Gentile Onorevole Boldrini, faccio riferimento a questo suo post Facebook. Colpisce “la storia di Laura”, quindi il suo chiamare per nome la protagonista di questa vicenda. Dimostra confidenza, empatia e vicinanza ideologica con la Massaro, o forse un mix di tutto. Vicinanza che tuttavia non ha mai dimostrato per le mille storie di Mauro, Emilio, Alessandro, Carlo, Fabrizio, Luca, Enrico, William, Giuseppe e tanti altri, veramente tanti. Ma nemmeno, e questo è molto più grave, nessuna empatia per i figli di Mauro, Emilio eccetera. Sembra – mi corregga se sbaglio – che il prerequisito per essere accolti sotto la Sua ala protettrice non sia aver subito la violazione di uno o più diritti, ma essere una donna. Sarebbe un gravissimo pregiudizio ideologico. Sicuramente per quanto attiene al Diritto di Famiglia Lei si è battuta strenuamente per la difesa dei diritti delle persone a prescindere dal genere, deve essermi sfuggito quando lo ha fatto anche per i padri ma deve averlo fatto; altrimenti sarebbe un pessimo indice di sessismo mostrare interesse solo per le appartenenti ad un genere. Entrando nel merito, mi permetta di evidenziare alcuni aspetti che forse Le sfuggono.
È falso attribuire alla PAS la ratio del provvedimento. La teoria ascientifica che tanto appassionatamente Lei dichiara rigettata da chiunque, non viene affatto citata nel provvedimento: né come sindrome di alienazione, né come alienazione parentale, né come alienazione e basta. Vengono citati una serie di comportamenti oggettivamente e reiteratamente ostativi rilevati da diverse professionalità in ogni grado di giudizio, senza tuttavia attribuirli ad alcun disturbo comportamentale, ad alcun problema sintomatico o peggio ad alcuna sindrome. Si parla espressamente di grave carenza individuale su un piano di competenze genitoriali. Non ha quindi ragione di essere la contestazione di una teoria che nel provvedimento non compare affatto. È curioso che la famigerata scienza-spazzatura sia stata ormai abbondantemente superata dal mondo accademico ma resista esclusivamente nell’accanimento di chi la cita per poterla contestare. Ormai è appurato che non si tratta di una sindrome, non è junkscience ma è un comportamento disfunzionale e dannoso per la prole. Per chi dimostra un malsano accanimento nell’ostacolare i rapporti genitore-figlio la soluzione è giuridica, non medica. Necessitano provvedimenti risolutivi, non certo la somministrazione di farmaci. Infatti «la permanenza del minore presso il nucleo familiare materno appariva gravemente nociva e pregiudizievole», pertanto l’allontanamento del minore da un contesto tossico è una misura salvifica per il minore stesso.
La denuncia serve comunque per poter dire “ho denunciato”.
È privo di fondamento ogni riferimento agli stereotipi patriarcali. Nemmeno una volta il provvedimento (ma lo ha letto, Onorevole?) prende in considerazione i diritti del padre, il focus è centrato esclusivamente sui danni arrecati al minore – non al padre – a causa degli oggettivi ostacoli costruiti dalla madre e ripetuti per anni. Indubbiamente considerevoli danni sia economici che relazionali, psicologici ed emotivi li avrà subiti anche il padre, ma non una sola parola nella sentenza vi fa riferimento. Quindi l’allontanamento dalla madre prende vita come misura di protezione del figlio dai comportamenti della sig.ra Massaro, dell’intero ambito parentale materno, e non dalla necessità di soddisfare l’ego del sig. Apadula in nome della famigerata oppressione patriarcale.
È privo di fondamento ogni riferimento alle denunce per maltrattamenti in famiglia. Non è corretto, a rigor di logica prima ancora che di dottrina giuridica, citare le denunce come certificazione di colpevolezza. Lo fate in tante, Lei non è la sola. L’assunto implicito: siccome la signora denuncia l’ex di violenze fisiche su se stessa e sessuali sul bambino, tali violenze devono essere certamente avvenute. Non è così. La mera denuncia non significa nulla, è il tribunale che deve verificare la fondatezza delle accuse e gli eventuali estremi di reato. Quando ci sono. Non esiste una sola condanna, dicasi una, a carico del Sig. Apadula. Si tratta quindi dell’utilizzo strumentale della denuncia, che nella convinzione di chi la presenta deve produrre comunque un effetto: se proprio non vi sono gli estremi di reato e si conclude con un nulla di fatto per archiviazione, proscioglimento in istruttoria o assoluzione, la denuncia serve comunque per poter dire “ho denunciato”.
