La Fionda

Beatriz Gimeno: il femminismo “queer”

Beatriz Gimeno (1962) è un’attivista del femminismo spagnolo, attivista per i diritti delle persone LGBT, direttrice generale dell’Instituto de la Mujer (Istituto della donna), ente spagnolo dipendente dal Ministero delle Pari Opportunità, sotto la direzione del ministro Irene Montero. Beatriz Gimeno si dichiara favorevole al diritto delle minori di abortire senza il consenso dei genitori e contraria alla prostituzione: «Qualsiasi critica alla prostituzione deve trascendere le motivazioni personali di queste donne per concentrarsi sull’istituzione della prostituzione, passa attraverso la storicizzazione e l’individuazione del ruolo che gioca oggi nel patriarcato e nel capitalismo contemporaneo, a cosa serve». La prostituzione è «un’istituzione che serve al mantenimento dell’ordine di genere». Inoltre è contraria alla trasmissione di film come Pretty Woman, all’acqua in bottiglia e a favore di bruciare le chiese, tradizione quest’ultima molto in voga durante la Guerra civile spagnola: «Nei paesi nei quali la Chiesa (o le chiese) sono una parte integrante dell’ambito delle libertà, nessuno sente il bisogno di bruciarle. Ma non è questo il nostro caso . La profonda repulsione che molte persone provano qui per la Chiesa cattolica se la sono ampiamente meritata».

Il femminismo queer mette in discussione la naturalità dell’identità di genere, dell’identità sessuale e degli atti sessuali di ciascun individuo, dunque anche i termini linguistici generici come “eterosessuale”, “donna” o “uomo”. Tutto quanto sarebbe interamente o in parte costruito socialmente. Come potete notare, femminismo queer e ideologia di genere si sovrappongono. Quanto enunciato precedentemente è il cuore della teoria queer, e sembra difficile capire come da un concetto così elementare si possano scrivere libri e libri su questo tema, perlopiù in un linguaggio astruso e arcano. È quello che fanno le maggiori esponenti di questa dottrina, tra le quali Judith Butler, Monique Wittig, Beatriz Preciado o Marie-Hélène Bourcier. Secondo Judith Butler, non solo il genere è qualcosa di “costruito” ma anche il sesso diviene oggetto di una costruzione di natura politica.

Beatriz Gimeno
Beatriz Gimeno

Meno male che non parla di “soluzione finale”.

Beatriz Preciado afferma che la teoria post-strutturalista è «il risultato di un intenso processo di contestazione politico-sessuale delle categorie antropologiche, psicologiche e filosofiche che dominano l’ecologia concettuale degli anni Cinquanta». Infatti, «gli organi sessuali in quanto tali non esistono. Gli organi sessuali, che riconosciamo come naturalmente sessuali, sono il prodotto di una sofisticata tecnologia che prescrive il contesto nel quale gli organi acquisiscono il loro significato (rapporti sessuali) e vengono utilizzati con proprietà, secondo la loro “natura” (relazioni eterosessuali)». Per fortuna Beatriz Preciado ha svelato la soluzione di quest’immensa problematica nel Manifesto Controsessuale: «la controsessualità mira a sostituire il contratto sociale che noi denominiamo Natura per un contratto controsessuale. All’interno di questo contratto sessuale, i corpi riconoscono se stessi non come uomini e donne ma come corpi parlanti». (Personalmente posso testimoniare di aver trovato nell’arco della mia vita innumerevoli corpi parlanti, molti di loro a sproposito).

