Esistono al mondo delle categorie di esseri umani che sono intrinsecamente tamarre. Personaggi con cui l’esperienza e il buon senso ti insegnano che è inutile e dannoso perdere tempo o dialogare. Senza stare tanto a scorrere la fila, il posto in cima alla lista è ovviamente saldamente occupato dalle femministe e dai loro maschi cicisbei, che sono un caso limite a parte. Da una parte le radicali, delle quali già credo di aver dato una descrizione morfologica di media, che sono le più tamarre anche estrinsecamente, ma almeno non fingono di avere chissà quale obiettivo comune con me; dall’altra le intersezionaliste, meno tamarre a vedersi ma più viscide, in quanto pretendono invece che io sia un alleato della “loro” causa. Dico la “loro” causa e non la “nostra” causa comune perché alla fine è quella che prevale su tutte: tutte le altre (GLBT, ecologismo, antispecismo, antirazzismo, genderismo eccetera) sono solo un supporto numerico alla loro chiamata alle armi. Praticamente queste, oltre alle inezie per cui schiamazzano continuamente tutte le femministe chiamandole “discriminazioni” o “vittimizzazioni secondarie” (qui c’era una bestemmia ma è stata censurata), schiamazzano pure se guidi un SUV, se ti tingi la faccia di nero, se mangi una bistecca, se non usi i pronomi “corretti”, se ascolti De André anziché Francamente, eccetera.
Pensa che vita intersezionalmente di merda fa questa gente. Esseri umani non ancora giunti a maturazione con problemi di vestiario, problemi dermatologici, problemi di acconciatura, problemi sessuali, problemi di lubrificazione vaginale, problemi di perdita della verginità, problemi di infezioni dovute a tatuaggi e piercing al naso artigianali, problemi di resistenza all’alcol (tre bicchieri di plastica di spumante analcolico e sono già in coma etilico), problemi relazionali, problemi di personalità, problemi edipici, problemi sanitari, problemi di cuore, problemi di “a che ora passa l’ultimo autobus per tornare a casa”, problemi di soldi, problemi esistenziali e, non ultimo, il problema del “patriarcato”. “Patriarcato”: concetto del quale non saprebbero dare una definizione nemmeno se la loro vita, per quanto triste, dipendesse da questo. Vivere è patriarcato, nascere è patriarcato, ma andate affanculo. E persino ora che cavallerescamente e inclusivamente è stato concesso loro il governo del pianeta continuano a lamentarsi su Tiktok, anche quando non è rimasto nulla di cui lamentarsi, nulla per cui frignare passivo-aggressivamente invano come il gatto quando passi l’aspirapolvere.
Che senso ha cercare di dialogare?
Queste parassite civili e morali, orribili a vedersi, inutili a qualsiasi civiltà e a qualsiasi progresso comune, passano il tempo a strillare da quelle barricate in cui dormono, mangiano, pisciano e cagano senza mai muoversi. Le poche cose che rallegrano la loro vita quasi esclusivamente social, quando non sono occupate a sembrare più civili di te, è un nuovo “femminicidio” così possono scatenarsi nell’odio antimaschile, oppure uno stupro commesso da qualche parte da parte da un italiano così per qualche giorno possono dire “ecco gli immigrati, ah no è un italiano hihihihihi” o “stranieri non lasciateci sol* con gli italiani” e puttanate simili in quella torva camera dell’eco di cui sono ormai prigioniere. No, non è esattamente la compagnia che mi andrebbe di frequentare o con cui dialogare nei momenti in cui ho voglia di saltare dal quinto piano.
Io sui social ormai le blocco a vista. Non ci voglio parlare né dialogare, non ho tempo da perdere, non mi interessano nemmeno come lassativo, non voglio espormi al rischio di sentire le loro cazzate. Non che non ci abbia già provato: come a tutti, non è andata bene (trovatemene uno che sia riuscito a farle ragionare). Normalmente il loro bullismo segue questi passaggi: 1) pippone vittimista, 2) passaggio da toni da vittima a toni passivo-aggressivi con tentativo di instaurare sensi di colpa, 3) passaggio all’aggressione aperta senza alcun ritegno con linguaggio a metà tra la maîtresse aguzzina e lo spacciatore, 4) raffica di emoticon con la faccina che ride. Non è questione che reagiscono con gli insulti, anzi, mi diverto pure a restituirglieli con gli interessi, mi diverte il fatto che di solito questo le spiazza (un maschio che osa rispondermi come se io non fossi una sacra creatura fatta di puro spirito e non un maschio schifoso come lui, ma dove andremo a finire, che roba Contessa, all’industria di Aldo han fatto uno sciopero, quei quattro misogini), mi diverte il loro tentativo di riposizionarsi su un atteggiamento di dignitosa resilienza con la dignità di Luigi XVI sul patibolo come se fossi stato tu a insultarle per primo. Solo che se rispondi per le rime, prima o poi, richiamato da qualche bulla segnalatrice dall’ego e dai nervi fragili, arriva quello stronzo di Zuckerberg a farsi i cazzi tuoi, e indovinate chi viene sanzionato secondo gli “standard della community”.
“Ok incel” e finita lì.
Ecco, da un po’ di tempo, dei soggetti di cui ho stima, come “La Fionda”, “Homo Sapiens”, “Wannabe Buddha”, per dirne alcuni, vorrebbero cercare il confronto e dialogare con queste qui. E con questa speranza di passare per bravi ragazzi assicurano che “noi non blocchiamo nessuno” meravigliandosi assai quando poi vengono bloccati loro. Ora, io lo so che, come dice spesso anche Santiago Gascó Altaba, in una discussione con due punti di vista diversi miglioriamo tutti e due: ma porca di una femminista, vi pare che a loro interessi migliorare? Ma manco per nulla: a loro piace fare schifo esattamente così come fanno. L’errore più madornale che si possa fare è credere alla loro buona fede, confidare nel fatto che, di fronte a una pacata e onesta discussione sui contenuti, potranno effettivamente cambiare idea o essere disposte a riconoscere anche solo un qualche fondo di ragione.
