La Fionda

Addio a David Lynch, l’artista che cantò le ingiustizie sugli uomini

Il 15 gennaio scorso è scomparso David Lynch, artista a tutto tondo: regista, sceneggiatore, produttore, ma anche pittore, scenografo e musicista. Fu autore di film che hanno fatto epoca e segnato la storia del cinema come “The Elephant Man”, “Velluto blu” o “Mulholland Drive”, divenendo influente anche in televisione con la serie “Twin Peaks”, che ai tempi rappresentò un fenomeno culturale globale. Pochi sanno però che era anche musicista: in duo con John Neff, sotto il nome di “BlueBob”, produsse diversi brani di genere blues-rock, alcuni dei quali ebbero un qualche apprezzamento circa vent’anni fa. Tra di essi, uno in particolare è stato (forse volutamente) dimenticato ed è il brano “Thank you judge” (“Grazie giudice”).

Di per sé, dal lato musicale, la canzone non è memorabile: tre accordi su un ritmo quadrato e una base blues che diventa rock grazie alla chitarra distorta e mutata che segna il passo dell’intero brano, sullo sfondo di una seconda chitarra talvolta stridente e talvolta lamentosa che inframezza gli interventi del cantato. Nella migliore tradizione blues, quest’ultimo non spicca per inventiva melodica, ma segue una linea molto semplice, pensata apposta per dare spazio ai significati di un testo puramente elencativo, ossessivamente elencativo, interrotto di tanto in tanto, ma senza alcun sollievo, dalla frase chiave, appunto: “thank you judge”, quel ringraziamento sarcastico e tagliente come una lama.

Grazie, giudice.

Ma cosa contiene l’elenco che John Neff snocciola per cinque minuti di canzone? Qui sta la ragione per cui segnaliamo il brano e forse la ragione della sua totale cancellazione, anche nel momento delle celebrazioni per la scomparsa del suo autore. Molto semplicemente il testo elenca tutto ciò che la moglie, grazie appunto alla decisione di un giudice, ha preso al marito in seguito alla separazione. E c’è tutto, ma proprio tutto: dalle birre alla collezione di dischi, dalla canna da pesca al lettore DVD (ai tempi ancora era un valore), dalla casa ovviamente agli attrezzi da lavoro, il tutto sotto la vigilanza della polizia (chiamata da lei). Per cinque minuti i “BlueBob” di David Lynch elencano insomma la graduale e spietata spoliazione materiale e morale di un uomo da parte di una donna determinata, arrabbiata e sostenuta ciecamente da un sistema, quello giudiziario, che per questo viene sardonicamente ringraziato di tanto in tanto nel corso dell’elenco.

Ovviamente Lynch produsse un video musicale sulla canzone, prezioso per il modo freddo, per quanto venato di ironia, con cui il tutto viene rappresentato, ma anche per la presenza di una notevole Naomi Watts nella parte della moglie senza scrupoli. Il video integra bene il significato della canzone, con l’uomo rassegnato a subire di tutto, dalle scenate in tribunale a quelle davanti casa, dai ricatti di un nuovo padrone di casa che offre una catapecchia cadente a un prezzo folle, fino ad arrivare a un’ispezione anale come punizione per essersi avvicinato all’ex moglie, nel frattempo subito riaccoppiatasi con un baldo giovanotto. Ci voleva insomma il coraggio di Lynch per affrontare questo tipo di temi e per farlo in questo modo. Un modo scomodo, tanto da produrre qualcosa che ancora oggi viene ampiamente misconosciuto dalla schiera di appassionatissimi fan del regista americano, cui noi tributiamo ogni onore per il suo lavoro in vita, con una speciale menzione per aver avuto il fegato e le palle di pensare, comporre e mettere in video la storia di molti di noi che, ieri come oggi, ci ritroviamo a masticare amaramente il nostro “thank you judge”.



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