Non è sfuggita ai molti che seguono le tematiche tipiche di queste pagine la notizia di qualche giorno fa relativa a Federico Bianchi di Castelbianco, psicologo e imprenditore ora agli arresti a seguito di un’inchiesta per corruzione su appalti gestiti dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università. Secondo le ipotesi degli inquirenti, le tre società e la fondazione romane di cui è amministratore avrebbero ricevuto dal Ministero, tra il 2018 e il 2021, affidamenti e commesse pari a 23 milioni di euro, ottenuti grazie ad alcune attività corruttive. Ammonterebbe a 500 mila euro la mazzetta che Bianchi di Castelbianco avrebbe elargito in particolare all’ex dirigente del ministero dell’Istruzione, Giovanna Boda, sotto forma di carte di credito prepagate, bonifici, spese per noleggio di auto, pagamento dell’affitto della casa dei genitori della dirigente, spese per la domestica, trattamenti medici, lezioni di violino, acquisto di immobili e promesse di assunzioni. Oltre a Bianchi di Castelbianco sono state arrestate Valentina Franco e Fabio Condoleo, due suoi dipendenti che però collaboravano attivamente anche con la dirigente ministeriale. Secondo le ipotesi, erano proprio questi due “insider” a garantire a Bianchi di Castelbianco, tra le altre cose, il libero accesso a riunioni riservate all’interno del Ministero.
L’arresto dello psicologo-imprenditore in realtà non è una sorpresa. Era qualcosa nell’aria già dall’aprile scorso quando Giovanna Boda, a seguito di una perquisizione della Guardia di Finanza presso il Ministero, tentò di togliersi la vita lanciandosi dalla finestra della propria abitazione, come noi stessi avevamo raccontato. Un gesto estremo, probabilmente dettato dalla consapevolezza che le Fiamme Gialle avrebbero agevolmente trovato qualcosa, e dunque dalla vergogna per una carriera stroncata da quelle che sono forse le accuse più infamanti per una dirigente pubblica: corruzione e rivelazione/utilizzazione di atti d’ufficio. Giovanna Boda riportò danni importanti, venne salvata per miracolo e ora dovrà affrontare la prosecuzione del procedimento innescato dagli inquirenti romani, coordinati dal PM aggiunto Paolo Ielo. La rivelazione delle perquisizioni e ancor più il suo gesto suicidiario nell’aprile scorso suscitarono molto scalpore, specie tra i colleghi e gli estimatori della dirigente, considerata persona di specchiata onestà. Più pragmaticamente nella primavera scorsa noi osservammo come si trattasse di una dirigente pubblica dallo stipendio annuo di 142 mila euro, quindi sicuramente non bisognosa di “arrotondare”, e di una donna che si era distinta negli anni in attività dedicate alla legalità, tanto da venire insignita del “Premio Borsellino”. Una allure di tale successo professionale e di tale caratura etica da rendere sconcertante l’ipotesi di sue attività criminali legate alla corruzione. Forse proprio lo scarto tra immagine e realtà, per come era stata rivelata dalla Guardia di Finanza, aveva indotto la donna a tentare di togliersi la vita.
Ro$a No$tra partecipe delle malefatte di Bianchi di Castelbianco?
Occorre però non soffermarsi troppo sugli aspetti puramente umani della vicenda che, in attesa di una definizione nelle sedi competenti, ha altri aspetti che andrebbero sottolineati. Incidentalmente, infatti, il personaggio di snodo di tutta la vicenda, appunto lo psicologo-imprenditore Bianchi di Castelbianco, è anche editore dell’agenzia di stampa D.I.Re. Per coloro ai quali questa sigla non dicesse nulla, si tratta di quella centrale da cui si irradiano a tutti i media mainstream le notizie e le opinioni più smaccatamente femministe nel nostro paese. D.I.Re. è l’agenzia rocciosamente schierata al fianco della “mamma coraggio” Laura Massaro, ad oggi latitante dopo essersi sottratta a diverse disposizioni del tribunale che le intimavano di consegnare il figlio all’ex marito. D.I.Re. è strumento sistematico di attacco contro il concetto stesso, comunque venga declinato, di alienazione parentale, è il megafono quasi personale di alcune esponenti di spicco del femminismo politico italiano (Valeria Valente, Laura Boldrini, Valeria Fedeli, Veronica Giannone ed altre), è il fiancheggiatore di associazioni e centri antiviolenza cui fa regolarmente servizio di comunicazione pubblica o di addetto stampa. Casualmente secondo alcuni (ma non secondo noi) il suo acronimo coincide perfettamente con quello di D.I.Re. “Donne in Rete”, il coordinamento nazionale dei centri antiviolenza, nonché cinghia di trasmissione con i potentati femministi internazionali (GREVIO, EIGE, UNWomen ed altri).
Non è cosa da nulla, se associata ad altri punti oscuri. Tutti gli articoli che parlano dell’arresto di Bianchi di Castelbianco menzionano, l’abbiamo detto, tre società e una fondazione di cui sarebbe titolare. Abbiamo controllato sul database pubblico della Camera di Commercio e lo psicologo risulta titolare di due società, non tre: l’Istituto di ortofonologia Srl e l’associazione IDO – Istituto di ortofonologia. Due entità con un campo di applicazione chiaramente molto specifico che poco sembra prestarsi alle attività oggetto d’indagine della Procura di Roma. Secondo gli inquirenti, infatti, le commesse ottenute tramite corruzione avrebbero riguardato tre società e una fondazione attive nei settori “della comunicazione e della formazione”. Un profilo che poco si attaglia alle due entità che abbiamo rilevato dalle visure camerali. Dunque di che società e di quale fondazione parliamo? Nessun articolo ne fa menzione, probabilmente perché si tratta di società che Bianchi di Castelbianco gestisce il modo indiretto e i cui dati specifici sono coperti ancora da segreto istruttorio. Da parte nostra è grande la curiosità di sapere quali siano perché, è noto, fa parte della mission dell’ampia galassia dell’industria dell’antiviolenza il fare “comunicazione e formazione”. In altre parole, il nostro sospetto, che troverà conferma o smentita nel prosieguo della vicenda, è che al centro delle malefatte che i PM di Roma contestano all’imprenditore e alla dirigente del MIUR ci sia in qualche modo proprio quello che noi chiamiamo Vittimificio Srl (o Ro$a No$tra, se si preferisce).
