La Fionda

Alessandra Piga: un “femminicidio propriamente detto” ma accuratamente silenziato

Quanti tra di voi sapevano che sabato scorso è stato commesso “l’ennesimo femminicidio” a Castelnuovo Magra, in provincia di La Spezia? Noi l’abbiamo scoperto a distanza quasi di una settimana. I fatti: la giovane Alessandra Piga, originaria di Maracalagonis in Sardegna, è una bellissima 25enne che qualche tempo fa aveva sposato Yassine Erroum, 30enne di origini marocchine. Dall’unione nasce un figlio, ma la relazione a un certo punto si interrompe e la separazione prende, come purtroppo spesso capita, la via di un conflitto incentrato sulla custodia del bambino e sul mantenimento. Nel frattempo Yassine si trova un’altra fidanzata, che si fa da tramite con Alessandra per organizzare un incontro forse pacificatore. Lo lascia pensare il fatto che Alessandra si presenta con il figlio e un’amica. Dalle testimonianze sembra che fossero passati pochi minuti dal suo ingresso nella casa dell’ex marito, quando i due cominciano a litigare ferocemente. Poi la scena raggelante: Yassine va in cucina, prende un coltello con 18 centimetri di lama e comincia a pugnalare Alessandra, fino a ucciderla. Viene arrestato in casa, poco dopo, dalle forze dell’ordine.

Serve scavare un po’ nei pochi media mainstream che parlano della vicenda, in gran parte locali sardi, per avere qualche dettaglio in più. A partire dal fatto che Yassine parrebbe essersi presentato all’appuntamento con l’ex moglie totalmente strafatto da giorni di sniffo di cocaina. Alessandra non è salita da sola nell’appartamento, ma si è fatta accompagnare dal figlio piccolo e dalla “mediatrice”, l’attuale compagna dell’assassino. È lei la “supertestimone”: nel momento della furia, Yassine le avrebbe intimato di chiudersi in bagno con il bambino prima di iniziare il massacro. «L’ho visto mentre iniziava a colpirla», ha raccontato agli inquirenti, «a quel punto mi sono spaventata e mi sono chiusa dentro». Strana reazione. A conti fatti potevano essere due contro uno e di oggetti di difesa e offesa in una casa se ne trovano tanti. In ogni caso la donna pare si sia lasciata prendere dal terrore e non è intervenuta. Dopo il fatto, Yassine si è aggirato per casa in stato confusionale, lasciando tracce del sangue di Alessandra ovunque. Un altro dettaglio non irrilevante trapela da alcune fonti investigative accreditate: Alessandra aveva sposato Yassine, in un primo momento, per garantirgli la cittadinanza italiana. La relazione sentimentale era nata successivamente.

omicidio alessandra piga
Il luogo dell’omicidio. In alto Yassine Erroum, in basso Alessandra Piga.

Una diversa propensione al “femminicidio”.

Una vicenda con luci ed ombre, insomma, piena di quelle sfaccettature che possono aiutare a capire il contesto in cui un delitto, di per sé sempre ingiustificabile, matura, ma che l’informazione Murgia-style è forzata a nascondere. Si può solo lavorare di ipotesi per capire che tipo di rapporto c’era tra i due, quale vita conducessero insieme prima, separatamente poi. Così come forse sarebbe da inquadrare la passività con cui la fidanzata di Yassine è rimasta sostanzialmente a guardare il proprio uomo massacrare la ex senza muovere un dito: al momento agli inquirenti non pare strano e la donna resta esclusa da ogni responsabilità. Soprattutto ora rimane il dilemma del figlio, che la nonna materna reclama per sé, anche allo scopo di sottrarlo a un destino di casa-famiglia. E c’è anche la solita riflessione su quanto le prassi separative attuali non siano adeguate a mitigare i conflitti insorgenti tra coppie che si separano, anzi sembrano più che altro pensate per esacerbarli: Alessandra pare si sia posta nel solito modo, collegando la frequentazione del figlio all’erogazione di soldi da parte del padre che, anche per questo (così ha affermato), ha perso la testa. Servirebbe certezza che nessuno mai più colleghi le due cose, fermo restando che in questo singolo caso l’affido condiviso con un padre cocainomane sarebbe stata una grande iattura. Non c’è dubbio, infine, che questo caso possa essere annoverato tra i “femminicidi propriamente detti”, come recita la definizione del fenomeno data nel 2018 dalla Polizia di Stato. Eppure, ed è questo l’elemento più sorprendente e sconcertante di tutti, praticamente nessuno ne ha parlato. Nel momento in cui scriviamo la notizia appare in qualche testata locale sarda e sul Secolo XIX, quotidiano a diffusione ligure o poco più. Niente titoli in prima, niente manifestazioni, niente esternazioni da parte di esponenti politici. Come mai questo mutismo di fronte a uno dei pochissimi “femminicidi” coincidenti con la definizione della Polizia, per altro efferatissimo?

