Questa che sto per raccontare è proprio la tipica storia antica che nessuna femminista vorrebbe più sentire. La cinese Cheng Sao era una prostituta, vissuta tra il 1700 e il 1800. Riuscì a far innamorare e poi a sposare un potente pirata. Dopo la morte del suo uomo, fu lei a prendere le redini della flotta, comandandola con pugno di ferro. Il potere conferitole dal maschio senza il quale Cheng avrebbe continuato a vendere il proprio corpo per sopravvivere e a far parte dello strato più basso della società, le consentì una rapida ascesa sociale, che fece emergere anche la sua natura tutt’altro che docile.
Non risparmiò ai pirati suoi sottoposti l’applicazione del durissimo codice previsto per i disertori. Sotto il suo comando i traditori furono decapitati, chi si allontanava dalla battaglia subiva il taglio delle orecchie e i ladri di bottino erano sottoposti a frustate. Durante questo periodo di potere, Cheng trovò un nuovo compagno, un pescatore, insieme a cui distrusse perfino le flotte inviate dalle forze governative per contrastarli. La vittoria più clamorosa la conseguirono sul generale Li Chang Keng, cosa che le aprì la strada verso Canton. Gli abitanti della zona furono costretti ad asserragliarsi nei propri villaggi per alcuni anni, finché i cinesi non ottennero il supporto di inglesi e portoghesi. Con il loro intervento si ottenne il disarmo della flotta di Cheng, che però mantenne il bottino conquistato durante le precedenti incursioni, grazie al quale trascorse il resto della sua vita negli agi.
Noi donne sappiamo anche essere carnefici.
L’ipergamia di questa donna è evidentemente il filo conduttore della vicenda: una donna confinata negli strati sociali più bassi, costretta a prostituirsi, ma che poi, grazie alla sua avvenenza, riesce a ottenere un’ascesa sociale che altrimenti avrebbe potuto soltanto sognare. Il binomio uomo potente-donna avvenente ha evidentemente radici antiche, ma la vicenda ci fa molto riflettere anche su un altro aspetto della natura femminile. Usualmente associata a dolcezza, maternità, accudimento, fragilità, in realtà nasconde lati oscuri che hanno ben poco a che fare con quella figura di vittima predestinata, esserino indifeso e innocente, con cui oggi il mainstream politicamente corretto ci dipinge tutte quante siamo.
Questa vicenda, come molti fatti di cronaca a cui assistiamo ai giorni nostri, dimostra che noi donne sappiamo anche essere carnefici. Come Cheng allora, anche oggi le donne non esitano a dimostrarsi feroci, nell’ordinarietà delle cose così come quando occupano posizioni di vertice. Il desiderio di vendetta, la rabbia che molte donne hanno accumulato a causa dei racconti vittimisti diffusi dal femminismo sull’oppressione subìta dalle loro antenate (che poi più che oppresse erano protette nelle loro case, mentre i mariti morivano in guerra o al lavoro, ma questo è un altro tema…), ha fatto sì che si arrivasse al punto in cui queste amazzoni dei giorni nostri potessero letteralmente disporre della vita e della libertà di un uomo o di comunità di uomini, il tutto a norma di legge.
Le femministe che vorrebbero essere Cheng.
La vicenda di Cheng induce a riflettere sulla natura femminile e sulle evidenti contraddizioni a cui è andata incontro nel corso degli anni. Cheng è allo stesso tempo animata da un forte istinto di ipergamia, tratto tipico di noi donne (anche se nessuna vuole più ammetterlo, visto che desiderare l’uomo potente e protettivo fa cadere tutta l’impalcatura di forza/autonomia/indipendenza che ci è stata imposta dal femminismo), che la spinge a sposare l’uomo potente, che poi le consentirà la scalata sociale. Ma anche, contemporaneamente, è avida di rivalsa a fronte della vita grama che aveva dovuto sopportare a lungo. Ed è così che, alla morte del marito, non si fa remore a “farsi uomo” nel senso più deteriore del termine, ossia per crudeltà. Così accade: quando il potere passa nelle mani delle donne, può facilmente trasformarsi in tirannia a causa della sostanziale caratteristica che ci fa essere diverse dagli uomini: l’emotività. Noi ragioniamo in termini “emotivi”, ci muoviamo in base alle sensazioni che una persona, un evento o un ricordo ci suscitano.
È certo che Cheng sarebbe rimasta la comoda sposa del ricco pirata, se il consorte non fosse morto. Scomparso lui, è altrettanto certo che, durante le torture, le razzie e i saccheggi, abbia provato “di pancia” la soddisfatta sensazione che il suo destino in qualche modo venisse così riequilibrato, il degrado precedente emendato, la miseria trascorsa redenta. Va detto che, senza con ciò giustificare i suoi crimini, biografia alla mano, aveva concreti motivi di risentimento verso il destino, nonché tutti i diritti di sentirsi in credito con esso. Non è così per le molte femministe di potere oggi, che operano con una ferocia simile, modernizzata ma non meno devastante, facendosi forti di assunti ideologici privi di ogni fondamento. Amano recitare da Cheng, vorrebbero essere lei e decapitare quanti più uomini possibile, nel nome di un’oppressione di millenni che in realtà esiste soltanto nelle loro fantasie malate e nel loro più profondo senso di inadeguatezza verso se stesse prima ancora che verso l’altro sesso.