Ma davvero ci sperate? Perché se credete questo guardate, c’è il mago Do Nascimento che vi dà i numeri del lotto. Non lo faranno, mai. Non lo faranno perché a loro una onesta discussione non conviene. Ne uscirebbero con le ossa rotte, come sempre succede e come sempre è successo ogni volta che c’è stato un qualsiasi “confronto” sui social nel quale si sono avventatamente lanciate col coltellino tra i denti che finisce sempre per restare lì conficcato. Non accetteranno mai di dialogare né alcun confronto dal vivo, e non solo perché sono totalmente incapaci di riconoscere l’altro da sé, ma soprattutto perché non sanno mai rispondere a domande che non richiedano risposte precotte. E pure le risposte precotte non è che siano proprio intelligentissime: patriarcato, femminicidio, una donna uccisa ogni tre giorni, fenomeno strutturale, ok incel, mia nonna.

Gli “imprenditori morali”.
Rendiamoci conto che qui parliamo di gente che dà (a sproposito) del “pedofilo” a Richard Gardner (uno dei primi, se non il primo, studioso di quella piaga che è la Sindrome da Alienazione Parentale, che secondo queste esagitate “non esiste” ed è un attacco “contro le madri”) e nel contempo venera un’autentica prosseneta come Simone De Beauvoir (la terra non le sia lieve, anzi spero sia allergica alla terra, che Dio o chi per lui ne abbia pietà perché io proprio non posso averne). Gente che se si parla di violenza subita dagli uomini risponde, senza rendersi nemmeno conto di quello che sta ammettendo, che così “si distoglie l’attenzione” dalla violenza sulle donne. Ma magari la si distogliesse, ‘sta cazzo di attenzione, ché evidentemente è eccessiva, ridondante, sopravvalutata, totalizzante. Gente che oppone da sempre, radicali o intersezionaliste che siano, il più assoluto, adamantino rifiuto di qualsiasi cosa riguardi la questione maschile. Gente per la quale noi non siamo e non saremo mai soggetti di diritto, tranne forse io se faccio il bravo gay accondiscendente e mi alleo con loro contro il patriarcato. Con queste si vuole dialogare?
Spiega Paolo Persichetti nel suo La polizia della storia: «Il sociologo Howard Becker definiva “imprenditori morali” quelle particolari categorie sociali, gruppi di pressione, apparati di potere o statuali che hanno la pretesa e la possibilità di mantenere, adottare o far adottare una norma oppure di etichettare comportamenti sociali. In Italia da alcuni decenni gli apparati dell’emergenza hanno assunto questo ruolo: essere i nuovi imprenditori morali dell’ordine costituito. […] Quando le ragioni che hanno dato origine all’impresa morale si sono esaurite, questi apparati sviluppano la tendenza a creare loro stessi il fenomeno che ne aveva giustificato in origine la formazione, ricorrendo ad allarmi continui, strategie ansiogene, attività di prevenzione che, allontanandosi sempre più dalle condotte-reati, sanzionano ed etichettano le personalità, il modo di vedere, di essere e di vivere delle categorie sociali». Persichetti non si occupa, che io sappia, di questione maschile, e data la sua storia allude evidentemente ad altre lobby, ma indovinate a chi ho subito pensato io e rientra perfettamente nella descrizione: e secondo voi queste imprenditrici morali hanno un minimo interesse a “dialogare”?

Dialogare… come a Bologna?
Guardate, vi accontento. Va bene, dai, dialoghiamo, su. Dialoghiamo, sì, comincio io: quanti uomini avete menato oggi? A quanti padri separati sul lastrico avete riso in faccia? Quanti di quelli li avevate ridotti così voi stesse? Quanti ne avete spinti al suicidio oggi? Quanti uomini avete accusato falsamente di qualcosa oggi? Quanti sguardi vi hanno stuprato oggi? Quanti avete gettato oggi in una qualche gogna mediatica organizzata? Quanti ne avete censurati e imbavagliati oggi? Di quale discriminazione immaginaria vi siete lamentate oggi? Per quanti avete invocato la galera per non avere usato i “giusti” pronomi oggi? Su dai, rispondete, facciamo un bel dialogo, dai. Non aspettatevi che queste stronze schiamazzanti vengano a dialogare e a farsi sbugiardare pubblicamente.
Dal loro punto di forza non hanno nulla da guadagnare, visto che hanno già tutto. E il discorso è più ampio e generico. Questa è la gente che mantiene e trattiene l’evoluzione umana, alla quale non hanno alcun interesse. Il loro dovere è mantenere l’inciviltà, dando ovviamente la responsabilità a chi invidiano, e ultimamente, peggio che mantenerla, ne accelerano persino il dilagare. Sapete quand’è che scenderanno a più miti consigli e inizieranno a dialogare? Quando non potranno più farne a meno. Quando crollerà il loro castello. Quando prenderemo coscienza. Quando si sentiranno realmente minacciate: guardate cos’è successo a Bologna da poco con i manifesti di LUVV e Genitori Sottratti RC, appena hanno sentito una puntura sul culo dei loro privilegi. Quando non potranno più ignorarci saranno loro, a quel punto, a venirci a cercare. E non manca molto, tranquilli.