Lo si è detto più volte su queste pagine: sulla vicenda di Alberto Genovese c’è chi ha costruito un intero palinsesto e l’occasione di un’audience costante. Tra questi c’è Massimo Giletti con il suo programma “Non è l’arena”, che ad ogni puntata raschia il fondo pur di riuscire a parlare ancora e ancora di “Terrazza sentimento” e di tutto ciò che le ruota attorno. Il tutto seppure i confini e i caratteri della vicenda siano ormai piuttosto chiari (a proposito segnaliamo questo lungo, disvelante, e dunque brutale, articolo di Uriel Fanelli) e ogni altra riflessione non sia che una stucchevole variazione sul tema della ricchezza smodata, della sua esibizione, dei vizi che porta con sé e delle corti dei miracoli da cui viene sempre circondata. Eppure il bel Massimo insiste, e dopo essere riuscito a portare in studio alcune delle fanciulle presunte abusate, che hanno colto così l’occasione così per mettere a frutto in termini di visibilità quello che in teoria sarebbe un dramma personale ed intimo, qualche giorno fa ha chiesto l’illuminato e illuminante punto di vista di Asia Argento.
In studio l’attrice si presenta palesemente poco lucida. Fraternizza (anzi: sorellizza) con le presunte vittime di stupro di Genovese e le ringrazia per la loro testimonianza salvifica che, Asia ne è certa, convincerà sicuramente tante altre a non attaccarsi più al cavallo dei pantaloni di uomini ricchi e potenti per ottenere una manciata di coca aggratis, regali, incarichi, ruoli e denaro in cambio di un po’ di sesso secondo il gusto del satiro di turno. Nel dipanare il suo discorso sconclusionato, l’attrice mostra un’ampia competenza sui vari tipi di droghe che, secondo lei, vengono testate regolarmente da «tutte le ragazze». Se ne esce poi con una frase che, in riferimento alla nota vicenda con il ricco e potente Harvey Weinstein, forse più infelice non poteva essere: «lo stupro mi ha arricchita». È ovvio che stia cercando di riferirsi a un arricchimento interiore, a una crescita personale, ma l’ambiguità della frase è irresistibile, tanto da farla apparire quasi una battuta. In collegamento c’è Pietro Senaldi, direttore del quotidiano Libero, sicuramente non un estimatore della figlia di Dario Argento, che infatti non gliela fa passare. E lì si scatena l’inferno.
Il simbolo di una grave ipocrisia.
«Stai zitttooooo», rantola l’attrice verso il giornalista. «Devi stare zitto. Hai rotto le palle a tutte le donne», prosegue, affaticata nel parlare da un palese eccesso di botox nelle labbra. Non è chiaro come Senaldi possa aver ottenuto nella sua vita un risultato così ampio, ma è evidente che Asia ha sganciato il freno a mano. «Ma guarda che tu sei una donna violenta!», la provoca il giornalista, e Asia, palesemente sempre meno lucida, ci casca. «Sì, molto!», risponde orgogliosa, «guarda che ti meno…», minaccia, forse ignara che Senaldi è in collegamento a chilometri di distanza. Per rendere meglio l’idea Asia si sfila una scarpa, un bel tacco a spillo, e precisa: «vieni qui, ti metto il tacco in bocca, come in un film di Dario Argento». Giletti si guarda bene dal fermarla o dal censurarne il comportamento, mentre l’attrice rincara accusando Senaldi di avere un’anima sporca, di essere un misogino e tutto il solito armamentario noto. Solo a quel punto il conduttore svia introducendo un altro servizio, ma intanto la frittata è fatta: la paladina dei diritti delle donne, l’importatrice unica in Italia del #MeToo, che come tale si è fatta fotografare sorridente vicino all’allora Presidente della Camera Laura Boldrini, la combattente contro le molestie, lo stupro e la violenza sulle donne, aggredisce un uomo che la critica minacciando di piantargli un tacco a spillo in bocca, secondo un topos tipicamente femminista.
La parabola di Asia è sotto gli occhi di tutti. Attrice inizialmente di un qualche minimo successo, si è sempre caratterizzata per scelte di vita e un’immagine trasgressive e sopra le righe. Buona parte della sua visibilità è dovuta proprio al suo aspetto ribelle: i tatuaggi, il matrimonio turbolento con Morgan, le foto zoofile, ma la spinta più grande l’ha ricevuta indubbiamente da un cognome di grande peso nella cinematografia internazionale. Il rapido declino ha poi indotto Asia a un tentativo di politicizzazione, con l’adesione al femminismo e la geniale scelta di marketing di portare in Italia il #MeToo, sebbene ciò comportasse di piantare un pugnale nella schiena a Weinstein, uno dei suoi benefattori. Anche in questo caso la visibilità è durata poco, giusto il tempo che si scoprisse che pure lei aveva abusato di un aspirante attore minorenne, pagandolo poi perché si mettesse quieto e non procedesse dal lato giudiziario. Così la portabandiera di un movimento che ha segnato un’epoca e rovinato ingiustamente un numero imprecisato di uomini, cade malamente nel fango e mostra tutta la bruttura del vessillo che impugnava. Che, ora è chiaro, era il simbolo di una grave ipocrisia sublimatasi in strumento di marketing, capace di arricchire qualcuno devastando molte vite.
Un profondo sentimento di compassione.
Pur essendo un personaggio mai apprezzato da queste pagine, non ce la sentiamo di infierire ora su Asia Argento, nemmeno davanti alle ultime immagini televisive. Non serve un occhio esperto per rendersi conto che non sta per niente bene: il suo parlare impastato, il ragionare disconnesso, lo stesso aspetto del suo volto denotano la presenza in lei di demoni schiavizzanti molto crudeli, che non hanno nulla a che fare con i traumi e i turbamenti psicologici per il vissuto trascorso, ma con questioni assai più concrete. Per quanto assolutamente tossico, il movimento del #MeToo poteva essere per lei un utile strumento di recupero personale, un modo per impostare la seconda parte della sua vita secondo binari più regolari e stabili. Restando lei stessa vittima dell’intima ipocrisia di quella mostruosità, ha subito nel giro di poco tempo un logoramento feroce, di cui oggi la vorace macchina dello spettacolo televisivo si nutre senza la minima misericordia. Ci sarebbe fin troppo facile prendere Asia come esempio degli effetti nefasti che il femminismo ha sulle persone, specie sulle donne, ma non lo faremo perché non ce n’è la necessità, è fin troppo evidente a tutti. Ma soprattutto perché, riguardando le immagini di “Non è l’arena”, a prevalere non è l’impulso di approfittare di quella evidente fragilità pro domo nostra, bensì un profondo sentimento di compassione.