«Immaginiamo cosa sarebbe successo se Shakespeare avesse avuto una sorella, poniamo chiamata Judith, meravigliosamente dotata. Shakespeare studiò – poiché sua madre era ricca – alla Grammar School; gli avranno insegnato il latino – Ovidio, Virgilio e Orazio – e qualche elemento di grammatica e di logica. Intanto sua sorella, così dotata, non ebbe alcuna possibilità di imparare la grammatica e la logica, per non parlare di leggere Orazio e Virgilio. Lei era avventurosa, creativa e desiderosa di vedere il mondo tanto quanto il fratello: ma non fu mandata a scuola. A 17 anni se ne andò a Londra, attratta anche lei dal teatro come suo fratello. Invano si presentò alla porta del palco: le risero in faccia. Solo Nick Greene, l’agente teatrale, ebbe pietà di lei; si ritrovò con un bambino in grembo grazie a quel gentiluomo e così si uccise durante una notte d’inverno». Ecco uno dei più famosi brani femministi, scritto da Virginia Woolf – tratto da Una stanza tutta per sé e pubblicato per la prima volta nel 1929. Il brano viene riportato spesso nei libri femministi, studiato a scuola dagli alunni (qui testo per esteso) e adoperato dai media (ad es. qui o qui) per propagandare la discriminazione storica vissuta dalle donne, “verità” che il brano trasmette in maniera chiara ed evidente: l’ossatura dei manuali di storia, letteratura, filosofia e di qualsiasi altra disciplina di creazione artistica e del pensiero è costituita da figure maschili perché alle donne è stata impedita di sviluppare la propria vena creativa.
Si tratta di un pezzo straordinario della letteratura femminista, uno spaccato non solo del modo di pensare e di concepire la realtà di Virginia Woolf, ma di tutto il movimento che lo adopera molto spesso come stendardo della propria ideologia. La scrittrice, mentre sfoglia i libri del passato e guarda le opere di Shakespeare nello scaffale, si arrovella sul perché «non ci sia mai stata una donna a scrivere una sola parola di quella straordinaria letteratura». Dunque immagina la storia di Judith, un’ipotetica sorella di Shakespeare. La storia, molto breve, racconta diverse “verità” storiche femministe, prima ancora che Kate Millett dichiarasse ufficialmente l’esistenza del Patriarcato: 1) Il contributo delle donne alle arti e al progresso dell’umanità è stato senza dubbio esiguo principalmente per due motivi: l’opposizione all’istruzione femminile (Judith non fu mandata a scuola) e il giudizio negativo sul talento femminile (Judith veniva derisa), che portava nei casi più estremi alla censura maschile, all’appropriazione maschile delle opere creative e d’inventiva delle donne, e dunque alla loro invisibilizzazione. Evidentemente queste due contestazioni all’universo maschile sono in linea di massima in contraddizione, lungo la Storia il femminismo denuncia l’impossibilità delle donne di potersi formare e nel contempo l’enorme contributo delle donne al progresso artistico e creativo dell’umanità scaturito, per forza, dal talento, l’istruzione e la genialità femminile in ogni ambito e settore, importantissime opere e invenzioni invisibilizzate dal comportamento maschile censorio. Non è una novità che l’ideologia femminista cavalchi contraddizioni, stendiamo quindi un velo pietoso e voltiamo pagina. 2) L’ostracismo esercitato dagli uomini si riverbera in maniera molto negativa sulla qualità della vita della donna, ha delle ricadute pesantissime che imprigionano la sua anima e rendono la sua vita misera e infelice, insopportabile (tanto è vero che Judith si suicida).
Quante sorelle e quanti fratelli sconosciuti?
