L’abbiamo scritto già diverse volte, ma siamo costretti a ripeterci: certa gente racconta che la violenza è sempre in aumento, a prescindere dai dati. Promesso: smetteremo di scrivere che spargono ideologia tossica… appena loro la finiranno di spargere ideologia tossica. La violenza non è diminuita, miliardi di donne vorrebbero chiedere aiuto ogni giorno ma non possono, proprio non possono perché è diventato difficile anche fare una telefonata al 1533, tutta colpa della pandemia. L’ultima voce che si aggiunge al coro allarmistico è quella di ARCI ADUA Rho, che pubblica dati forniti dal centro antiviolenza Hara di Fondazione Somaschi. Il periodo di rilevazione è l’intero anno 2020, che quindi comprende sia il lockdown “duro” (marzo, aprile, maggio), quello in cui “le donne erano confinate in casa con i propri aguzzini”, sia i mesi successivi fino alla novità delle regioni colorate (comunque limitazioni molto più blande rispetto all’inizio pandemia) ed infine le chiusure a singhiozzo per alcuni giorni durante le festività natalizie.
Alcune fonti hanno messo in mostra un dietrofront clamoroso, richieste d’aiuto in calo a marzo, poi vertiginoso aumento ad aprile. La narrazione tragicomica sosteneva che le donne italiane fossero recluse in casa con gli orchi che le sorvegliavano impedendo di fatto non solo di uscire per chiedere aiuto, ma anche di fare una telefonata. Gli uomini violenti non hanno dormito neanche mezz’ora per mesi, non hanno mai fatto una doccia, non sono mai andati al supermercato né lo hanno permesso alle donne schiavizzate, non sono mai scesi col cane, non sono mai andati in farmacia, alla posta, in banca o in tabaccheria né lo hanno permesso alle donne schiavizzate. Ovviamente si tratta di una narrazione ridicolmente falsificata, nemmeno la Polizia Penitenziaria nelle carceri di massima sicurezza può adottare una sorveglianza tanto asfissiante. Vediamo invece qual è stata l’attività che il centro antiviolenza Hara, con le due sedi di Rho e Bollate, ha comunicato all’ARCI. Richieste d’aiuto in calo, da 187 a 127. Ma come, le urgentissime telefonate salvifiche – impossibili da fare a marzo/aprile – non sono arrivate nemmeno a giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre?
Smetteremo di scriverlo appena loro smetteranno di farlo.
In tutto l’anno 127 richieste d’aiuto divise fra due sedi, in pratica 5 contatti al mese. Chiediamo al centro antiviolenza e all’ARCI coinvolto: dov’è lo tsunami di violenza? La motivazione è quella d’ordinanza: difficile andare nei centri antiviolenza e persino contattarli telefonicamente, le donne erano sorvegliate speciali. Quindi i contatti sono calati del 30% circa, 60 in meno nell’anno del lockdown rispetto all’anno precedente senza alcuna emergenza sanitaria e quindi senza lockdown. A riprova dell’enorme bisogno di protezione generato dalla pandemia, si cita una ulteriore diminuzione dei dati 2020 rispetto al 2019 quando la pandemia non c’era (non ridete, l’hanno fatto davvero). Attenzione: nell’anno senza pandemia (2019) vengono accolte nelle case protette 20 persone, 8 madri e 12 figli. Poi nel 2020 arriva il lockdown a scatenare picchi inauditi di violenza domestica, e l’aumento sarebbe dimostrato dal calo delle persone accolte, 6 madri con 10 figli. Mi capita sotto gli occhi una prima pagina di Cuore, inserto satirico dell’Unità nel secolo scorso.
È un calo significativo: nel 2020 con la pandemia che avrebbe scatenato una irrefrenabile violenza, hanno chiesto accoglienza nelle case protette il 20% di donne in meno rispetto al 2019 covid-free, 30% in meno di contatti, 20% in meno di protezioni attivate: da qualunque lato lo si guardi il fenomeno è diminuito, e non dello zerovirgola. Però chi gestisce i centri antiviolenza ama autodefinirsi assolutamente indispensabile alla salvezza dell’intero genere femminile cronicamente oppresso, non accetta di riconoscere il calo della violenza domestica che emerge dai loro stessi dati quindi si lancia – strategia ampiamente condivisa – nell’interpretazione soggettiva di sapore squisitamente vaticinante: esprimono la granitica certezza che un milione di miliardi di donne avrebbe bisogno del loro aiuto. I dati dicono che le richieste d’aiuto sono in calo ma i centri antiviolenza “sanno” che dovrebbero essere di più, e a questa finzione ora, oltre agli immancabili centri antiviolenza, si associa anche una sede ARCI. Ergo, c’è urgente bisogno di più fondi per aprire altri centri in tutta Italia. È una continua, dilagante, martellante campagna di lamentele, un incessante allarme per la violenza sempre in aumento, quadro catastrofico smentito dagli stessi dati resi noti proprio da chi continua a parlare di quadro catastrofico. Le lamentele tendono sempre a far credere che servano più centri, più operatrici, più finanziamenti. Smetteremo di scriverlo appena loro smetteranno di farlo.