Anche Beatriz Gimeno ha contribuito con il suo granello di sabbia alla costruzione di questo pensiero. Non solo è una donna in politica, ma anche una prolifica scrittrice. Tra le sue opere una raccolta di racconti intitolata Prime carezze. 50 donne raccontano le loro esperienze con un’altra donna, un piccolo manuale di auto-aiuto per adolescenti intitolato Sarò lesbica?, il saggio La liberazione di una generazione: storia e analisi politica del lesbismo, il romanzo Desiderio, piacere, con una trama che è strutturata intorno a un grande tabù patriarcale: l’immagine di un uomo penetrato. Insomma, monotematico. Nell’articolo Un’avvicinamento politico al lesbismo scrive: «L’eterosessualità è lo strumento principale del patriarcato, e la resistenza delle donne a questa istituzione inizia dal corpo, […] il corpo dice “No” all’oppressione»; «L’eterosessualità, il regime normativo per eccellenza, non è il modo naturale di vivere la sessualità, è piuttosto uno strumento politico e sociale con una funzione ben precisa, che le femministe hanno già denunciato tanto tempo fa: subordinare le donne agli uomini»; «Fare finta di non sapere che nella maggior parte dei periodi storici le donne, se avessero avuto la scelta, avrebbero scelto di non avere rapporti sessuali con gli uomini, di non vivere con loro, di non relazionarsi con loro, significa dimenticare volutamente qualcosa di fondamentale nella storia delle donne (e degli uomini)». Inutile accennare al fatto che nel mondo descritto da Gimeno c’erano e ci sono «una categoria di oppressori, gli uomini, e una di oppresse, le donne». In sintesi, Gimeno promuove un mondo lesbico «come soluzione» (e meno male che non parla di “soluzione finale”).

statue pene

E poi dicono che il femminismo non frutta.

Nell’articolo Sesso ed empatia: le basi etiche del fottere, Gimeno pone le domande giuste: «In che modo la costruzione sessuale maschile e patriarcale influenza la realtà, nei rapporti tra uomini e donne? Che rapporto ha questa sessualità con la costruzione della soggettività maschile? Possiamo decostruire la sessualità maschile egemonica? È necessario scopare in un modo diverso per diventare più uguali? C’è un modo giusto di scopare? Esiste un modo etico o l’etica non ha nulla a che fare con l’atto sessuale?» E fornisce la risposta in quest’altro, Per il culo, politiche anali: «Vorrei contribuire a problematizzare la seguente questione: tenuto conto del profondo simbolismo associato al potere e alla mascolinità che la penetrazione (delle donne) ha nella cultura patriarcale, cosa potrebbe cambiare, quale importanza culturale avrebbe una ridistribuzione egualitaria di tutte le pratiche, di tutti i piaceri, di tutti i ruoli sessuali, compresa la penetrazione anale dalle donne agli uomini? […] L’ano è una delle principali zone erogene per uomini e donne. Soprattutto per gli uomini. Perché possa avvenire un vero cambiamento culturale, devono cambiare anche le pratiche sessuali egemoniche ed eteronormative; senza questo cambiamento, che influisce sul simbolico e sulla costruzione delle soggettività, non potrà avvenire un vero cambiamento sociale che renda pari uomini e donne».

In breve, per conquistare la liberazione femminile secondo il suo concetto di femminismo, Gimeno invita le donne a penetrare in maniera anale gli uomini, penetrazione inversa. Tutto sommato l’ano è una zona molto erogena, «soprattutto per gli uomini». Devo umilmente riconoscere la mia ignoranza in materia, in un mondo che a quanto pare pullula di esperti. «Gli uomini non scopano più neanche bene», afferma in un’intervista su La Repubblica Letizia Battaglia, confermato da un altro “esperto” in materia, Marco Crepaldi: «Purtroppo è vero». Non saprei, io però mi occupo di femminismo, e a me incuriosisce un altro aspetto: perché l’universo maschile è per le femministe così importante, tanto da essere onnipresente nei loro pensieri, un chiodo fisso, anche nei particolari più insignificanti, siano mentali che fisici, dal modo di sedersi, atteggiarsi, guardare, pensare, astrarsi, riflettere o sentire fino al modo di scopare, al tipo di sesso da fare o al modo di orinare, in piedi, seduti o in ginocchio? Nel prossimo intervento riporterò degli esempi di testi storici femministi e approfondirò la questione. Nel frattempo, concludo come avevo iniziato, con Beatriz Gimeno. Per dire quello che dice e scrivere quello che scrive la direttrice generale dell’Instituto de la Mujer ha guadagnato nel 2020 (11 mesi in carica) 113.404 euro lordi. Non sto parlando di persone che la sparano grossa dopo una serata di bevute al bar, o di persone che vogliono acquisire notorietà con delle invettive e battute di spirito su Twitter; Beatriz Gimeno, o Irene Montero, sono persone che occupano cariche pubbliche molto rilevanti e di potere, e sono lì non per i loro meriti o esperienza, ma proprio per quello che affermano. Come rilevante è anche la loro busta paga. E poi dicono che il femminismo non frutta.



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