Come tutti sanno, all’ultimo raduno degli alpini organizzato a Rimini dall’ANA – Associazione Nazionale Alpini è andato in scena il solito siparietto delle invasate transfemministe di “Non una di meno”, che si sono spese come e più che ai vecchi tempi (cioè prima del covid) per accusare le penne nere di maschilismo, aggressività, molestie, stupri e chi più ne ha, più ne metta. La polemica è dilagata, con tanto di petizione su Change.org per promuovere un’abolizione dell’adunata annuale. Petizione che in verità ha avuto esiti abbastanza fallimentari. Così come, alla fine, tutta la mobilitazione transfemminista, che è stata puramente mediatica. Delle centinaia di donne e ragazze che avrebbero subito abusi dagli alpini e che si sono esposte a raccontare il proprio dramma su Facebook o Instagram, alla fine soltanto una ha sporto denuncia. Che i giudici qualche giorno fa hanno tranquillamente archiviato perché priva di fondatezza.
La cosa avrebbe potuto morire lì, in attesa del raduno del prossimo anno e di una nuova messinscena delle femministe con la bava alla bocca, impegnate h24 nel distruggere tutto ciò che è tradizionale o maschile. Invece, sorpresa, le invasate rilanciano, depositando un corposo esposto a molte firme, contenente numerose testimonianze delle più terribili angherie subite a Rimini per mano delle penne nere o comunque di chiunque indossasse un cappello da alpino, originale o meno che fosse. Il “Primato Nazionale” racconta bene quale sia la consistenza di questa nuova denuncia collettiva. Impagabile la testimonianza di una presunta abusata a fine articolo: sarebbe intervenuta la Polizia per difenderla dalle molestie, eppure non sa se presenterà denuncia per mancanza di testimoni… Sì, come no. Rimane però la questione di base: perché invece di ritirarsi o addirittura (non sia mai) chiedere scusa, addirittura contrattaccano?
A sostegno dell’ANA.
La risposta è perché in ballo c’è molto di più di quanto sembri, sotto due profili. Il primo è puramente mediatico: non c’è più il clima di un tempo, l’opinione pubblica, attanagliata da ben altre preoccupazioni e problemi ben più reali, è satura di queste pantomime e di chiacchiere ideologiche prive di fondamento. La notizia dell’archiviazione dell’unica denuncia è risuonata tanto quanto il baccano fatto ai tempi dalle transfemministe, e questo è un segno del cambiamento dei tempi. Inoltre la tematica di base di questi fenomeni, ovvero l’utilizzo strumentale delle false accuse (qui finalizzate ad avere visibilità mediatica) si sta affermando gradualmente sempre di più. Prova ne sia che è approdata di recente niente meno che in Senato, provocando le tipiche reazioni scomposte di chi sa di essere stato preso in castagna. Non è più tempo di false accuse, l’era del #MeToo è fallita miseramente come meritava, ma il femminismo militante fatica ad accettarlo, e come l’ultimo giapponese continua a combattere una guerra ormai persa appigliandosi a un esposto senza capo né coda.
Ma c’è anche un secondo aspetto: apparentemente l’ANA si è stufata di abbozzare e pare determinata a sporgere denuncia e a chiedere i danni in sede civile a chi l’ha diffamata. Speriamo che, oltre alle transfemministe, citi in giudizio anche i vari imbrattacarte e politicanti che gli hanno retto il gioco, come le varie Michela Marzano, Selvaggia Lucarelli o David Parenzo e tanti altri. La questione è seria e potrebbe essere cruciale perché sembra sbloccato il meccanismo che negli anni precedenti spinse l’ANA non solo a non fare denuncia, ma addirittura a scusarsi pubblicamente. Ai tempi pre-covid, il ministro della Difesa, da cui dipendono i finanziamenti all’ANA, era una donna e si sa (lo denunciammo apertamente) che fece pressioni sull’associazione perché s’inginocchiasse al femministicamente corretto. Oggi il ministero, al di là che è retto da un uomo, è impicciato in questioni ben più importanti e non sembra voler far scattare nuovamente il ricatto. «Abbiamo conferito mandato ai nostri avvocati di intraprendere azioni legali contro chi ci ha offeso durante e dopo il raduno — dice Sebastiano Favero, Presidente dell’ANA —. Troppo fango è stato gettato sul nome dell’Ana». Siamo d’accordo: troppo fango. E non solo sugli alpini, ma sugli uomini in generale. E forse anche su tutte le persone normali a prescindere dal sesso. Per questo appoggiamo incondizionatamente l’ANA e la sua azione legale.