Si chiama sofisma di petizione di principio (petitio principii) il metodo di ragionamento che prende come premessa quanto afferma la conclusione, cioè incomincia affermando quello che si pretende dimostrare. L’invito a contribuire (call for articles) a “definire e studiare la manosphere” della pubblicazione AG About Gender, gestita da un nutrito comitato scientifico di illustri accademici, perlopiù accademiche, di Università di ogni continente, fornisce un egregio esempio di questo principio. Non solo l’oggetto di studio è già definito scrupolosamente, in maniera negativa, in più è fissato il sentiero sul quale devono transitare i diversi elaborati, a pena di inammissibilità. La metodologia è spiegata molto bene da un’altra Università, che non fa parte del comitato scientifico, l’Università di Buenos Aires (UBA), Argentina, durante la lezione di sociologia, qui al video 44 (in spagnolo, min. 0:45 a 2:38 ca.), “Género y feminismo”. Per poter acquisire “uno sguardo sulla realtà, sul mondo e sulle cose del mondo”, per poter “svegliare questo tipo di sguardo”, bisogna indossare “un paio di lenti di colore viola, e così possiamo incominciare a vedere il mondo, la realtà nella quale siamo immersi”, ciò “ci permette di rendere visibile ciò che è occulto”. Naturalmente queste lenti rivelano il mondo così com’è: “il Patriarcato è il sistema di dominio/oppressione delle donne per mano degli uomini” (per ben due volte, min. 2:38 e min. 4:15). Dal pulpito accademico, dal tempio di Atena, viene conferito al Patriarcato, nei termini definiti, il rango di verità, assioma che non ha bisogno di altra dimostrazione che l’uso, forse, di un paio di lenti viola.
Insomma, secondo la docente universitaria bisogna indossare le lenti viola per dare “uno sguardo sulla realtà, sul mondo e sulle cose del mondo”. NO, NO e NO! Se indossi “un paio di lenti di colore viola”, vedi tutto viola! Vedi una realtà viola, vedi un mondo viola e vedi le cose del mondo viola! Se indossi un paio di lenti di colore azzurro, vedi tutto azzurro e se indossi un paio di lenti di colore nero, vedi tutto nero. In verità succede proprio il contrario di quanto viene affermato sul video, “la realtà, il mondo e le cose del mondo” sono distorte dal colore delle lenti che indossi. Gli studi di genere universitari, e il femminismo tout court, funzionano in questo modo, i loro adepti indossano lenti di un unico colore, viola, dunque ai loro occhi appare una realtà monocromatica. Stesso concetto, in altri termini, era stato espresso da Carla Lonzi: «il nostro lavoro specifico consiste nel cercare ovunque, in qualsiasi avvenimento o problema del passato e del presente, il rapporto con l’oppressione della donna». In breve, indossare sempre le lenti di colore viola. Sulla stessa linea si erano espressi i reviewers di AG About Gender. Non esiste e non può esistere “…una sorta di parallelismo tra «questione femminile» e «questione maschile»: due temi evidentemente non paragonabili o equiparabili.” Ed è proprio così per chi indossa lenti di colore viola.
«Una mole immensa di studi, analisi e statistiche».
L’errore fondamentale degli autori dell’elaborato di risposta alla Call è proprio quello di aver rifiutato di indossare queste lenti, di aver creduto presuntuosamente che il suicidio, gli incidenti sul lavoro, la sottrazione dei figli, le dipendenze di droghe e di alcool, la mortalità dei civili in guerra, la coscrizione, la tortura e i lavori forzati, la violazione della proprietà privata nelle separazioni, il fenomeno dei senzatetto, l’immigrazione illegale, la violenza omicida, la privazione della libertà, l’impossibilità di riconoscere o disconoscere una paternità, l’impiego di punizioni corporali, la pena di morte e di ergastolo, la casistica delle persone scomparse, incidentati sul traffico o morte annegate, i decessi per mutilazioni genitali, e tanti altri fenomeni che colpiscono predominantemente l’universo maschile potessero mai, non dico essere superiori per gravità, ma neanche lontanamente “paragonabili” ed “equiparabili” alle problematiche che colpiscono l’universo femminile. Senza queste lenti rischiamo di essere ridicoli. Per questo motivo, quando nel Regno Unito il parlamentare Philip Davies propose che la seduta del giorno 19 di novembre fosse dedicata a parlare dei problemi specifici maschili, la femminista e collega parlamentare Jess Phillips si oppose perché l’idea “faceva ridere”. Proposta respinta. Per questo motivo, quando negli Stati Uniti il dott. Warren Farrell propose di creare un Comitato alla Casa Bianca per Uomini e Bambini con l’obiettivo di studiare i problemi maschili, la proposta fu respinta e il pretesto addotto fu che avrebbe comportato il drenaggio delle risorse dal già esistente Comitato della Casa Bianca per Donne e Bambine (White House Council on Girls and Women). Per questo motivo, migliaia e migliaia di donne escono a manifestare ogni 8 marzo contro la discriminazione femminile in Spagna, paese da dove provengo, malgrado esista un’unica norma che discrimina le donne (la legge successoria della corona spagnola dà la preferenza all’uomo) e 351 norme che discriminano gli uomini.
