Europa a corrente alternata. O meglio, talvolta bisogna obbedire perché “ce lo chiede l’Europa”, altre volte l’Europa può chiedere quello che vuole tanto l’Italia si gira dall’altra parte. Respinto dalla commissione giustizia della Camera l’emendamento che avrebbe vietato la ver-gogna mediatica, cioè la crocifissione del mostro sbattuto nel tritacarne prima ancora che cominci il processo. Non citiamo il nome né il partito di appartenenza del deputato che aveva proposto l’emendamento, non abbiamo alcun interesse a farne una polemica di casacche. Ma una polemica politica si.
È lecito chiedersi se la presunzione d’innocenza, garantita dall’art. 27 della Costituzione e sollecitata dalla UE, non dovrebbe avere anche un’accezione collettiva. È un illecito criminalizzare il singolo individuo prima che ne venga accertata la colpevolezza, ma dovrebbe esserlo anche criminalizzare una categoria, una fetta della popolazione, un genere. È un problema annoso che solleviamo da anni, l’equivoco che genera la costruzione di un allarme sovradimensionato rispetto ai reali contorni del fenomeno violenza domestica. Tutte le fonti istituzionali diffondono i dati sulle denunce presentate nel corso di un anno, senza mai specificare che la denuncia, in sé, non vuol dire nulla di concreto.
Ci sono 50.000 vittime di violenza!
La denuncia è una sorta di autocertificazione della parte lesa o presunta tale, che però deve essere sottoposta al vaglio della giustizia che ne verifica la fondatezza. I tribunali esistono proprio per questo. Prima dell’indispensabile iter giudiziario le 50.000 denunce non possono essere tradotte nella certezza di dover censire 50.000 vittime, né tantomeno 50.000 colpevoli. Invece è esattamente questo che viene inculcato nella coscienza collettiva: il fenomeno è enorme poiché al numero di denunce corrisponderebbe uguale numero di vittime. Ogni denuncia, tuttavia, ha un proprio iter autonomo che può esitare in archiviazione, proscioglimento, assoluzione o anche condanna. Le condanne rappresentano circa il 10% del totale, quindi la percentuale di denunce che si risolvono con un nulla di fatto è altissima. Ma questo non lo dice nessuno.
I finanziamenti ai centri antiviolenza non sono mai abbastanza, c’è sempre bisogno di più fondi perché ci sono 50.000 denunce quindi 50.000 vittime di violenza che hanno bisogno di essere assistite. Se poi i tribunali appurano che 45.000 presunte vittime non avevano in realtà subito alcuna violenza, comunque i soldi servono perché le presunte vittime credevano di aver subito violenza o conveniva loro dire di aver subito violenza. Bisogna fare campagne istituzionali per pubblicizzare il 1522 perché ci sono 50.000 vittime di violenza. Bisogna dire che è 25 novembre tutto l’anno perché ci sono 50.000 vittime di violenza. Bisogna rieducare gli uomini italiani perché ci sono 50.000 vittime di violenza. Bisogna inaugurare panchine rosse in tutta Italia perché ci sono 50.000 vittime di violenza. Bisogna creare leggi più restrittive perché ci sono 50.000 vittime di violenza.
Ci vuole chiarezza sugli schieramenti.
Divulgare cifre gonfiate serve a molti scopi, non solo economici. È uno scopo anche creare nella collettività la convinzione che ci sia bisogno di leggi speciali. Liberticide, ma rese indispensabili per contrastare un’emergenza costruita con cifre ingannevoli. Non compare mai nei messaggi istituzionali riportati dai media che i numeri propagandati non si riferiscano a vittime accertate ma a persone che dichiarano di sentirsi vittime. La differenza tra autocertificazione e casi reali è enorme, ma la percezione collettiva viene condizionata dal solo dato delle denunce, le fonti istituzionali non citano mai la presunzione di innocenza sebbene si riveli, alla verifica dei fatti, largamente prevalente. D’altra parte la rilevazione e la conseguente diffusione di dati concreti in tempo reale è oggettivamente difficile: ad esempio una denuncia del 2015 entra nelle statistiche di quell’anno che creano un allarme fittizio, poi una eventuale archiviazione arriva nel 2016, un eventuale proscioglimento in istruttoria può arrivare nel 2017, in caso di rinvio a giudizio una eventuale assoluzione può arrivare nel 2020 o anche più tardi. Ma nessuno andrà a stornare le assoluzioni del 2020, i proscioglimenti del 2017 o le archiviazioni del 2016 dal computo delle denunce degli anni precedenti. Se erano 50.000 tali rimangono, tanto ormai l’allarme gonfiato del 2015 è alle spalle e nessuna fonte istituzionale ha mai mostrato interesse a ridimensionare l’emergenza riconducendo il fenomeno entri i suoi reali confini.
Sarebbe giusto quindi applicare le direttive europee per diffondere dati reali. Non si può accusare una persona sulla base di mere denunce prima che sia un tribunale ad accertarne la fondatezza, allo stesso modo sulla base di mere denunce non si può colpevolizzare un intero genere. E veniamo alla polemica politica. Quali sono i motivi per i quali una direttiva europea non viene recepita? “… misure necessarie per garantire che, nel fornire le informazioni ai media, le autorità pubbliche non presentino gli indagati o imputati come colpevoli, fino a quando la loro colpevolezza non sia stata legalmente provata. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero informare le autorità pubbliche dell’importanza di rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media, fatta salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media” (Direttiva 2016/343/UE). Chi si oppone, e perché, alla norma che vieterebbe di presentare un imputato come già colpevole? O impedirebbe di presentare decine di migliaia di denunciati come già colpevoli? Perché la trasparenza e la correttezza incontrano tanti oppositori? Per rispondere a questi interrogativi sentiremo il deputato che ha visto cestinare il proprio emendamento, ci vuole chiarezza sugli schieramenti che non hanno alcun interesse ad arginare le informazioni fuorvianti, per una singola persona come per un intero genere. Perché alla lunga questo stato di cose può portare a storture e ad esiti tragici, come vedremo nell’articolo di oggi pomeriggio, che vi consigliamo di non perdere.