Il professore emerito Giancarlo Nivoli, presidente della Società italiana di Psichiatria Forense, annuncia per oggi la presentazione nell’Aula Magna dell’Università di Sassari del libro “Emozioni criminali. Perché un uomo uccide una donna: aspetti psichiatrici e forensi”. È un lavoro di alto profilo scientifico, sviluppato insieme alle figlie Fabrizia e Alessandra, che tratta il tema attuale delle dinamiche psichiche e della prevenzione dell’omicidio di una donna da parte di un uomo. Un saggio di psichiatria forense che indaga stati emotivi e passionali della persona che delinque, anche in chiave preventiva, ma solleva il solito polverone femministicamente corretto poiché nel programma dell’evento non ci sono donne a parlare di femminicidio. L’autore non è libero di presentare il suo lavoro senza invitare Telefono Rosa?
Giuseppe Conti, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Sassari: «Mi pare davvero una polemica sterile, una tempesta in un bicchier d’acqua». Massimo Zaniboni, Presidente del Tribunale di Sassari: «ritengo sterile la polemica che è stata sollevata». Niente di nuovo, la polemica sterile si ripete con ridicola continuità… È ormai un must, certe polemiche vengono sollevate per il puro gusto di farlo, com’è accaduto per Rula Jebreal che rifiuta l’invito a “Propaganda Live” perché ci sono poche donne. O per i convegni saltati perché non era previsto il 50% di relatrici. O per Biancaneve vittima di violenza sessuale perché baciata senza consenso. O per l’Odissea da bandire dalle scuole perché lui viaggia e lei tesse la tela, quindi è sessista. O per Shakespeare contestato poiché il geloso Otello ha la pelle troppo scura. O per il brand Testanera che deve cambiare nome perché così è razzista. O per il commentatore sospeso per aver detto in tv che non ama sentire donne discutere di calcio. O per il “porca puttena” di Lino Banfi che deve sparire dalla pubblicità perché è volgare. O per la tizia che dichiara in tv di temere il Generale Figliuolo perché indossa la divisa. O per le preghiere che non devono terminare con “amen” ma ci vorrebbe anche “awomen”. O per la Palombelli che ha osato dire ciò che la criminologia e la psichiatria forense studiano da almeno 30 anni.
Condanne sociali basate sulla falsificazione.
Ecco, la Palombelli. È la polemica più recente tra quelle citate, una valanga di indignazione ha travolto la conduttrice di Forum, rea di aver sollevato un dubbio sui femminicidi letti come uccisione delle donne inquantodonne: «a volte è lecito domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’è stato un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte?». Non ha detto, la Palombelli, che l’omicidio di una donna in fondo è giustificato da un suo comportamento esasperante ed aggressivo. Non ha detto che l’assassino dovrebbe essere giustificato o addirittura assolto. Si è chiesta se per caso possa esserci un comportamento aggressivo come molla scatenante della violenza, domanda più che lecita, senza per questo affermare che l’omicidio da parte di un uomo esasperato, provocato o aggredito non debba essere punito severamente. Doppio standard al quale assistiamo da anni: il dubbio espresso dalla Palombelli è esattamente lo stesso che diventa certezza quando ad uccidere è una donna: «chissà quante ne ha passate», «avrà avuto i suoi motivi», «dobbiamo chiederci cosa avrà dovuto subire quella poveretta per arrivare ad ammazzarlo».
Per una donna che uccide si scatena l’assoluzione mediatica prima ancora che giuridica. Per un assassino invece non devono essere fatti gli approfondimenti che il prof. Nivoli studia da tutta la vita. Tuttavia il mondo accademico non converge compatto sugli stessi principi, gli sforzi di Nivoli per studiare da cosa nascano le pulsioni omicide si infrangono contro la granitica certezza di tale David Lazzari che, mi dicono, sarebbe Presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi. «Nulla può giustificare una violenza o addirittura un’uccisione». Grazie Presidente, lo diceva pure mia nonna. Dall’alto del suo sapere, Lazzari informa le masse che «le ricerche scientifiche ci confermano come un contesto sociale e giuridico che condanni in modo esplicito, sistematico e assertivo chi commette ogni tipo di violenza, e tra queste, quella di genere che sfocia spesso in uccisione, rappresenti la condizione necessaria e indispensabile per diminuire numero ed entità delle violenze». Ok, bisogna spiegare agli assassini che non si fa, proprio non si fa. Peccato che le unanimi condanne, sociali, giuridiche, politiche non sono solo “esplicite, sistematiche e assertive” ma addirittura ossessive e strutturalmente falsificate, come abbiamo detto di recente.
La “temporanea” incapacità di intendere e di volere.
Sarebbe interessante sapere quali siano le “ricerche scientifiche” a cui Lazzari fa riferimento, ma di solito il dettaglio di citarle è una noiosa incombenza dalla quale molti si astengono, e il Presidente dell’Ordine degli Psicologi non fa eccezione. Si indigna per la pena di “soli” 16 anni, scontata rispetto ai 30 del primo grado, comminata dalla corte d’Appello di Firenze ad un ragazzo birmano che nel 2018 uccise la fidanzata cinese. Le attenuanti a Lazzari non piacciono, o perlomeno non gli piacciono quando vengono applicate ad un uomo. «L’attenuante dell’ira non ha consistenza di tipo psicologico e psicopatologico», tuona. Ma ne ha a livello giudiziario, qualcuno glielo spieghi. Esiste una giurisprudenza consolidata che tiene conto delle alterazioni emotive di una donna che uccide in preda all’ira, basti pensare alle assoluzioni per sindrome premestruale (ira incontrollabile, si sa che “in quei giorni” alcune donne possono essere nervosette) o donne in preda all’esasperazione, all’angoscia, alla depressione – non solo post partum – all’impotenza, alla frustrazione. Come ad esempio nel caso di Salvatrice Spataro, del quale ci occuperemo domani nel dettaglio, condannata in appello a 9 anni in luogo dei 14 stabiliti in primo grado, per aver ucciso il marito con 57 coltellate. La riduzione di pena arriva proprio in considerazione dello stato emotivo al momento dell’omicidio.
Il caso Spataro non è certo l’unico, l’asimmetria valutativa (e sanzionatoria) in rapporto a chi faccia cosa è una costante nei nostri tribunali. Non si contano i casi in cui venga certificata per un’assassina la temporanea incapacità di intendere e volere al momento del delitto. Forse le “ricerche scientifiche” che conosce il Presidente Lazzari registrano anche in quali e quanti casi l’incapacità di intendere e volere venga riconosciuta, utilizzata per mitigare le pene e scorporata per genere: con quale frequenza è incapace un’assassina, con quale frequenza l’incapace é invece un assassino. Noi questi approfondimenti non li conosciamo, ma noi non siamo lascienza. Siamo però certi che per avere un quadro chiaro basterebbe chiedere ad alcuni psichiatri attraverso quali tecniche sia possibile accertare a distanza di anni l’incapacità temporanea di autocontrollo per una data persona in un determinato momento e solo in quello, vale a dire con quali strumenti scientifici si può appurare oggi, settembre 2021, che una persona senza particolari disturbi comportamentali fosse incapace di intendere e volere proprio il 26 febbraio del 2013, e solo dalle quattro alle quattro e mezza del pomeriggio. Accertamenti registrati e attenuanti concesse in modo pressoché regolare quando l’imputato e donna. Le poche volte che lo si fa per un imputato uomo, però, si scatena la bagarre.