Friedrich Engels scrive in L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884): «A misura che le ricchezze aumentavano, da un lato, esse davano all’uomo nella famiglia una posizione più importante che alla donna e, d’altro lato, creavano in lui lo stimolo ad utilizzare questa posizione più importante, per rovesciare, a favore dei propri figli, la vecchia successione. Ma ciò era impossibile finché vigeva la discendenza per diritto materno. Questo diritto doveva dunque essere rovesciato, e lo fu. […] La caduta del diritto materno fu la sconfitta storico-mondiale del sesso femminile. L’uomo afferrò il timone anche nella casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e divenne un semplice strumento di riproduzione. Questa degradata condizione della donna, che appare evidente soprattutto fra i Greci dei tempi eroici e più ancora dei tempi classici, venne gradatamente inorpellata e dissimulata, e qua e là ha assunto anche forme più miti; ma non fu mai in alcun modo abolita. […] Marx aggiunge: «La famiglia moderna contiene in germe non solo la schiavitù (servitus), ma ben anche il servaggio, poiché essa in origine si connette con dei servizi agricoli. Essa compendia in miniatura tutti gli antagonismi che più tardi si sviluppano ampiamente nella società e nel suo Stato». Siffatta forma di famiglia segna il passaggio dalla famiglia sindiasmica alla monogamia. Per garantire la fedeltà della moglie, cioè la paternità dei figli, la donna è consegnata incondizionatamente al potere dell’uomo: se egli la uccide, non esercita che il proprio diritto».
Nel 1884 Engels descrive la nascita del patriarcato, un’ipotesi che avrà ampio successo all’interno della dottrina femminista, anzi quella di maggior successo. Sarà fatta propria in maniera esplicita dalle più importanti esponenti femministe degli anni ’70, da Kate Millett, a Juliet Mitchell, Gloria Steinem, Phyllis Chesler. Nel Diccionario ideológico feminista, tratto a sua volta dall’opera Le patriarcat, si può leggere: «La donna è certa di essere la madre di suo figlio; il padre non lo è mai. “Il patriarcato nasce dalla volontà maschile di finire quest’asimmetria: se permettiamo a tale stato di cose di sussistere, la donna sarà eternamente in una posizione di superiorità, dunque lo proibiamo. E questo divieto lo chiamiamo Diritto”» (altre citazioni simili possono essere rintracciate nel libro La grande menzogna del femminismo, a pagg. 908, 923). In somma sintesi, prima del Patriarcato gli uomini si trovavano in una situazione di marginalità, le donne vivevano libere e generavano liberamente figli di padri ignoti, nel periodo noto come Matriarcato. A un certo punto, retta dalla forza fisica maschile, arrivò la proprietà privata. Chiunque ne avesse, voleva trasmetterla in eredità ai propri discendenti. Gli uomini iniziarono a controllare la sessualità delle donne per garantire la certezza della paternità. Fine del Matriarcato, inizia il Patriarcato. Allo scopo di garantire la trasmissione della proprietà e del proprio patrimonio genetico, mediante la violenza e la forza fisica maschile la donna diventa “schiava” e l’uomo “padrone”.
A nessuno interessa lo status del padre.
Personalmente, pur riconoscendo l’importanza che la certezza della paternità, allo scopo di trasmettere il proprio patrimonio ai discendenti, possa avere nell’immaginario maschile, non credo sia l’unico fattore della vita, né il più importante, che determina il comportamento e il destino degli uomini e dell’umanità intera. L’ipotesi di Engels è una spiegazione onnicomprensiva e categorica, non ammette altre possibilità o concause, e così è stata divulgata dal movimento femminista, e quindi dalle più rinomate istituzioni accademiche e politiche: la volontà maschile di trasmettere il proprio patrimonio ai figli biologici certi è l’unico elemento che ha dato origine e determina il dominio sociale maschile. Ora, chi sono io per mettere in discussione quello che affermano le femministe, gli accademici, le università, le istituzioni, i governi e l’ONU? L’assumiamo come ipotesi valida: gli uomini comandano nel mondo per poter trasmettere in maniera certa il proprio patrimonio ai figli o, in altre parole, il controllo degli uomini sul destino dei propri figli, allo scopo di trasmettere il proprio patrimonio, è la prova più evidente del dominio maschile nel mondo. A questo punto, per poter vagliare una tale asserzione, bisognerebbe porsi qualche domanda: nella Storia dell’Umanità, a quanti uomini e a quante donne è stato impedito per legge di crescere i propri figli biologici? Viceversa, quanti uomini e quante donne sono stati costretti per legge a crescere dei figli non biologici? (Non intendo i milioni di figli nati da un tradimento, cresciuti all’insaputa del padre, anche se qui potrebbero rientrare quelli che ad un certo punto vengono “sospettati” dall’uomo tradito di non essere i propri figli biologici, ma che continua comunque a crescere costretto dalla legge).