Il mondo è pieno di persone che indossano le lenti di colore viola. Il mondo viola è caratterizzato dalla sofferenza, l’oppressione e i patimenti femminili, dunque dalla malvagità, la prepotenza e la violenza maschile. Non solo. In questo mondo non esistono la sofferenza, l’oppressione e i patimenti maschili, né la malvagità, la prepotenza e la violenza femminile. Inoltre non esiste il sacrificio di diventare buoni e giusti; il bene femminile è scontato, appartiene alla sua natura, nessuna fatica dunque; il bene maschile è tanto invisibile quanto la sua sofferenza. Non posso immaginare maggiore cattiveria che l’assoluta indifferenza e la carenza di empatia per la sofferenza altrui, in questo caso maschile, atteggiamento sbandierato quotidianamente dal movimento femminista. Una volta indossate le lenti si è in grado di spiegare le più disparate situazioni e comportamenti umani, anche senza averli vissuti personalmente, sotto il paradigma dell’universo viola. Ovunque viene osservato un incessante flusso di conferme dell’esistenza di questo universo, basta aprire un qualsiasi giornale per trovare in ogni pagina delle prove a sostegno della propria interpretazione viola della storia e della società, in quello che viene detto e, molto più importante, in quello che esso non dice. L’universo viola sviluppa così un fenomeno autoreferenziale che proclama la sua verità, mediante l’autoproduzione di materiale da citare a conferma della propria validità. In parole dei reviewers, «un’enorme mole di studi e dati di tipo sociologico, statistico, politologico sulla permanenza di disparità e discriminazioni di genere», «una mole immensa di studi, analisi e statistiche». E questo avviene a qualsiasi livello, accademico, istituzionale o per strada.
Basta semplicemente levarsi le lenti di colore viola.
Negli ultimi decenni, nel mondo accademico occidentale i dipartimenti di studi di genere sono spuntati come funghi. Nel contempo è cresciuta enormemente la produzione di riviste accademiche, studi, saggi e libri su questo argomento. Mantenendo le dovute distanze, credo possa essere realizzata un’analogia tra l’attuale rigogliosa situazione degli studi di genere negli atenei e la filosofia scolastica e la successiva Rivoluzione scientifica del XVI secolo. Anche la filosofia scolastica produsse lungo i secoli un numero imponente di opere, a conferma della propria tesi, e monopolizzò l’ambito universitario finché non conobbe un periodo di lenta decadenza. La Rivoluzione scientifica del XVI secolo fiorì perlopiù fuori da quest’ambiente accademico… e malgrado questo. Le numerose opere scolastiche, erano la prova autoevidente dell’autorevolezza delle loro affermazioni. Che fine hanno fatto queste opere, questa “mole immensa di studi, analisi e riflessioni” scolastiche? Non sono sicuramente io la persona più adatta per dispensare consigli ai nostri illustri accademici di studi di genere, a vagliare i loro brillanti testi filosofici, che un semplice scambio dei sessi nei loro scritti, nella maggior parte dei casi, produce una tesi capovolta parimenti logica e plausibile. Forse, e dico forse, applicare il dubbio cartesiano su un’opinione quasi universale non guasterebbe. Simbolicamente è diventato molto popolare nell’androsfera l’espressione prendere la pillola rossa (red pill), espressione presa in prestito dal film Matrix. La pillola rossa permetterebbe di vedere il mondo così com’è realmente, senza il condizionamento provocato dall’ideologia femminista. Capisco la connotazione eroica che trasmette, un richiamo alla resistenza che deriva dal film. Ma in realtà l’azione da compiere è molto più prosaica di ingerire alcunché in qualche decisione eroica. Basta semplicemente levarsi le lenti di colore viola.