L’artista cilena Javiera Mena ha affermato che “le lesbiche hanno meno potere dei gay, e anche questo è maschilismo”. Intersezionalità allo stato puro. “I maschi sono più importanti delle femmine, le persone bianche più delle persone nere, le persone cis-gender più di quelle trans-gender, chi ha un corpo abile più di chi possiede delle disabilità… e così via”. A proposito di femminismo intersezionale, abbiamo visto nel primo intervento come l’opera di Angela Davis, Donne, razza e classe (Women, Race & Class, 1981, Edizioni Alegre, Roma, 2018), sia già dal titolo una dichiarazione di intenti. Abbiamo anche visto come l’espressione femminismo intersezionale sia un ossimoro, i due termini sono incompatibili. Osservate bene il titolo: perché l’ha intitolato DONNE, razza e classe? Perché non è stato denominato, come vorrebbe la teoria intersezionale, Sesso, razza o classe? Oppure perché non l’ha intitolato Donne, neri e poveri? La teoria femminista esige la statuizione aprioristica delle donne come vittime, dunque necessariamente degli uomini come colpevoli. Dove l’intersezionalità stabilisce la categoria sesso, il femminismo sancisce donne, teorie incompatibili. Per poter assegnare a priori alle donne il ruolo di vittime, Angela Davis – e tutto il movimento femminista – mette in atto un costante giudizio parziale, talvolta scandaloso, che si trasforma per forza in un’immorale mancanza di empatia per le sofferenze e i bisogni maschili. Questa non è solo una caratteristica malata del femminismo intersezionale, ma di qualsiasi femminismo vi venga in mente, femminismo della differenza, femminismo anarchico, femminismo di genere, femminismo marxista, femminismo cristiano… Questa è la caratteristica precipua del femminismo, agire diversamente significherebbe sbugiardare la propria fede: donna vittima / uomo carnefice. Questa parzialità è facilmente riscontrabile in Donne, razza e classe, ci sono tracce ovunque. In seguito qualche esempio.
VIOLENZA. Angela Davis riporta: “dal 1890, ovvero da quando esistono dei dati sul fenomeno , fino a oggi, negli Stati Uniti sono avvenuti 3.228 linciaggi, di cui 2.500 nei confronti di uomini di colore e 50 nei confronti di donne di colore”. Il libro di Davis è una continua denuncia dell’asimmetria della violenza a danno delle persone di colore. Prima della guerra di secessione americana, le vittime principali dei linciaggi erano i bianchi. Si linciavano i bianchi abolizionisti, i neri invece erano un bene, una proprietà. Linciare i neri voleva dire distruggere il proprio patrimonio. Solo dal 1865, dopo la guerra persa, si moltiplicarono i linciaggi dei neri. Angela Davis denuncia l’asimmetria della razza e ignora quella del sesso, che è molto più rimarchevole, anche dopo il 1890 quando l’asimmetria della razza si era accentuata, dai dati da lei forniti (razza: 79% neri, 21% bianchi; sesso: 98% uomini neri, 2% donne nere). Il fatto che il 98% delle vittime di linciaggio fossero uomini non merita per lei alcuna riflessione, nemmeno un rigo. Detto in maniera tecnica: non gliene frega un tubo. La Davis racconta: “Una teppaglia schiavista fece irruzione in un meeting diretto da Maria Chapman Weston e trascinò per le strade di Boston l’oratore, William Lloyd Garrison. Da leader della Boston Female Anti-Slavery Society, Weston si rese conto che la teppa bianca cercava di isolare e forse di attaccare con violenza le donne nere che partecipavano a quell’incontro, pertanto esigette che ogni bianca lasciasse l’edificio con una nera al suo fianco”.
Gli uomini devono combattere.
Le donne bianche dunque hanno un lasciapassare, una specie di miracoloso scudo protettivo che aiuta loro a difendere anche le donne nere, come mai? Davis non si chiede perché. È scontato per lei, come lo era per Maria Chapman Weston, che le donne bianche non vengono né trascinate né picchiate. Come è scontato per lei che l’uomo, William Lloyd Garrison, che era bianco – e del quale non sappiamo più nulla della sua disavventura, alla Davis non le interessa –, possa essere trascinato e picchiato. Nessuna riflessione su quel miracoloso scudo protettivo in possesso alle donne bianche, che gli uomini bianchi non avevano. Racconta ancora: “…testimonianza da una nera appena liberata che era stata vittima della violenza di Memphis: ʻLi ho visti uccidere mio marito. […] gli hanno sparato alla testa mentre stava a letto, malato […]. Sono venuti a casa, erano da venti a trenta uomini. […] lo hanno fatto alzare e uscire. […] gli hanno chiesto se fosse stato un soldato […]. Poi uno ha fatto un passo indietro, gli ha puntato la pistola alla testa e ha sparato contro di lui tre volte. È caduto a terra e ha provato un po’ a strisciare, sembrava che cercasse di rientrare in casa. Allora gli hanno detto che se non si sbrigava a morire gli avrebbero sparato ancoraʼ”. Testimonia la vittima della violenza, violenza agita su di lei o sul marito? Nessuna riflessione sul perché lei è viva e lui è morto. DONNE, razza e classe.