Un nido di serpenti arrotolati su un mucchio di banconote.
Non sorprenderebbe se avessimo ragione: le scuole, destinatarie delle commesse ottenute tramite la presunta corruzione contestata dalla Procura, sono bersaglio costante proprio delle attività di “comunicazione e formazione” da parte del femminismo suprematista organizzato. Non si contano i convegni, seminari, assemblee, progetti e materiali didattici finanziati da soldi pubblici e realizzati presso le scuole da associazioni o fondazioni il cui scopo è quello di indottrinare le nuove generazioni alla colpevolizzazione dell’uomo e alla vittimizzazione della donna. E il vezzo di Bianchi di Castelbianco di fare da editore al megafono del suprematismo femminista italiano potrebbe essere un segnale chiaro del fatto che, al di sotto della sua attività puramente scientifica dedicata all’ortofonologia, avesse organizzato un reticolato di interessi strettamente legato alla falsa emergenza della violenza contro le donne, da anni ormai veicolo di un corposo giro di svariati milioni di euro messi in palio dalle amministrazioni pubbliche di ogni ordine e grado. Abbiamo avuto l’occasione di vedere i conti correnti di diversi centri antiviolenza italiani, trovandovi cifre da capogiro in entrata e in uscita, in entrambi i casi spesso con causali generiche e fumose, segnale chiaro, a nostro avviso, di una circolazione di denaro tutta da spiegare. Passaggi di soldi molto facili da attuare nel momento in cui la forma giuridica di questi soggetti è, al momento (finché non verrà completata la riforma del Terzo Settore), molto light, soggetta a quasi nessun controllo o verifica. Nessuno, per lo meno al momento, ci toglie insomma dalla testa che il mondo di Bianchi di Castelbianco fosse costituito da una scorza seria e paludata di ricerca scientifica e medica atta a mascherare un brulichio di affaretti e affarucci, passaggi distributivi e moltiplicativi di denaro veicolato liberamente nel contesto incontrollabile dell’associazionismo femminista.
È per questo che, in chiusura di articolo, ci sentiamo di dover dare un suggerimento al PM aggiunto Paolo Ielo, che coordina le attività investigative della Procura di Roma su questo caso. Caro Dr. Ielo, lei ha iniziato la sua carriera come operatore di giustizia nientemeno che all’interno del pool “Mani Pulite“. Sa bene, dunque, quanto sia indispensabile seguire la traccia del denaro qualunque siano i rivoli che prende. Ovvero anche quando il capolinea sono le tasche di chi partecipa a un sistema di potere apparentemente solido e inattaccabile. A torto o a ragione, con equilibrio o meno, a inizio anni ’90 con i suoi colleghi di Milano siete andati all’attacco di un gigante apparentemente invincibile, il sistema politico-partitico della “Prima Repubblica”, e l’avete abbattuto. Lo sapete anche voi: il problema corruzione così non è stato risolto. Si tratta di un’idra con ben più di nove teste e ben più velenosa del mostro mitologico. Ci auguriamo che lo spirito e la determinazione dell’epoca di “Tangentopoli” non l’abbia abbandonata dopo tanti anni perché, se vorrà scavare a fondo, avrà l’occasione di stanare lo stesso fenomeno, oggi trasformatosi e coloratosi di rosa. È quella che noi chiamiamo da tempo “femministopoli”, ed è costituita da una grande retorica atta a tener lontani i curiosi (specie i PM e la Guardia di Finanza) da un giro d’affari di milioni di soldi pubblici. Ed è fatta, a nostro modesto parere, anche di voti di scambio, firme per candidature raccolte con frode, soldi trovati nelle cucce dei cani, trasferimenti di denaro disinvolti e inspiegabili (sia internamente al Paese che da e verso l’estero), associazioni dove le “volontarie” vengono pagate come dipendenti e tanti altri aspetti che, se con i suoi colleghi romani avrà l’intelligenza e il coraggio di andare a scavare il lato “D.I.Re.” delle attività di Bianchi di Castelbianco, con buona probabilità, avrà modo di svelare, chiamando chi di dovere alle proprie responsabilità. Noi non siamo certi al cento per cento che sia così come pensiamo. Abbiamo qualche prova e molti indizi che sia così e ed è tutto a sua disposizione, se vorrà indagare in quella direzione. Dal nostro lato, il dovere è quello di porre domande e avanzare dubbi, dal suo è quello di accertare se si tratta di dubbi fondati. La invitiamo fortemente a farlo (se non lo sta già facendo) e a sollevare, con lo stesso coraggio dei tempi di Tangentopoli, il macigno degli interessi “in rosa” suggeriti dalle indagini sul Dr. Bianchi di Castelbianco. Non ci stupirebbe se sotto trovasse un brulicare di formichine o, più probabilmente, un nido di serpenti arrotolati su una significativa montagna di banconote sottratte al bene pubblico.