Lungo la Storia dell’umanità ci sono stati illustri pensatori che hanno scritto meraviglie sull’uomo, altri l’hanno demonizzato. Ciò non rende l’uomo per forza santo, sulla sola base dei primi scritti, né demone, sulla sola base dei secondi. Gli scritti storici devono sempre essere contestualizzati ed è scorretto servirsi di loro in maniera selettiva e parziale a conferma dei nostri pregiudizi. Una visione parziale è sempre una grande bugia. Parimenti le donne sono state a volte magnificate a volte disprezzate. Nell’intervento della settimana scorsa sulla letteratura italiana, sono stati riportati alcune esempi di come le donne erano magnificate. Ciò non significa che le donne siano sempre state divinizzate o trattate bene, ma quei pochi esempi provano però che le donne non sono sempre state esecrate, tenute in scarsa considerazione e trattate sempre male, come sostiene la narrazione storica femminista. Infatti, la storiografia femminista, in maniera selettiva, si serve di scritti misogini o molto critici nei confronti delle donne – che esistono e sono esistiti – per presentarli come l’unico pensiero maschile esistente, un pensiero patriarcale, universale e atemporale. E se questi scritti non bastano o soddisfanno le loro richieste, le femministe li creano a misura, come confezionano le statistiche (sulla violenza) o altri miti, leggende metropolitane mai esistite (la violenza maschile come la prima causa di morte delle donne, la festa delle donne come conseguenza di un incendio doloso appiccato a danno di operaie in sciopero, la discussione sull’esistenza dell’anima femminile nel Concilio di Mâcon, l’esistenza storica di un Matriarcato originario, ecc.). Molti sono gli illustri pensatori dell’antichità additati. Tra i più noti, e sempre in prima fila, Aristotele.
Scrive Simone de Beauvoir – e come lei tutte le storiche femministe – ne Il secondo sesso: «“La femmina è femmina in virtù di una certa assenza di qualità”, diceva Aristotele. “Dobbiamo considerare il carattere delle donne come naturalmente difettoso e manchevole”. La citazione è riportata nel libro scolastico di scuola superiore Lezioni di storia della filosofia, Zanichelli, 2010, senza alcun commento degli autori del testo scolastico né smentita di quanto affermato. Evidentemente Simone de Beauvoir, nel testo originale, non menziona nessuna citazione di altri pensatori o scrittori che magnifichino le donne e possano controbilanciare questo pensiero. Narrazione parziale. Ma il punto che vorrei evidenziare è un altro: il messaggio che si desume da queste parole decontestualizzate e inesatte di Aristotele è scorretto, esiste una deliberata volontà di manipolare le vere parole e le intenzioni dell’autore. Le parole originali di Aristotele «thelu hosper arren esti peperomenon» sono spesso tradotte come “la donna è come se fosse un uomo difettoso (o mancato)”. Innanzitutto è da notare che questa frase è un’espressione tecnica usata da Aristotele solo in un contesto tecnico, negli scritti di biologia. Infatti non l’adopera nella sua Metafisica, l’opera in cui discute questioni filosofiche generali, né nella sua Etica, in cui discute i rapporti tra gli esseri umani, compresi i rapporti tra marito e moglie. Sarebbe come decontestualizzare l’espressione tecnica “dominanza e recessività”, usata continuamente nella genetica moderna, e darle un contenuto psicologico o politico, come fa il femminismo, per scopi diversi di quelli dell’indagine genetica.
In Aristotele, prima la donna poi l’uomo.
La parola chiave è «peperomenon», che Aristotele adopera per creature perfettamente formate, come la foca o il coccodrillo, per indicare che “si allontana dal tipo ”. Aristotele sostiene che la foca sia «peperomenon» perché altri quadrupedi hanno orecchie esterne mentre la foca non le ha. Allo stesso modo, Aristotele pensa che le mascelle del coccodrillo siano «peperomenon» perché sono disposte in un modo che non si trova in animali simili. Aristotele sostiene che queste “deviazioni dal tipo” sono volute dalla natura e sono davvero vantaggiose. Aristotele rivela quanto la Natura sia intelligente nel produrre nelle foche questa “deformità”, poiché grazie alla mancanza di orecchie, secondo lui, l’udito subacqueo della foca è tanto più acuto. (Historia Animalium 1,1,487b24; De Generatione Animalium, 5,2,781b23). Ovviamente non sono deformità o difetti nel senso italiano del termine, come noi non attribuiamo la stessa connotazione alla parola “perdere” quando diciamo che qualcuno ha “perso” una gamba in un incidente (perdere = mutilazione, connotazione negativa) o qualche pesce ha “perso” il colore originale per potersi mimetizzare meglio o le orecchie esterne per adattarsi meglio all’ambiente marino (perdere = adattamento, connotazione positiva). Dicendo che la femmina è «peperomenon», sta semplicemente dicendo che si discosta dal tipo maschile in un modo voluto dalla natura, un modo che le consente di generare figli “in se stessa” mentre il maschio li genera “in un altro”.
Dunque Aristotele adopera la stessa identica parola «peperomenon» per creature come la foca, che lui ritiene una creatura elegante e bella. «Un animale viviparo, la foca, non ha orecchie ma solo passaggi uditivi; ma questo perché, sebbene quadrupede, è peperomenon» (De Partibus Animalium 2,12,657a24). Il punto è che «i quadrupedi hanno generalmente orecchie che sporgono libere dalla testa» (De Partibus Animalium 2,12,657a15), ma la foca no. Quindi, essendo un «peperomenon» quadrupede, la foca non è difettosa o deformata in alcun senso normale del termine. “Si discosta dal tipo”, ma è ciò che la natura vuole che sia. La femmina è «peperomenon» esattamente nello stesso senso: «si discosta dal tipo maschile», ma non è difettosa. Lei è ciò che la Natura vuole che sia. Per Aristotele «peperomenon» è tanto naturale quanto vantaggioso. Il filosofo ama la Natura, la sua massima è che la Natura agisca per il meglio. Secondo lui, nelle opere della Natura predomina lo scopo e non il caso. La natura non fa nulla di superfluo o difettoso. «Le ipotesi che facciamo – ed è un’ipotesi fondata sull’osservazione – è che la Natura non commette errori e non fa nulla di ozioso» (De Generatione Animalium, 5,8,788b20). “Metafisicamente” parlando, la Natura produce parimenti uomini e donne e sono parimenti necessari. Ciò non vuol dire che Aristotele non pretendesse di essere realista, come osservatore della Natura, persino da un punto di vista scientifico. Aveva osservato, da buon naturalista, che nel regno animale i maschi sono più grandi, più forti e agili e nutriva forti sospetti che la donna potesse giungere alla stessa emancipazione dell’uomo in un mondo pericoloso. Infine, per quanto possa essere rilevante, Aristotele – che era un uomo sposato, sembra felicemente, al contrario di Socrate –, nei suoi scritti mette sempre per primo la donna, scrive “femmina e maschio” piuttosto che “maschio e femmina”. Forse “amava” le donne più di quanto presumibilmente le “odiasse”.