La madre non capisce il danno al minore.
Tale comportamento slatentizza il bisogno di ottenere almeno mediaticamente quello status di vittima che è impossibile ottenere giuridicamente quando il reato non esiste: «sono vittima di violenza istituzionale, mi danno torto nonostante io abbia denunciato mille volte». La pericolosità del padre è inesistente nei fatti ma nasce esclusivamente dalle convinzioni della signora, che percepisce l’intera vicenda come una macchinazione ai propri danni ordita da giudici, consulenti, curatori speciali ed assistenti sociali, tutti coalizzati contro di lei ed infatti da lei denunciati o ricusati. Continuare a sostenere che la sig.ra Massaro sarebbe penalizzata «nonostante le denunce di maltrattamenti in famiglia», significa non aver compreso cosa è agli atti nel caso Massaro/Apadula. È folle pensare che le denunce debbano produrre in automatico gli effetti desiderati dalla denunciante, altrimenti non esisterebbero i tribunali. Eppure è ciò che si sottintende quando si afferma che la signora ha avuto torto «nonostante le denunce». Basta aggiungere che ha avuto torto nonostante le denunce infondate, e appare più facilmente comprensibile la dinamica in atto da anni.
Per fare chiarezza può essere utile estrarre alcuni stralci dalle 13 pagine del provvedimento: «il comportamento solo formalmente collaborativo di Laura Massaro, che più volte ha evidenziato la sua sfiducia nei percorsi in atto manifestando la convinzione che non fosse necessario un accesso del minore ad entrambi i genitori, tanto da interrompere arbitrariamente i rapporti tra il minore ed il padre adducendo quindi una pericolosità del padre non supportata da alcun reale elemento». «Laura Massaro percepisce GA come persona potenzialmente pericolosa per se stessa e per il figlio senza che tale percezione si fondi su reali elementi (…) condotte a più livelli di ostacolo all’accesso del minore alla figura patema che viene proposta al figlio con messaggi svalutanti e denigratori, determinando inoltre un legame fusionale del minore alla madre alla quale è legato da un vincolo di lealtà». «Appare evidente che tutti i tentativi e gli interventi disposti dal Tribunale dei Minori e dal Tribunale Ordinario e dalla Corte d’Appello per riattivare rapporti tra il padre ed il minore si scontrano con l’opposizione ad ogni livello attuata dalla madre che non riesce a rendersi conto del danno – evidenziato da tutte le CTU – che sta arrecando al minore negandogli e denigrando la figura patema, con i rischi di evoluzione patologica già evidenziati».
Mantenere uno straccio di imparzialità.
«La Corte aveva infatti riconosciuto come Laura Massaro neghi il diritto dell’altro genitore a far parte della vita del figlio come la stessa ha in più occasioni detto di ritenere giusto rivendicando la propria contrarietà al mantenimento di un rapporto con una figura paterna che lei sinceramente ritiene pericolosa». «Sostanziale avversione ad ogni tentativo di riavvicinare al minore la figura paterna, peraltro già in passato ritenuta non necessaria ed anzi pericolosa senza alcun elemento a sostegno di tale tesi che non può essere giustificata dalla ipotetica personale convinzione di Laura Massaro». «La costruzione nel figlio di processi di pensiero che distorcono la realtà oggettiva a servizio di una realtà ideale esclusiva ed unica. Ad esempio la facoltà decisionale rispetto a questioni rilevanti per la sua crescita, come la frequentazione con il padre, è una grave carenza individuale della sig. Massaro su un piano di competenze genitoriali».
Quindi, riassumendo: la pericolosità del padre esiste solo nella mente della signora, non essendo supportata da alcun elemento reale. Denunce basate su fantasie personali, quindi del tutto infondate, prova ne sia che da nessuna sia scaturita una condanna per il presunto reo. La Sig.ra Massaro e tutte le persone che aderiscono acriticamente alle sue lagnanze, parlamentari in primis, insistendo ossessivamente sulle denunce fanno passare l’ex per violento, mentre invece é sempre risultato estraneo ai fatti di cui viene accusato e neanche mai iscritto nel registro degli indagati. Passi la Massaro che ha ormai fatto del suo odio una missione e della faziosità una bandiera, ma almeno le parlamentari che la appoggiano hanno mai pensato di mantenere almeno uno straccio di imparzialità, sentendo anche il padre?
La signora sembra attribuire alla denuncia un significato validante.
