Una madre scappa con la figlia da Padova a Foggia e ora è a processo per sottrazione di minore. Le opzioni sono tante: non saprei dire se siamo di fronte ad una persona solo ingenua, oppure del tutto scema ma in buonafede, oppure una furbetta calcolatrice in clamorosa malafede, oppure ancora una persona cinicamente portata a violare norme e sentenze al di là di ogni calcolo. I fatti: moglie e marito vivono e lavorano a Padova, lei è un medico con specializzazione in ginecologia, hanno una figlia di 6 anni ma la coppia sembra non funzionare più e arriva la separazione. Affido condiviso, per circa un anno e mezzo non emergono particolari problemi. Poi i programmi della signora cambiano, lei dimostra di aggirare le noie dei tribunali per preferire la soluzione fai-da-te: si trasferisce a Foggia (da Padova, ricordiamolo) e porta con sé ciò che considera i suoi effetti personali: il computer, gli abiti, “sua” figlia. Il delirio di possesso è evidente, emergerà prepotentemente anche dai comportamenti e dalle dichiarazioni successive. A Foggia trova un altro lavoro e un altro compagno col quale fa subito un altro figlio. O è molto fortunata e tutti aspettavano proprio lei per garantirle un posto di lavoro ed una nuova famiglia, oppure la cosa era pianificata da tempo. Quale delle due opzioni?
Secondo la signora è tutto casuale, si reca in Puglia per una festa di matrimonio e tra gli invitati incontra, pensa un po’, proprio un direttore sanitario col contratto in tasca. Lei – scusi, cosa sono quei fogli? Lui – questi? ah, niente … sono dei contratti, stiamo cercando gente da assumere. Lei – un supermercato, un call center, un ristorante? Lui – no, un ospedale. Lei – ma dai, quando dici le coincidenze … per caso vi serve una ginecologa? Lui – ora controllo: ginecologa … ginecologa … si, ne serve una, meglio se foggiana con accento padovano. Eureka! È stata una giornata fortunata, sembra che durante il pranzo di nozze siano stati assunti anche 3 portantini, 5 infermiere, 1 cardiochirurgo, 2 anestesisti ed 1 parcheggiatore. Tornando seri, appare più verosimile che le informazioni sulla disponibilità di un impiego la dottoressa non le abbia ricevute casualmente mentre lanciava il riso agli sposi, ma le abbia cercate e trovate ben prima. Sembra proprio una accurata pianificazione – tenendo all’oscuro il marito – spacciata per fortunata casualità. Anche valutare la tempistica è importante: la crisi di coppia inizia nel 2016, la sentenza di separazione con affido condiviso arriva a fine aprile 2018, pochi mesi dopo (ottobre 2018) la signora va in Puglia ufficialmente per prendere parte alla famosa cerimonia nuziale, ma non farà più ritorno.
«Ho agito da buona madre».
Nella trasferta pugliese porta con sé la figlia, col consenso del padre che ovviamente non sospettava nulla e aveva ricevuto tutte le assicurazioni su un sollecito rientro di entrambe dopo i festeggiamenti. Trattenersi in un luogo diverso da quello di residenza è lecito, trattenere anche la bambina no. Probabilmente per la signora è un dettaglio insignificante, ma ci sarebbe una sentenza da rispettare e la sentenza dice che la residenza della bambina è a Padova. Dopo due mesi – dicembre 2018 – in ragione del comportamento illecito della madre, il tribunale revoca l’affido condiviso e dispone l’affido esclusivo al padre. La bambina però non torna a Padova, la madre sembra avvezza a farsi beffe di quanto disposto dai tribunali e trattiene la figlia a Foggia perché si è resa conto di un’altra curiosa casualità: ha trasferito la propria residenza ma l’impiegato del Comune si è sbagliato, ha cambiato residenza anche alla bambina. Lei proprio non voleva, non lo immaginava affatto, nemmeno ha pensato a controllare, la residenza della figlia è stata cambiata “a sua insaputa” stile Scajola, ma questi impiegati distratti, si sa, ne combinano di tutti i colori. La signora, anche se “a sua insaputa”, continua però a commettere reati. Trattenere la figlia a Foggia non si può, cambiarle la residenza senza il consenso del padre o l’autorizzazione del giudice non si può, violare due diversi provvedimenti del tribunale non si può.
