«Agli uomini coraggiosi che perirono nel naufragio del Titanic il 15 aprile 1912. Loro diedero la propria vita alle donne e ai bambini così che poterono essere salvati. Eretto dalle donne americane». Così recita l’iscrizione sul fronte nel memoriale del Titanic, anche conosciuto come Women’s Titanic Memorial. La statua, di dieci metri d’altezza, raffigurante un uomo con le braccia aperte, si trova a Washington. È stata disegnata da Gertrude Vanderbilt Whitney, e scolpita da John Horrigan, da un singolo blocco di granito rosso. Il memoriale è stato svelato il 26 marzo 1931, da Helen Taft, moglie del Presidente William Howard Taft. L’iscrizione sul retro recita: «Ai giovani e ai vecchi, ai ricchi e ai poveri, agli ignoranti e agli istruiti, a tutti coloro che nobilmente donarono la vita per salvare donne e bambini». Il tragico avvenimento del Titanic arrivò come un secchio di acqua fredda sulla narrazione storica che le femministe stavano cercando di diffondere in quegli stessi anni durante la prima ondata femminista. «Sul Titanic vi erano 2.092 adulti di cui 425 donne, pari al 20,3 per cento, di esse scampò al disastro il 74,3 per cento contro il 20,2 degli uomini» (Tratto da Questa metà della Terra, p. 52) . Queste furono le parole dell’imprenditore statunitense Benjamin Guggenheim, morto nel naufragio, riportate dai sopravvissuti : «Sono disposto a restare e a svolgere il mio ruolo di uomo se non c’è altro posto sulle scialuppe di salvataggio che per le donne e i bambini. Dite a mia moglie a New York che ho fatto del mio meglio per fare il mio dovere. Nessuna donna deve essere lasciata a bordo di questa nave perché Ben Guggenheim è un codardo».
I fatti avvenuti sul Titanic non potevano essere più sgraditi, smentivano flagrantemente una narrazione storica che vedeva gli uomini sempre come oppressori e incuranti del benessere delle donne, e queste ultime sempre vittime, più empatiche e disposte a sacrificarsi per il prossimo. Al contrario di questo discorso accusatorio, la stragrande maggioranza delle donne americane dell’epoca – come la stragrande maggioranza delle donne del mondo – non sposava le idee femministe. Queste donne si dimostravano riconoscenti e grate per il sacrificio e il contributo maschile nella costruzione del mondo, onoravano e veneravano questo sacrificio, l’erigevano a modello da imitare attraverso la figura maschile dell’eroe. Come avevano fatto le donne lungo tutta la Storia. Sono le donne americane che raccolgono i fondi e erigono il memoriale in onore agli uomini coraggiosi che diedero le loro vite per salvare le donne e i bambini durante il disastroso naufragio del Titanic. È una donna a svelare il monumento. È una donna a disegnarlo, e un uomo scolpirlo, bella metafora dell’agire storico dell’umanità, del potere immateriale femminile che molto spesso è quello che ha mosso i fili e disegna la costruzione materiale maschile del mondo.
Prima le donne e i bambini.
Ho voluto intitolare questo pezzo “Alla scuola del Titanic” in onore all’articolo di Rino Della Vecchia, pubblicato diversi anni fa, di lettura obbligatoria se non l’avete ancora letto. A grandi linee Della Vecchia mette in evidenza due verità: “i maschi affondano” e “i subalterni affondano”. Non voglio ripetere quanto già detto magistralmente dall’autore, vorrei approfondire l’articolo con altre due riflessioni che, a mio avviso, sono rimaste inesplorate. Primo, nel Titanic si salvarono il 74 % di donne, il 20% di uomini e il 55% di bambini. Percentualmente nel Titanic si salvarono più donne che bambini. Che in eventi di calamità e rischio per la vita gli uomini debbano morire più numerosi delle donne è il segreto di Pulcinella, malgrado il racconto femminista, un segreto purtroppo interiorizzato e accettato da tutta la società. Ciò che è molto più difficile da digerire, politicamente scorrettissimo, è che i bambini muoiano in maggior numero rispetto alle donne. In altre parole, che le donne siano più protette. L’espressione “prima donne e bambini” è strutturata in questo ordine per un motivo molto preciso. Secondo la teoria femminista, e noi, come sapete, cerchiamo di attenerci a questa teoria ogniqualvolta possiamo, l’ordine di elencazione, se stravolge l’ordine alfabetico, riflette l’ordine gerarchico. «Se sempre optiamo per anteporre il termine maschile al femminile (uomini e donne, bambini e bambine, professori e professoresse), stiamo dando una preferenza a uno dei generi che non possiede alcuna giustificazione grammaticale, e tuttavia, dovuto all’associazione costante tra genere e sesso, contribuisce a consolidare l’idea della priorità di un sesso rispetto all’altro» (tratto dall’opera La grande menzogna del femminismo, p. 88).