È doverosa una constatazione: qualora una madre sia particolarmente ansiosa e pensi di vedere nel proprio figlio gli indicatori di un abuso sessuale subito dal padre, può legittimamente manifestare le proprie paure in Procura. Tuttavia è il comportamento successivo alla prima denuncia che fa da cartina al tornasole rispetto alla fondatezza delle paure: quando il tribunale – quindi non il padre, né i legali del padre, né i consulenti del padre – appurano che gli abusi non sono mai avvenuti, una persona in buonafede dovrebbe tirare un sospiro di sollievo poiché il proprio figlio non ha subito ciò che lei temeva avesse subito. Quando invece si accanisce nelle denunce, nell’ostacolare la relazione padre-figlio e nell’impedire gli incontri, scompare l’elemento buonafede ed emerge l’ obiettivo reale ma occulto che non è quello di difendere il minore da abusi che non sono mai avvenuti, ma è distruggere la relazione padre-figlio.
Lascia pensare la sfiducia in tutte le figure terze che a vario titolo hanno avuto un ruolo nella lunghissima vicenda. Bersaglio degli strali massariani non è solo l’ex ma la sua ira è allargata a chiunque non le dia ragione. È impressionante leggere negli atti le valutazioni di quali e quanti professioniste/i convergano sull’accanimento della signora nell’ostacolare con ogni mezzo, lecito e illecito, la relazione padre-figlio: lei è convinta che il padre non debba entrare nel percorso di crescita del bambino, e tanto basta. Se fior di professionisti cercano di convincerla del contrario, o non hanno capito nulla o sono in malafede, e partono altre denunce. La signora sembra attribuire alla denuncia un significato validante, la utilizza come certificazione della Verità, quella con l’iniziale maiuscola della quale lei sola è depositaria.
La guerra all’ex come una missione.
Non sono uno psichiatra, quindi non posso diagnosticare delle manie di persecuzione, non posso ipotizzare un cocktail costituito da delirio vittimistico abbinato a delirio di onnipotenza, non posso diagnosticare una patologia della signora né prescrivere terapie per curare tale patologia. Lascio a persone più competenti di me il compito di valutare il comportamento della signora Massaro e di chi la sostiene. Un altro passaggio della sentenza lascia trasparire il bias culturale in merito all’utilizzo della carta bollata: «la Corte aveva previsto l’invio del minore al Policlinico Gemelli per un percorso psicoterapico, ma tale percorso non ha avuto luogo in quanto Laura Massaro ha arbitrariamente interrotto gli incontri presentando una istanza a tale fine al Tribunale dei Minori, senza peraltro attendere un provvedimento, quasi che basti presentare una istanza per sospendere l’esecuzione di un provvedimento». Lei ha deciso che il percorso non deve avere luogo e ne ha “informato” il tribunale, punto. Non ha alcuna importanza il fatto che il tribunale valuti la sua istanza e risponda nel merito, lei ha deciso e tanto basta.
Allo stesso modo sembra percepire le denunce: lei ha deciso che l’ex sia pericoloso, punto. Con la denuncia “informa” la Procura di aver subito delle violenze, che esistono proprio perché lei le ha denunciate. Non ha alcuna importanza il fatto che il tribunale valuti le sue denunce e prenda gli eventuali provvedimenti, lei ha deciso e tanto basta. Alla luce dell’ultimo provvedimento non riesco a immaginare le reazioni della signora. Cederà? Continuerà a opporsi? Violerà ancora le disposizioni del tribunale o capirà che deve rispettarle? La guerra all’ex sembra ormai diventata una missione, seppure scollata da qualsiasi elemento di realtà. Un ruolo nello stemperamento della conflittualità potrebbero averlo le persone che l’hanno sostenuta negli anni e la stanno sostenendo ancora oggi, parlamentari comprese.
Un incentivo alla falsa denuncia?
Anzi, parlamentari soprattutto, in quanto l’appoggio politico garantisce quella visibilità della quale la Massaro sembra nutrirsi e dalla solidarietà delle parlamentari la signora trae la convinzione di avere quella ragione che invece non riesce ad avere dal sistema giudiziario, l’unico legittimato a valutarne l’operato. Da ultimo un’osservazione sulla proposta di legge elaborata “con esperte ed esperti” e annunciata come atto dovuto al benessere di madri e figli. Solito pregiudizio sessista antimaschile, come se le categorie Madri e Padri rappresentassero il Bene e il Male del mondo. Il nodo da sciogliere è sempre lo stesso: riformare il tema dell’affido in caso di violenza domestica. Basta la denuncia, in assenza di qualsiasi valutazione giudiziaria? In sostanza, “in caso di“ vuol dire in caso di fondatezza delle accuse, o basta dirlo e il padre è cancellato? Non ha mai pensato che potrebbe trasformarsi in un incentivo alla falsa denuncia?