La Fionda

Arcilesbicliché

Ogniqualvolta si parla di un’immaginaria militante di Arcilesbica la si immagina, fisicamente, sempre secondo lo stesso deplorevole cliché. Ovvero, centoventi chili; sudata e in canottiera anche d’inverno; sguardo che un occhio di vetro avrebbe un’espressione più umana; denti in technicolor; anello al naso; abbigliamento sciatto da squatter; cane al seguito rabbioso e puzzolente quasi quanto lei; capelli rapati a zero tipo manicomiata/carcerata che tuttavia non nascondono l’incipiente grigio della capigliatura dovuto al dispiacere del colossale fallimento dei propri rapporti sociali e alle tinte da quattro soldi. Praticamente l’unica cosa che la differenzia (ma non sempre) dal tipico razzista dei film di John Houston è che quello ha anche la barba di due giorni. È un cliché assolutamente orribile: è, altresì, assolutamente vero. Chissà come mai queste non mi interessa frequentarle. Dice “stai facendo body shaming, orrore!”, il che oggi è quasi peggio che mangiare i bambini o essere “leghista”, ma comunque ovvio che sì, non dovrei? Chi è costretto suo malgrado a vedere la tua faccia, magari per otto ore al giorno, ha molto più diritto ad esprimersi sul tuo aspetto fisico di quanto non ne abbia tu. Comunque, siccome la bellezza è superficiale ma la bruttezza arriva fino all’osso, i comunicati di Arcilesbica si contendono il primato del livore con quelli di “Non una di meno”, e tra le due sette, malgrado la contrapposizione di facciata, c’è giusto una differenza puramente stilistica: la stessa che passa tra un comunicato di Al Qaeda e una fatwa provenienza imam.

Quella che mi è capitata tra le dita stavolta è l’ultima enciclica di Arcilesbica, una “lettera aperta a chi manifesterà l’8 marzo 2025”. Ah, sì, se non lo sapevate, da qualche anno la giornata dello spogliarello maschile travestita da giornata dell’uguaglianza ha fatto un salto di qualità – verso il basso, sembrava impossibile eppure questo maledetto fondo non arriva proprio mai – ed è diventata giornata di “sciopero”, con l’originalissimo calembour “Lotto marzo”. Già da qui si vede il limite del progresso culturale di quelle la cui evoluzione letteraria ha trovato il suo picco in Michela Murgia e s’è fermata lì invece di proseguire fino a Joyce o Foster Wallace, soddisfatta del non plus ultra della comicità che per lei sono Teresa Mannino, Serena Dandini e Geppi Cucciari. Comunque. Vi basti sapere che da qualche anno “lotto marzo” ci sono delle cosplayer debosciate col cervello a forma di femminista che se ne vanno in giro a cazzeggiare travestite da scioperanti perché tanto, come sempre, la carretta la manda avanti qualcun altro. Per cosa scioperino non si sa bene, mi è sembrato di captare che siano contro una qualche oppressione di qualcosa o qualcuno che sicuramente sono convintissime che riguardi loro, ma per me potrebbero pure dire “scioperiamo perché sì” e la loro credibilità non ne risentirebbe più di quanto già non faccia. La domanda è: di questo sciopero del “lotto marzo” ve ne eravate mai accorti? No, lo sapevo. Chissà come mai. Si direbbe che un manipolo di fancazziste che non hanno mai contribuito al PIL di nessuno stato (insegnanti, psicologhe, assistenti sociali, animatrici “culturali”, guide turistiche/museali, blogger, copywriter, scaldasedie comunali/ministeriali), ma ciononostante convintissime che se si astengono loro dal “lavoro” si ferma tutto, dovrebbe mettere in ginocchio l’economia: stranamente, invece, queste mitomani non hanno mai causato alcun disagio avvertibile da nessuno. Le uniche che non scioperano mai sono le femministe di professione, e invece farebbero molto bene a farlo, anziché rompere i coglioni 7/24, lì sicuramente ci sarebbe un beneficio immediatamente riscontrabile, ma purtroppo il benessere della collettività come sappiamo non è tra i loro obiettivi primari.

arcilesbica

No agli uomini!