Infatti, nell’espressione “prima donne e bambini” (in inglese “women and children first”, in francese “les femmes et les enfants d’abord”) l’ordine dei termini «non possiede alcuna giustificazione grammaticale», l’alfabeto suggerirebbe l’ordine invertito. L’ordine riflette effettivamente una preferenza storica reale avvenuta lungo tutta la storia dell’umanità: le donne prima e dopo i bambini (gli uomini non ci sono né sono previsti). Questa verità scomoda può trovare conferma in numerosi esempi, nelle tutele lavorative protettive durante la Rivoluzione Industriale, arrivate prima per le donne che per i bambini (maschi); nelle norme che regolano il diritto di famiglia, la procreazione (o l’infanticidio) a favore delle donne piuttosto che dei bambini in grembo, dei nascituri e dei bambini già nati; nella creazione di istituzioni, enti, celebrazioni o giornate di tutela, arrivate tutte prima e più numerose a favore delle donne che dei bambini; nel maggior numero di minori detenuti nelle prigioni rispetto al numero delle donne (anche sul braccio della morte negli Stati Uniti); nei fondi assegnati attualmente in tutto il mondo occidentale a favore di politiche femminili rispetto ai fondi, di gran lunga inferiori, assegnati per l’infanzia (per un ulteriore approfondimento su ogni punto si rimanda alla lettura dell’opera La grande menzogna del femminismo). Il tragico avvenimento del Titanic risultò l’ennesima conferma di questa scomoda e indicibile verità. Bambini, «giovani e vecchi» cedettero il posto a donne di qualsiasi età.
Secondo, vorrei approfondire la reazione che all’epoca produsse il naufragio del Titanic nella diatriba femminista. La reazione sociale, al di fuori dell’universo femminista, è già stata commentata: le donne eressero l’ennesimo memoriale per onorare gli eroi, in modo che gli altri uomini potessero ammirarli e imitarli in avvenimenti simili. Negli ambiti antifemministi la reazione fu alquanto prevedibile: se le femministe volevano gli stessi diritti dovevano rinunciare ai loro privilegi. In occasione dell’affondamento del Titanic, il deputato italiano Vaccaro riferì che «in America si è fatta la questione se sia ragionevole di conservare questo privilegio che hanno le donne di essere salvate, in casi di naufragio, a preferenza degli uomini, e molti sostennero che questo privilegio bisognava abrogarlo, perché non è né utile né giusto». Secondo Vaccaro, le italiane dovrebbero rendersi conto come «possano attendersi più dai costumi e dalla cavalleria degli uomini, di quanto non potrebbero ottenere per mezzo del voto» (Tratto da La famiglia italiana dall’Ottocento a oggi, p. 238). Le reazioni delle femministe furono multiformi (tutte le citazioni sono tratte da Down with the Old Canoe: A Cultural History of the Titanic Disaster, pp. 101- 107, traduzioni mie).
La presidente della Maryland Equal Suffrage League respinse «la presunzione che il voto rende uguali uomini e donne e che quindi nessuno dei due dovrebbe avere la preferenza nel recente disastro marittimo». Si tratterebbe di «un malinteso della posizione dei sostenitori del voto per le donne». I sessi, spiegò, «svolgono un ruolo diverso nella vita, e alla donna sarà sempre mostrato cavalleria e rispetto che la adornano opportunamente. Credo che questo spirito renderà immutabile la legge non scritta del mare, che riconosce la debolezza della donna nella forza fisica, ma il suo valore in altri ambiti». In conclusione: stessi diritti, mantenimento dei privilegi. Inez Milholland, organizzatrice della parata di New York (per il voto), sostenne che il modo migliore di estendere alle donne l’eroismo e la cavalleria degli uomini del Titanic era dare a loro la stessa libertà di esercitare queste ammirevoli qualità. In conclusione: le donne non si comportavano altruisticamente perché non erano libere. Come i bambini, storicamente le donne sarebbero moralmente irreprensibili perché sono state “schiave”. Charlotte Perkins Gilman, autrice del romanzo femminista utopico Herland (Terra di Lei), offrì un’interpretazione antropologica – e razzista – della «splendida mostra dell’eroismo umano» avvenuta sul Titanic. La cavalleria sarebbe un comportamento tradizionale solo «delle razze teutoniche e scandinave» perché queste civiltà non avrebbero mai conosciuto la fase della poligamia e la schiavitù femminile; da un primo «stato matriarcale» sarebbero entrate direttamente in un periodo di dipendenza delle donne dagli uomini attraverso il matrimonio monogamo. Le razze minori, secondo lo schema evolutivo della Gilman, non avevano ancora raggiunto lo stadio cavalleresco, mentre la civiltà anglosassone era pronta ad andare oltre.