GUERRA. Alla Conferenza Internazionale delle Donne a Parigi del 1934 Lulia Jackson, la rappresentante nera dei minatori della Pennsylvania, sostenne che la guerra contro il fascismo era il solo mezzo per garantire la pace effettiva. “Dobbiamo combatterli”, furono le sue parole. Racconta la Davis: “tutte si misero a ridere e ad applaudire” e il manifesto fu così approvato per intero da queste donne. Quante di queste donne si arruolarono per combattere in prima fila il fascismo? “Dobbiamo combatterli” stava nel loro immaginario per ʻgli uomini lo devono combattereʼ. Racconta la Davis: “Allo scoppio della Guerra civile le leader del movimento delle donne decisero di rivolgere le proprie energie a sostegno della causa unionista. […] Elizabeth Cady Stanton, Lucrezia Mott e Susan B. Anthony attraversarono lo stato di New York tenendo conferenze a favore dell’Unione e chiedendo ʻl’emancipazione immediata e senza condizioniʼ. […] Quando fu istituita la leva militare al nord le forze favorevoli allo schiavismo organizzarono rivolte nei maggiori centri urbani. […] A New York nel luglio 1863 alcuni teppisti distrussero la stazione di reclutamento, attaccarono il Tribune e alcuni repubblicani di spicco, bruciarono un asilo per orfani negri e crearono caos in città. […] La violenta rivolta del 1863 dimostrava che i sentimenti contro le persone nere erano profondi […].
Un modo peculiare di concepire la “parità”.
Elisabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony concordavano con i radicali abolizionisti che la guerra civile sarebbe potuta rapidamente terminare emancipando gli schiavi e reclutandoli nell’esercito unionista. Cercarono di chiamare a raccolta sulle proprie posizioni le masse femminili lanciando un appello per organizzare una Woman Loyal League. Al meeting di fondazione della lega centinaia di donne si dichiararono concordi nel sostegno all’impegno bellico diffondendo petizioni per l’emancipazione degli schiavi”. Insomma, il movimento delle donne d’allora, le progenitrici femministe, fanno proclami, promuovono e sostengono la lotta, suggeriscono di arruolare obbligatoriamente gli uomini per finire prima una guerra che loro non combattono di persona. Quante di quelle donne s’arruolarono per combattere? La rivolta contro la leva militare maschile obbligatoria diventa per Angela Davis la dimostrazione dell’odio dell’uomo bianco verso l’uomo di colore, la distruzione della stazione di reclutamento a New York diventa la prova del loro razzismo (!?). Angela Davis, femminista intersezionale, così sensibile alle discriminazioni di ogni sorta, non intravede alcuna discriminazione nell’arruolamento obbligatorio maschile, nessuna critica, nessuna ingiustizia, anzi ne condivide lo spirito.
Questo peculiare modo femminile di concepire la parità quando si rischia la vita esiste fin dall’inizio dei tempi, e non è cambiato malgrado il martellante indottrinamento femminista. Nel 2002 la laburista Marit Nybakk, che presiedeva il Comitato di Difesa Norvegese, dichiarò al giornale nazionale Dagbladet: “Questa è una guerra di liberazione e anche una guerra per liberare le donne di Afghanistan. L’aspetto dei diritti delle donne è basilare per me. Per anni sono stata seriamente preoccupata per la grave oppressione delle donne sotto il governo dei talebani. Per molti anni qui in Occidente abbiamo chiuso gli occhi di fronte al grottesco trattamento al quale venivano sottoposte le donne. […] È una guerra assolutamente necessaria. Al-Qaeda è una delle più gravi minacce contro i diritti delle donne nel nostro tempo.” Nessuna menzione sul sangue maschile che sarebbe stato versato in un paese, la Norvegia, che all’epoca aveva la coscrizione maschile obbligatoria. Marit Nybakk non fu l’unica. In USA l’organizzazione Feminist Majority Foundation sostenne la guerra di ʻliberazioneʼ in Afghanistan. Perché per ʻliberare le donneʼ si dovettero sacrificare gli uomini? Perché non si arruolarono obbligatoriamente le donne per liberare le donne? Esempi simili abbondano: nel 1995 in Spagna le femministe socialiste – la più nota tra di loro, la vicepresidente De la Vega durante l’esecutivo del presidente femminista Zapatero nel 2004 – votarono in Parlamento a favore della detenzione per i renitenti alla leva nel nuovo codice penale spagnolo.
I valori si difendono nell’avversità.
In Lituania l’obbligo maschile è stato ripristinato da una donna, la presidente Dalia Grybauskaitė. In Austria il mantenimento dell’obbligo maschile di leva è stato votato favorevolmente in un referendum anche dalle donne. E come dimenticare le Femen, le paladine ucraine che protestano a seno nudo contro ogni ingiustizia e discriminazione. Quando in Ucraina l’arruolamento è divenuto obbligatorio per i loro connazionali maschi a causa della guerra contro la Russia, qualcuno si ricorda qualche protesta a seno nudo di queste amazzoni che denunciavano questa flagrante discriminazione? Bisogna salvare gli schiavi neri, a morire vadano gli uomini! Bisogna salvare Europa dai nazisti, a morire vadano gli uomini! Bisogna salvare le donne in Afghanistan, a morire vadano gli uomini! Tutte le donne sono femministe su una crociera. Nessuna donna è femminista quando la nave da crociera sta affondando. Angela Davis, come tutti le femministe, vivono su una nave da crociera: “armiamoci e partite!”. I valori si difendono nell’avversità, tutti siamo bravi a proclamarli ai quattro venti in epoca di prosperità. Le femministe in questo sono insuperabili.