri testi a suo dire avversi alla condizione femminile. In queste opere le donne sarebbero state designate «profondamente cattive e inclini al vizio». Con il suo libro Christine volle riabilitare molte di queste figure femminili, ispirando tutte le donne a uscire dalla loro condizione di inferiorità. Siamo dunque in presenza di una figura storica molto rilevante, caposcuola del femminismo, onorificenza a mio avviso meritata, ma con qualche precisazione. Prima di tutto bisognerebbe evidenziare che Christine de Pizan è molto, molto lontana dall’immagine che possiamo avere oggi delle femministe. Tutti siamo figli del nostro tempo e lo sono anche molti dei valori che pratichiamo e difendiamo quotidianamente. E lo è anche Christine de Pizan, favorevole ad esempio alla pena di morte (maschile), in un’epoca nella quale questa pena rappresentava la normalità e non esistevano ONG del tipo Nessuno tocchi Caino (e così viene smentito l’ennesimo postulato femminista, che vuole che le donne, o le femministe se volete, “non tolgano la vita”).
Lei scrive: «…venne emanata una legge che condannava a morte chiunque violentasse una donna; questa è una pena legittima, giusta e santa». Ancora più problematiche sono le sue dichiarazioni “patriarcali” in contrasto con la fede femminista – che raramente vedrete citate nei libri di storiografia femminista quando parlano di Christine de Pizan. La madre capostipite del femminismo consiglia alle donne: «E voi, care amiche che siete sposate, non sdegnatevi di essere tanto sottomesse ai vostri mariti, poiché non è sempre meglio per una persona essere libera. […] E voi, giovinette, che siete vergini, i vostri sguardi siano bassi, poche siano le parole nelle vostre bocche, rispetto in ogni vostra azione. […] Alle dame vedove, siate oneste nel vestire, nel contegno e nelle parole; devote nell’agire e nello stile di vita, prudenti nel comportamento». Così è smentita la “costruzione dell’eterno femminino” per mano esclusiva dell’uomo; si trattava in realtà di una “costruzione” culturale alla quale partecipavano ben volentieri le donne, anche figure innalzate dal movimento femminista a modello da seguire, tipo Christine de Pizan.
Boccaccio, secondo De Pizan, svilirebbe le donne.
Non solo le dichiarazioni, anche la sua biografia smentisce diversi postulati storici femministi. Christine racconta che fu la madre «l’ostacolo più grande allo studio e all’approfondimento delle scienze». Il padre invece, Tommaso da Pizzano, grande medico e filosofo, la incoraggiò nello studio. Christine fa un’analogia tra la sua esperienza personale e altre due storie simili alla sua, quelle di Ortensia, un’oratrice romana dall’eloquenza straordinaria che seguì le orme paterne, e di Novella d’Andrea, figlia di Giovanni d’Andrea, professore di diritto canonico, educatasi alla scuola del padre e che teneva lezione in sua assenza e lo sostituiva nell’insegnamento universitario (smentendo così l’opposizione sistematica maschile all’istruzione femminile). All’epoca erano numerose le miniatrici, le calligrafe, le copiste. Anche Christine, grazie alla sua istruzione, da vedova manteneva con questa attività una famiglia numerosa (smentito il postulato che le donne non potevano lavorare). Il matrimonio per Christine fu un matrimonio felice, esprimerà più volte la sua desolata solitudine e la perdita del suo amato marito in liriche, di cui forse la più nota è Seulete sui (smentita la rappresentazione del matrimonio come istituzione patriarcale). Nel 1418, Christine si ritirò in un convento e visse volontariamente la vita monacale per 12 anni (smentite le sistematiche ordinazioni femminili forzate). Di fatto Christine non si lamentò mai della reclusione delle donne, tanto è vero che confinò le donne del suo romanzo, la Città delle Dame, in una “fortezza”, recluse (smentita la reclusione femminile per mano maschile). Infine, Christine ebbe due fratelli, Paolo e Aghinolfo, cresciuti e istruiti insieme. Una volta morto il padre, i figli maschi decisero di rientrare a Bologna. In un mondo patriarcale, che secondo la dottrina femminista imporrebbe la censura delle donne, perché l’unica figura nota è quella di lei e i due fratelli sono dei perfetti sconosciuti, malgrado tutti e tre avessero ricevuto la stessa formazione e fossero cresciuti nello stesso ambiente familiare? (smentita la censura storica sulle donne).