Abbasso la cavalleria.
Fintanto che «le leggi e l’applicazione delle leggi sono interamente nelle mani degli uomini» questi «disastri mortali, all’ingrosso, sono quasi del tutto prevedibili», scrisse invece Agnes Ryan. E ancora, «il bisogno di donne in tutti i dipartimenti della vita umana allo scopo di conservare la vita stessa è ormai urgente. Più di ogni altra cosa al mondo il movimento Votes for Women cerca di portare l’umanità, il valore della vita umana, nel commercio, nei trasporti e negli affari del mondo e stabilire le cose su una nuova base, una base in cui l’unità di misura è la vita, nient’altro che la vita!». In pratica, l’eroismo maschile non fa niente per prevenire i disastri, solo mitiga gli effetti. I disastri sarebbero sprechi di vite rimediabili avvenuti per colpa della gestione patriarcale del mondo. Secondo Alice Stone Blackwell, editrice of NAWSA’s Woman’s Journal, «la perdita di ogni singola vita sul Titanic era evitabile. Ci saranno molte meno perdite per incidenti prevedibili, sia in terra che in mare, quando le madri degli uomini avranno il diritto di voto». Sotto la guida femminile, questi disastri non dovrebbero più capitare nel mondo. Un’associata della Women’s Trade Union League (WTUL) rinfacciò ai politici maschi le loro «menti medievali» e la loro incapacità di riconoscere che «i tempi sono cambiati da quando i Cavalieri della Tavola Rotonda andavano a proteggere le gentildonne». Gli uomini che ancora credevano che la loro cavalleria sarebbe stata sufficiente nel mondo moderno «non sanno che le donne devono proteggersi da sé se vogliono essere adeguatamente protette». La cavalleria maschile sarebbe stata eccezionale e inadeguata. In conclusione: tutta la responsabilità ricade sugli uomini, che gestiscono molto male il mondo.
Nessun ringraziamento dovuto. Al contrario, far salire prima le donne e i bambini sulle scialuppe di salvataggio era il minimo che gli uomini potevano fare. «Dopotutto, le donne sulla nave non erano responsabili del disastro» e sarebbe stata «una grave ingiustizia decretare che le donne, che non hanno voce in capitolo nel fare e far rispettare le leggi sulla terra e sul mare, dovessero essere lasciate a bordo di un nave che affonda, vittime della cupidigia dell’uomo», scrisse in una lettera al giornale una donna. Forse la riflessione più interessante la fece la femminista anarchica Emma Goldman, durante una conferenza a Denver. La Goldman denunciò la debolezza e la dipendenza delle donne, la loro disponibilità «ad accettare il tributo dell’uomo in tempo di salvezza e il suo sacrificio in tempo di pericolo, come se fossero ancora nell’età dell’infanzia». Sostenne che le donne sul Titanic sarebbero dovute morire «con coloro che amavano». Mostrandosi ineguali e non emancipate, allo stesso livello fisicamente e moralmente delle bambine, queste donne avevano inferto un duro colpo alla causa delle donne. Infatti, solo una donna, Ida Straus, rifiutò di partire e lasciare suo marito, Isidore Straus, a bordo sulla nave che affondava. La coppia morì insieme nella loro cabina. Non si sa di altre donne che presero la stessa decisione di rimanere con i loro compagni amati. Loro decisero di partire lasciando indietro i loro compagni di vita.
La parabola della figona con il SUV.
Così come propone la Goldman, le suffragette sarebbero rimaste sul ponte del Titanic a difesa della parità o sarebbero imbarcate sulle scialuppe invocando il privilegio femminile? Chiedono le femministe la parità nell’autosacrificio? Se parità significa pari sofferenza e morte nei momenti difficili, allora, non solo le femministe ma le donne in genere, vogliono la parità? E se le donne non vogliono questo tipo di parità, perché continuano a far finta che la vogliono? Se gli uomini sono disposti in genere a morire per le loro care, quante donne sono disposte a morire per i loro cari (esclusi i figli)? Come dobbiamo giudicare tutto ciò moralmente? Concludo il mio intervento con le stesse parole con le quali Della Vecchia concludeva il suo, a proposito del comportamento asimmetrico tra una figona su un Suv e un barbone: “Se la figona va a sbattere e il Suv prende fuoco quel miserando correrà di certo qualche rischio per tirarla fuori. Se invece gli crolla il porticato addosso… no, lei non danneggerà le unghie per fare altrettanto. Mano al cellulare, chiamerà i soccorsi. E qualcuno verrà. Qualche maschio verrà”.