In questo ambito la Storia offre molti esempi della supremazia femminile: alla nascita i figli beneficiano dello status della madre, non del padre. Partus sequitur ventrem è stata una dottrina legale in vigore in molte epoche e in molte parti del mondo. La frase in latino, derivata dalle norme del diritto romano, significa grossomodo che il nascituro segue il ventre, ovvero tradotto in termini legali che colui che fosse nato da una madre schiava avrebbe seguito lo stesso destino divenendo anch’egli schiavo, indipendentemente di chi fosse il padre e della sua volontà. Ma ciò vale anche per la cittadinanza, lo status sociale ed economico. La legge ebraica riconosceva la condizione dell’ebreo a qualsiasi bambino nato da una donna ebrea, anche se bastardo o di rango inferiore. La condizione del padre non aveva alcun ruolo. Lo stesso succedeva presso i romani: il diritto di cittadinanza si trasmetteva attraverso le donne, anche fuori dal matrimonio, attraverso donne nubili o concubine, e viceversa, erano schiavi per diritto delle genti coloro che nascevano da genitori o madre schiavi, senza alcuna considerazione dello stato del padre. Parimenti nei paesi musulmani i figli ereditavano dalla madre la condizione di persona libera o schiava, non dal padre. Anche nell’Antico Egitto si riconoscevano i diritti di eredità matrilineari: il faraone Tutmosis II arrivò al trono per essere figlio della regina Hatshepsut, la quale incarnava la discendenza legittima del dio Amon. Il principio giuridico del XIX secolo emanato dai paesi abolizionisti, che concedeva la libertà ai figli nati dalle schiave nere, fu denominato “libertà di ventre”, non “libertà di pene”. A nessuno interessava né lo status né la volontà del padre.
Uomini imbranati forte.
Tutti sappiamo, ad esempio, che molti padroni schiavisti approfittavano e si sfogavano sessualmente con le schiave nere o mulatte nelle piantagioni americane che, in alcuni casi, rimanevano gravide. Questi figli dei padroni, nati dalle schiave, non accedevano mai all’eredità e al patrimonio del padre, riservati ai figli legittimi – di fatto stessa sorte correvano i figli bastardi. Furono tantissimi, tra meticci e mulatti, figli di padroni, quelli che dovettero sopportare la condizione di schiavitù. In quella società, tipicamente “patriarcale”, era la madre (bianca), non il padre, a far diventare i propri figli proprietari e proprietarie di schiavi. Soltanto i figli della signora della piantagione erano rispettati, non bastava essere figlio del padrone. I figli del padrone seguivano la madre, e se la madre era una schiava che apparteneva a un altro padrone, i figli di conseguenza diventavano gli schiavi di questo padrone (stessa sorte poteva capitare nell’Impero romano, dove tra cittadini liberi, se la madre era sotto un certo patriarca, i figli rimanevano sotto la stessa tutela familiare, al di là di chi fosse il padre). Rimane un mistero come può esser denominata patriarcale una società che non concede all’uomo il diritto di tutelare i propri figli. È la dama sudista che decide chi diventa il padrone della piantagione. Questo è il monologo finale di Rossella O’Hara nel film Via col vento: «Giuro davanti a Dio, e Dio m’è testimone, che i Nordisti non mi batteranno! Supererò questo momento e quando sarà passato non soffrirò mai più la fame, né io né la mia famiglia , dovessi mentire, truffare, rubare o uccidere. Lo giuro davanti a Dio: non soffrirò mai più la fame!». Una donna disposta a mentire, ad uccidere o a fare qualsiasi cosa pur di mantenere per lei e per i propri figli la piantagione. Questo è lo spirito che il femminismo, nel bene ma soprattutto nel male, addebita agli uomini.
Il più grosso problema quando ci si confronta con la teoria femminista è che non siamo di fronte a una teoria fattuale, ma a una teoria emozionale. La verità emana dai sentimenti e dalle lacrime, non dai dati fattuali e dai ragionamenti logici. Gli eventi storici troppo spesso sono agli antipodi della narrazione femminista. La donna non ha mai dovuto rispondere legalmente per i figli avuti dal suo compagno con un’altra donna. È la donna colei che legittima e conferisce valore al figlio. Risulta grottescamente beffardo, oltre che assolutamente ingiusto, definire oggigiorno patriarcale una società che quasi sistematicamente sottrae i figli ai padri separati nei tribunali. Attualmente su questo ambito la donna è onnipotente e ogni decisione sui figli spetta a lei. La cosa ha dell’incredibile e dello straordinario: sono gli uomini che fissano le norme, a proprio svantaggio. Sono gli uomini che per secoli hanno stabilito che lo status paterno non ha alcun ruolo. Sono stati i Parlamenti maschili, di solo uomini o quasi, ad approvare le leggi sull’aborto e sul riconoscimento dei figli, che concedono la supremazia alle donne e sottraggono al mondo maschile qualsiasi diritto. Sono le donne occidentali, sulla base di norme approvate da uomini, a decidere se abortire, se hanno un figlio da single senza un padre, se lo vogliono tenere o darlo in adozione anonimamente, o se dopo 10 anni dopo la nascita scelgono di denunciare al presunto padre ignaro per il mantenimento. E non solo sul riconoscimento del figlio! Sono le norme votate nei Parlamenti costituiti prevalentemente da uomini che sottraggono i diritti ai padri separati, che discriminano gli uomini disoccupati attraverso le quote e i finanziamenti che favoriscono le assunzioni femminili, che emanano leggi penali che violano la presunzione di innocenza maschile (il caso più emblematico è quello spagnolo con la Ley de Violencia de Género), ecc. Norme e ancora norme emanate da uomini contro se stessi, ha dell’incredibile e dello straordinario. Comunque, e per quanto riguarda il tema dell’intervento, ammesso e non concesso che sia valido il principio fissato all’inizio da Engels, e adottato dal femminismo, che stabilisce che l’uomo comanda e ha comandato il mondo per poter avere la gestione sui figli, su questa base, bisogna per forza concludere che, o gli uomini sono degli imbranati forte e lo stanno facendo pessimamente, o a comandare il mondo sono nella realtà le donne.