Ipotizziamo una spiegazione: Saman. Si è fatto di tutto per far passare la sua morte per “femminicidio”, con mistificazioni e falsificazioni che non sono sfuggite a nessuno. Il termine stesso e l’uso che se ne fa ne sono usciti malissimo. A conti fatti, nel campionato del politicamente corretto, con Saman l’antirazzismo batte il vittimismo femminista uno a zero. Ecco però che a breve distanza capita un altro fatto dove è coinvolto un assassino immigrato e il clan dell’antirazzismo, forte della sua recente vittoria, impone un sostanziale silenzio stampa. Questa è forse la ragione per cui non c’è stato il solito battage sulla tragica morte di Alessandra Piga? Probabile. Enfatizzarla rischiava di indurre qualcuno a guardare i numeri reali. Ad esempio quelli della popolazione maschile adulta (15-75 anni) in Italia, che al 2019 assomma a poco più di 24 milioni individui, di cui 2 milioni immigrati (regolari), pari rispettivamente al 92% e all’8%. Con questa distribuzione ci si attenderebbe per logica che su X “femminicidi” il 92% abbia un autore italiano e l’8% un autore immigrato, o giù di lì. Invece, stando ai dati del 2020 (come da noi rilevati e “ripuliti”) quella che emerge è un’altra proporzione. Su 44 casi di “femminicidio propriamente detto”, 35 hanno avuto un autore italiano e 9 un autore straniero, ovvero rispettivamente l’80% e il 20%. In altre parole, c’è un 8% della popolazione che commette il 20% dei “femminicidi”. In altre parole ancora, per ogni italiano propenso a commettere un “femminicidio” ci sono quasi tre stranieri che hanno la stessa propensione.

Alessandra Piga
Alessandra Piga

Ecco perché non ne avete sentito parlare.

Sì, certo, il nostro è un discorso razzista e xenofobo, e bla bla bla… No, non è così. Lo faremmo uguale a nazionalità invertite o se si trattasse di biondi, o alti, o calvi, o commercialisti o induisti o altro. C’è nella società italiana, ed è innegabile, una minoranza che si caratterizza per un impianto socio-culturale diverso, talvolta incompatibile con quello nostro. La vicenda di Saman (o di Mohamed Ibrahim) è paradigmatica da questo punto di vista. Non è quindi razzista monitorarne con precisione statistica i comportamenti, anzi è un atto dovuto. Razzista sarebbe semmai dichiarare che andrebbero tutti indiscriminatamente fucilati o rispediti a casa, cosa che non ci sogneremmo mai di dire o pensare. La nostra vuole solo essere l’analisi fredda, a numeri certi, di un fenomeno che, per essere frenato o eliminato, va prima ben compreso. Oggi una donna che si fidanzi o sposi con un italiano ha meno probabilità di venire uccisa dal partner di una che si fidanzi con un immigrato, posto che entrambe hanno complessivamente una probabilità di venire uccise pari più o meno a quella di vincere il montepremi del Superenalotto. Va ribadito qua che stiamo parlando di un fenomeno tanto orrendo quanto microscopico, per lo meno in Italia (vivaddio). In ogni caso, se qualche conclusione si può trarre dai numeri, ebbene è la stessa tratta per la vicenda della povera Saman (e del povero Mohamed Ibrahim): in Italia ci si cura di far entrare e passare chiunque e non si fa nulla per garantire un’integrazione che mitighi le incompatibilità di carattere socio-culturale tra autoctoni e nuovi arrivi. Vale per i matrimoni combinati, vale per lo stupro e, a conti fatti, vale anche per il “femminicidio”.

Ma c’è un ultimo aspetto da enfatizzare. La narrazione post-modernista dilagante è incline a negare tutto ciò che è naturale e biologico, lo sappiamo bene. Di recente il Senatore Pillon si diverte a postare ovvietà chestertoniane sui suoi social, raccogliendo in risposta una tale quantità e qualità di odio e malanimo che gli sperimentatori dell’Unità 731 a confronto erano dei filantropi. Così funziona oggi: ciò che è naturale è male, ciò che è aberrato rispetto al setting naturale è il bene e va esaltato. Con un’unica eccezione: la natura malvagia, violenta e oppressiva del maschio. Quella è l’unica caratteristica biologica e innata che viene riconosciuta e debitamente denunciata. Come tale, però, dovrebbe essere riscontrabile trasversalmente tra tutti i portatori di prostata, non dovrebbero esserci maschi più portati a esprimerla di altri. Ebbene, i numeri che abbiamo dato smentiscono ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, gli assunti femministi e politicamente corretti di quel tipo: a guidare la mano omicida sono tanti fattori, culturali, economici, psicologici, religiosi, sociali, rituali, tradizionali e tanto altro. Il sesso (sì, il sesso, non il genere) dell’autore non c’entra nulla con la propensione all’atto violento, con buona pace di chi vorrebbe rieducare il maschio bianco eterosessuale: la recente sgozzatrice di Milano e l’incendiaria di Varese lo dimostrano molto bene, oltre a tutto il resto. Capite ora perché quello che abbiamo fatto non è un discorso razzista? Ma soprattutto: capite ora perché non avete sentito parlare del recente “femminicidio” di Alessandra Piga?



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