Sono altre le caratteristiche che rendono Christine de Pizan a tutti gli effetti adatta per il titolo di madre capostipite del femminismo. In primis, la sua parzialità. La sua lettura dell’opera di Boccaccio è, come minimo, settaria. De mulieribus claris descrive le vite di 106 donne dell’Antichità e del Medioevo, a scopo morale: l’autore presenta degli esempi di vita femminili e sprona alla virtù, attraverso le azioni di queste donne, siano buone che cattive. L’incipit dell’opera: «Dovendo io scrivere per che virtù sono conosciute le famose donne, non parrà cosa indegna di pigliare lo cominciamento da chi fu madre di tutti gli uomini, Eva». Di conseguenza, a volte le donne vengono celebrate, a volte biasimate. Ad esempio, «Penelope … fu una donna di grandissima bellezza e somma onestà, e esempio incorruttibile santissimo e eterno delle donne… ella con astuzia di donna ditesseva la notte nascosamente tutto quello che ella avea tessuto il dì». Prima di De mulieribus claris Boccaccio compose un’altra opera intitolata De casibus virorum illustrium, contenente le biografie di 56 uomini e donne, che percorreva lo stesso spirito critico e moralista, di figure sia virtuose che viziose. È probabile che queste opere di Boccaccio non siano libere completamente da pregiudizi, ma ancora prima di iniziare la loro lettura mi desta stupore lo svilimento della condizione femminile che quest’autore avrebbe operato, secondo Christine de Pizan, quando la sua opera più importante, il Decameron, è dedicata esplicitamente alle donne, e queste sono trattate lungo il suo capolavoro in perfetta parità.
Gli uomini colpevoli di ogni infelicità.
Può essere che sia proprio Christine de Pizan a giudicare pregiudizialmente? Al contrario di Boccaccio, che descrive uomini e donne, con le proprie virtù e vizi, Christine costruisce un’idillica Città delle dame, di solo donne, nella quale la cattiveria, le guerre e la violenza sono estranee (postulato della superiorità morale femminile). Tra i modelli femminili di virtù che abitano questa fortezza troviamo Didone che, risentita, augurò eterna inimicizia tra i popoli di Roma e Cartagine, guerre e distruzione, dopo che Enea l’aveva lasciata; la regina Semiramide, guerrafondaia e incestuosa, ebbe rapporti con il proprio figlio; o la regina Fredegonda, una serial killer conclamata (postulato della sorellanza, le donne vanno sempre difese in quanto donne). Tutte queste donne sono per l’autrice degne di lode, e così esercita su di loro un formidabile lavaggio di immagine. La partecipazione delle donne, come Semiramide, Zenobia, Artemisia o Fredegonda, nelle guerre storiche o leggendarie non è mai un atto di violenza gratuito, rispondono sempre a una provocazione, un tradimento, un attacco precedente, difendono se stesse e i loro figli o il loro paese. In questa visionaria città fortificata, abitata solo da donne senza vizi, non ci dimorano uomini virtuosi, nemmeno suo padre (che l’ha cresciuta e istruita) né il suo amato marito meritano di formare parte di questa città (postulato dell’esclusione maschile). In sintesi, per Boccaccio c’erano uomini virtuosi, donne virtuose, uomini viziosi e donne viziose; per Christine de Pizan ci sono solo donne virtuose. Chi pecca di pregiudizi?
Il tema dell’educazione femminile è centrale nella Città delle Dame. Secondo l’autrice, l’impossibilità di imparare, unita all’isolamento tra le mura domestiche, sarebbero state le cause della presunta inferiorità femminile e della sua assenza sulla scena culturale, anche perché a suo dire se alle bambine venissero insegnate le stesse materie dei bambini, «lo comprenderebbero meglio» perché «il loro ingegno è più acuto» (di nuovo, postulato di superiorità, questa volta intellettuale). A dimostrazione delle potenzialità delle donne Christine riporta vari esempi (Saffo, Proba, Novella, Ortensia e altre) che, in realtà, provano quanto la sua denuncia contro l’universo maschile non sia così evidente. Lei stessa, ostacolata dalla madre e agevolata dal padre, rappresenta la prova vivente che la sua visione del mondo non coincide così chiaramente con la realtà. Ma la caratteristica che conferisce a Christine l’importanza acquisita per la storiografia femminista non è la sua parzialità o la presunta superiorità o l’esclusione maschile. Christine è la progenitrice della “disputa delle donne”, cioè del “conflitto dei sessi”. Lei opera una rivoluzione mentale e culturale di immani conseguenze. Per la prima volta l’universalità dell’insuccesso o dell’infelicità dell’anima umana, addebitate a ragioni che oltrepassavano la comprensione e la capacità di intervenire per correggerle dell’essere umano – il destino, la vita, Dio o la “valle di lacrime” –, viene infranta. Christine individua nell’uomo il principale indiziato dell’insuccesso o dell’infelicità delle donne. Le donne portano un abito smesso tagliato per altri: gli uomini. Molto sinteticamente, gli uomini sono colpevoli degli insuccessi e dell’infelicità delle donne, e responsabili delle proprie. Femminismo. Vorrei concludere con una citazione de La grande menzogna del femminismo, opera dalla quale ho tratto la maggior parte dell’informazione di questo intervento, a pag. 1124: «Avrebbe dovuto essere chiaro a tutti, già dal primo momento nel quale tra tutte le donne illustri fu scelta Christine de Pizan come capostipite e modello di femminismo grazie a un mondo di virtù esclusivamente femminile, celebrato nella sua opera La città delle dame, una città “senza uomini”, che il movimento femminista non cercava né la parità né la convivenza».