Ma torniamo al comunicato di Arcilesbica, altrimenti ci perdiamo il divertimento. L’ho letto come si legge uno di quei post deliranti della Cusmai (se vedete levitare i mobili di casa e sentite un cavallo che nitrisce imbizzarrito in lontananza sappiate che è perché avete pronunciato il suo nome ad alta voce: evitate), che dopo due righe ho la sensazione che stia dando dell’assassino narcisista e strappafigli a me personalmente, e dopo cinque righe quella sensazione è una certezza. Accanto ad affermazioni sfacciate quanto esilaranti (“il femminismo è conflittuale ma non violento”, sì, certo, certo, e i pitbull sono dolcissimi e la gente non capisce un cazzo) c’è, va detto, anche qualche concetto condivisibile contro genderscemenze, asterischi, schwa e così via e contro la censura del dissenso sul tema “omofobia”, per quanto poi ovviamente tutto si inabissi nel solito lago di autocommiserazione femminista sulla storica oppressione della donna e bla bla bla. Certo, certo, è colpa del patriarcato se non vinci mai a rubamazzetto e non digerisci la parmigiana, ma vaffanculo. Puttanate che non voglio nemmeno perdere tempo a confutare per l’ennesima volta, del resto anche la messa è sempre quella e la gente ci va da duemila anni. Meglio ribadirlo, non si sa mai, questo non le rende assolutamente mie alleate in nulla: sì, sì, tutto bellissimo, sì, certo, viva l’Italia, ma a me non mi freghi; il nemico del mio nemico non è necessariamente mio amico. Cortesemente, a un palmo di distanza dal culo mio, grazie. E infatti arriva subito la parte che ti svolta la giornata. No, vabbè, “la giornata” è troppo, il quarto d’ora sì però: è una fantastica giaculatoria sulla condanna alla “inclusione”. Viene prima del solito sbrodolone sul “patriarcato” (e altre creature leggendarie) e l’immancabile crociata da beghine contro pornografia, prostituzione e utero in affitto che vi lascio immaginare, di quelle che piacciono tanto al parroco. Tutta invidia perché per ovvi motivi sono mestieri a loro preclusi? Che malignità, vergognatevi.

Sentite questa adesso. La cito testualmente perché è un capolavoro di facciacomeilculo (per immedesimarvi, mi raccomando, leggetela con la voce rotta dai singhiozzi): «Nel 2023, in nome dell’inclusione, associazioni femminili come UDI e ArciLesbica sono state messe di fronte a una scelta obbligata: o permettere l’iscrizione anche agli uomini, o non essere iscritte come associazioni di promozione sociale del RUNTS (registro unico nazionale del terzo settore) e declassate in una sezione diversa. Ecco cosa fa l’inclusione: per difendere il diritto di “tutti” (leggi: degli uomini) a partecipare a tutto, si discriminano le donne, il nostro diritto di associazione, di riunione, di espressione». Chiunque sia stata la teppista che ha scritto questa roba, mi ha fatto sputare un polmone dal ridere. In pratica la lotta di queste alienate contro gli “stereotipi sessisti” è talmente estrema che ha sconfinato largamente nell’eccesso dello stereotipo sessista: ma-chi-l’avrebbe-mai-detto. Pena la perdita dell’accesso alle mangiatoie statali, le povere vittime lamentano la violenza di essere state costrette ad ammettere gli uomini, così come qualsiasi altra associazione con la stessa finalità è stata costretta ad ammettere le donne. Ammettere “tutti”, quindi addirittura gli uomini, che come tutti sappiamo sono i principali destinatari di tutta questa pandemia di inclusività, che non vedono l’ora di praticare un entrismo di massa per discriminare il loro diritto di espressione. “Anche” gli uomini: che schifo, vèh? Io sono sicurissimo che è andata così: loro volevano mantenere la propria orgogliosa identità, la propria diversità rivoluzionaria, e rinunciare alle prebende statali provenienti dalle tasse pagate dagli uomini; chissà come mai non ci hanno pensato, ma no, che vado a pensare, sicuramente volevano farlo poi è arrivato un cattivone (un uomo ovviamente) che ha puntato loro la pistola alla tempia perché era disposto a tutto pur di iscriversi ad ArciLesbica.

arcilesbica

Se la vedano al loro interno.

Insomma, queste gli uomini proprio non li vogliono: chissà come mai persino l’Arcigay le schifa. Da notare che queste separatiste sono le stesse che si lamentano dei “manel”, ovvero dei consessi o convegni o vattelapesca in cui sono presenti solo relatori uomini. E che scandalo che piazzano ogni volta che non si riesce a trovare la quota rosa laureanda che faccia presenza al congresso di bioetica, rompono continuamente i coglioni con il cancelletto #tuttimaschi, come se il problema fosse dei “maschi” e non loro. Pensa un po’ come cambia la tua prospettiva quando, invece di godere di corsie preferenziali ed essere imposta a forza solo in virtù dei tuoi genitali, diventi tu quella che invece si vede imporre la gente a forza per lo stesso motivo. Come si permettono questi maschi di approfittare della parità, mica era stata pensata per loro. Che poi: ma chi cazzo è che si iscrive ad Arcilesbica? Michele Serra per solidarietà? E per quale assurdo motivo, un “gesto simbolico di solidarietà”? Sarebbe come se un protestante volesse entrare in una chiesa cattolica a Belfast. Della cosiddetta “transfobia” delle cosiddette “terf” di Arcilesbica me ne sbatto altamente, sono cazzi tra loro e le deficienti intersezionaliste: se la vedano tra di loro, di certo non andrò in soccorso di una o dell’altra fazione di invasate. Quello che è palese e nemmeno rinnegato è che queste disadattate odiano gli uomini, di qualunque orientamento sessuale, non li considerano loro pari, non li considerano probabilmente nemmeno esseri umani, e ne desiderano solo la sparizione. Un po’ la stessa forma mentis del morto di figa quando va in discoteca e non vuole concorrenza. Certo, se si esaudisse il loro pio desiderio, sarebbe divertente vedere cosa succederebbe quando ci fosse da aprire un barattolo, ma a parte questo il motivo è facilmente individuabile: la concorrenza di cui sopra è troppo forte. E io ne so qualcosa.



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