Qualcuno deve averle allora spiegato che le sentenza vanno rispettate e semmai impugnate in tribunale, non ci si può limitare ad ignorarle; dal 2020 infatti a bimba è tornata a vivere a Padova dal padre. Ma i reati restano e quando si apre il processo arrivano le giustificazioni, o presunte tali, con le quali la dottoressa tenta di edulcorare i propri comportamenti. «Ho agito da buona madre, non avrei mai pensato di creare tanti problemi». Allora vediamo cosa intende la signora per “buona madre”. «C’era un provvedimento, vero, ma mia figlia era sempre rimasta con me. Come potevo allontanarla così radicalmente, da un giorno all’altro?». Già, come poteva? Coerenza ed obiettività, queste sconosciute. Non si è fatta la stessa domanda al momento di sradicare totalmente la figlia dall’intera rete di relazioni non solo col padre ma anche con tutto il ramo parentale paterno, nonni, zie, zii, cugini… e poi dalla scuola, dalle insegnanti, dalla rete amicale. L’allontanamento immediato e radicale dal contesto abituale nel quale la bambina è nata e cresciuta è traumatico solo per quanto deciso dalla signora che si arroga il diritto di valutare, in splendida autonomia, le conseguenze psicologiche nell’età evolutiva. E arriva alla conclusione che la bimba soffrirebbe vedendo poco la madre ma non soffrirebbe affatto con la drastica amputazione di tutto il resto. «Ho agito da buona madre».
Il “bravo papà” deve organizzarsi a fare il globetrotter.
«Io con il mio ex marito non ho mai avuto problemi, l’ho sempre considerato un bravo papà. E poi l’ho più volte invitato a venire in Puglia a trovare la piccola». Ah, ecco, l’ha invitato più volte a venire in Puglia… ma quello evidentemente non è collaborativo, proprio non ne vuol sapere di andare a prendere la figlia a scuola, parlare con le insegnanti, andare alla recita di Natale o alla mostra dei disegni di fine anno. Non vuole accompagnarla a danza, non vuole aiutarla a fare i compiti, non vuole cucinare per lei, non vuole farla addormentare leggendole un libro di favole, non vuole avere un ruolo attivo nel percorso di crescita della figlia. Insomma sembra che la colpa sia del padre se i rapporti con la figlia sono interrotti; eppure ci vorrebbe poco, sale in macchina e, salvo imprevisti, in 7-8 ore è già fuori scuola pronto a salutare la figlia ed accompagnarla da mammà. Poi altre 7-8 ore et voilà, è subito di ritorno a Padova. È ovvio che non potrebbe vederla in maniera diversa, non potrebbe trascorrere i pomeriggi a fare i compiti in un McDonald, non potrebbe tenere la figlia con sé a meno che non affittasse un appartamento anche a Foggia, né potrebbe portarla con sé a Padova. Qualsiasi contatto infrasettimanale viene cancellato dalla decisione materna di trasferire la figlia a 700 km da dove è nata e cresciuta. Anche i weekend sono compromessi, il padre non potrebbe mai portarla a casa propria, 1400 chilometri a settimana tra andata e ritorno significano almeno 16/18 ore in macchina, se va bene: uno stillicidio per la bambina che renderebbe oltremodo gravoso ogni weekend col padre.