Le due “verità” elencate sono esplicite nel testo di Virginia Woolf e riguardano le donne, e di riflesso mettono in luce il riprovevole comportamento degli uomini colpevoli di ostracismo e derisione verso il talento femminile. Ma ci sono altre due considerazioni implicite che si possono dedurre dal testo per opposizione di contrari e riguardano gli uomini. 3) Gli uomini possono liberamente coltivare i propri talenti, non vengono ostacolati nello studio né nella loro produzione creativa, di fronte a loro si estende un’autostrada libera di pedaggi verso il successo e la gloria (il modello maschile di riferimento del brano della scrittrice è niente meno che Shakespeare!). 4) Questa assenza di costrizioni nella vita dell’uomo, libero di catene, che gli permette di creare, inventare, produrre e che arricchiscono la sua anima, si riverbera in maniera molto positiva sulla qualità della sua vita, serena e agiata (tutti sappiamo che Shakespeare non si è suicidato). In somma sintesi, dal racconto si deduce che nella Storia le donne vivevano un inferno, in quanto donne, fino al suicidio, e gli uomini invece se la passavano molto meglio, in quanto uomini, fino alla gloria e alla vecchiaia.
Prima ancora di vagliare le “verità” elencate, mi sorge spontanea una prima obiezione. Spero che il ricorso di adoperare una “sorella” nel racconto di fantasia sia stato soltanto una licenzia letteraria di Virginia Woolf per rafforzare il concetto che una donna talentosa qualsiasi, non necessariamente una sorella, non avrebbe goduto delle stesse opportunità di un uomo parimenti talentuoso qualsiasi, e non abbia invece voluto trasmettere ciò che si desume dal testo: che qualsiasi sorella di qualsiasi uomo insigne avrebbe dovuto essere anche lei insigne, in quanto sorella di suo fratello, e se non ci è riuscita è stato dovuto alla discriminazione subita in quanto donna. L’idea che fratelli e sorelle, per il fatto di essere cresciuti nella stessa famiglia e portatori degli stessi geni, debbano essere parimenti talentuosi e raggiungere in vita gli stessi risultati e successi, è un’idea cretina. Nell’antichità le famiglie numerose erano la regola: tutti gli uomini e le donne celebri hanno avuto fratelli e sorelle, che non sono stati celebri. Diego Armando Maradona era il quinto di otto figli, cinque sorelle e due fratelli. Ipotizzare che gli altri sette non siano stati famosi calciatori come il fratello per qualche misteriosa discriminante è una cretinata. La gloria raggiunta in perfetta fratellanza/sorellanza è un’eccezionale rarità storica, e anche quando così avviene rimangono esclusi da questa gloria altri fratelli o sorelle (intesi quelli sopravvissuti all’infanzia): così ad esempio i casi dei fratelli Wright (due di sette fratelli/sorelle), i fratelli Lumière (due di tre fratelli e tre sorelle), i fratelli Grimm (due di sei fratelli/sorelle), i fratelli Gracchi (Tiberio, Gaio e la sorella Sempronia), le sorelle Brontë (tre sorelle e un fratello) o le sorelle Grimké.
Le forzature di Virginia Woolf.
Parimenti assurdo se il discorso viene circoscritto unicamente alle sorelle. L’istruzione dei fratelli Carlo, Luigi, Pierfrancesco, Giacomo e la sorella Paolina fu per tutti uguale, ma soltanto uno, un ragazzo prodigio, Giacomo Leopardi, sopravanzò tutti. Ipotizzare che per qualche misteriosa ragione solo Paolina non abbia raggiunto la celebrità del fratello, escludendo dalla stessa spiegazione gli altri fratelli Carlo, Luigi e Pierfrancesco, è una cretinata raddoppiata. E come dobbiamo giudicare i casi ribaltati? Le tre sorelle Brontë sono quattro: Charlotte, Emily, Anne e Branwell, tre sorelle e un fratello, tutti quanti scrittori. Nell’immaginario popolare esistono solo le tre sorelle, il fratello, Branwell, è stato cancellato (anche letteralmente, vedasi l’immagine) e rimane un perfetto sconosciuto. E così possiamo continuare all’infinito con tutti gli uomini e le donne illustri, politici, scrittori, pittori, inventori, filosofi, e i loro fratelli e sorelle non illustri. Lo stesso Shakespeare, adoperato da Virginia Woolf come esempio, ebbe sette tra fratelli e sorelle, tutti rigorosamente sconosciuti alla posterità. Ipotizzare che le ignote sorelle furono discriminate al contrario degli ignoti fratelli non ha senso. Concediamo quindi a Virginia Woolf il beneficio del dubbio, che si tratti di una licenza letteraria, e andiamo avanti. Nei prossimi articoli sottoporrò a disamina le “verità” sopraelencate che emergono dal brano della scrittrice.