Restano i periodi di chiusura della scuola: una settimana a Natale, 3 giorni a Pasqua, un mese d’estate. Insomma il padre diverrebbe il genitore “delle vacanze”, col ruolo educativo paterno ridotto a nulla. Però la signora dice di averlo sempre considerato un bravo papà, quindi il suo l’ha fatto e ora non la faccia tanto lunga se lei ha deciso che tocca ad altri occuparsi quotidianamente della figlia. La dottoressa ha infatti provato a sostituire la figura maschile di riferimento, per la bimba il nuovo compagno è “papà” ed «è arrivata persino a dire di chiamarsi con il cognome della nuova figura maschile». «Ho agito da buona madre», dice. «Ho quindi deciso di stabilirmi in Puglia con la bimba. Non volevo assolutamente toglierla al papà, però i miei impegni mi impedivano facili e frequenti spostamenti». Un attimo, prego. Se fosse lei a dover portare la bimba a Padova la signora realizza le difficoltà oggettive: facili e frequenti spostamenti sono impossibili. Quindi è il “bravo papà” che, se vuole continuare ad esserlo, deve organizzarsi per le trasferte. Per lui il difficile deve diventare facile e anche frequente, evidentemente pensa che l’ex marito non abbia bisogno di lavorare quindi la sua occupazione a tempo pieno debba diventare quella di padre on the road. «Ho agito da buona madre».
«Non avrei mai pensato di creare tanti problemi».
Sorprende, ma poi neanche tanto, la forma mentis sfacciatamente egocentrica della signora. Il matrimonio in sostanza può essere assimilato a un contratto di cui le parti si impegnano a rispettare le clausole. I coniugi accettano di prestarsi reciproca assistenza e fedeltà, concordano dove vivere e lavorare, se avere figli e dove farli nascere, crescere, studiare… Come ogni contratto anche il matrimonio può essere sciolto, e qui finiscono le similitudini. In ogni contratto, infatti, la penale è a carico di chi lo infrange, dalle caparre confirmatorie nei preliminari di vendita per gli immobili alle penali milionarie per i trasferimenti dei calciatori professionisti. Il matrimonio invece è l’unico contratto in cui la penale è a carico di continua a rispettarlo. Nel caso della madre che trasferisce la figlia da Padova a Foggia (ma esistono migliaia di casi analoghi) la signora reputa normale che gli oneri per continuare ad avere uno straccio di rapporto con la figlia siano a carico del padre, cioè di colui che continua a rispettare i taciti accordi previsti dal matrimonio e ribaditi per iscritto da due sentenze del tribunale. La sua è una scelta dettata da motivi lavorativi e sentimentali, a Foggia ha il nuovo lavoro e la nuova famiglia. Quindi è incontestabile che si tratti di una scelta che alla signora conviene per motivi personalissimi. “Io decido di andarmene e di portarti via la figlia, se vuoi vederla sta a te affrontare tempi e costi dei ripetuti viaggi”. L’anomalia è che in questo caso la bambina sia tornata dal padre dallo scorso anno, in migliaia di casi simili il trasferimento viene autorizzato dal tribunale e al padre globetrotter non resta che comprare un diesel. «Ho agito da buona madre».
Gli articoli che ne parlano dicono poi che «la donna nel corso del tempo ha mantenuto un comportamento di ostacolo nel rapporto tra il papà e la bambina». Sempre perché ha agito da buona madre. In conclusione va detto che la signora ha commesso un errore strategico, nella sua ingenuità forse non le è noto l’attuale trend delle separazioni. Non ha denunciato l’ex marito per qualche forma di violenza, impostando la fuga secondo i canoni attualmente prevalenti: non scappo perché voglio ma scappo perché devo. Sono costretta a fuggire, non posso farne a meno, devo difendere me stessa e la bambina dall’orco violento. Non si è rivolta ad un centro antiviolenza che l’avrebbe potuta aiutare a mettere in piedi una bella strategia difensiva, non si è rivolta ad alcune parlamentari compiacenti che si dimostrano sempre pronte a schierarsi dalla parte delle donne, a prescindere da tutto. Non ha inviato il proprio fascicolo alla Commissione Femminicidio per far vagliare le ingiustizie dei tribunali che le imponevano di riconsegnare la bambina, non si è dichiarata vittima di violenza istituzionale. Avrebbe potuto giocarsela diversamente, ma per fortuna della bambina non lo ha fatto. Quella convinta di aver agito da buona madre aggiunge «non avrei mai pensato di creare tanti problemi». In effetti… vista l’aria che tira come poteva pensare che togliere il padre alla bambina fosse un’azione biasimevole, oltre che sanzionabile?