Parliamo di qualcosa di bello. Capita di rado su queste pagine, ma quando è il caso, è giusto mettere in piena luce eventi che illuminano la visione del presente e del futuro. Trasferiamoci dunque a Trieste, il centro nevralgico della più rocciosa e coerente battaglia attualmente in corso contro il Green Pass. In premessa: il Green Pass è un orrore antidemocratico, un trucchetto per indurre quante più persone possibili a vaccinarsi, mettendo in gioco la loro vita sociale e una lunga serie di importanti diritti a partire da quello al lavoro. Se il Governo fosse certo al 100% che sta circolando un virus letale e avesse la stessa certezza sul funzionamento del vaccino, metterebbe la vaccinazione obbligatoria per tutti, anche forzosa, non userebbe il trucchetto infame del Green Pass. Punto e stop. C’è molto poco da discutere: il Green Pass è una follia para-fascista, ingiustificata e anticostituzionale, senza se e senza ma. C’è qualche decerebrato che questo concetto lo respinge, chi borbotta proteste e chi ci mette la faccia.
Tra questi ultimi ci sono i lavoratori portuali di Trieste, in agitazione da tempo, imitati poi, anche se su proporzioni e con una partecipazione diversa, anche dai colleghi di Genova, Napoli e Gioia Tauro. Da tempo a Trieste manifestano, trainando con sé per le strade della città più della metà della cittadinanza e facendosi così avanguardia di una protesta che giusto di recente si è cercato di delegittimare con qualche infiltrato e qualche titolone inefficace additante al fascismo, ma con effetti da macchietta che non fermano le varie mobilitazioni in tutto il Paese. Trieste è appunto l’avanguardia, la punta di diamante di questa battaglia democratica, libertaria e per i diritti. Nel perfetto stile di un esecutivo guidato da un banchiere-liquidatore, il Governo ha offerto ai lavoratori in agitazione un privilegio: tamponi gratuiti per i soli operatori portuali di Trieste, purché rimuovano il presidio e rinuncino alle iniziative future. La risposta non si è fatta attendere, il comunicato stampa dei portuali, seppur con buone parole, respinge al mittente la regalia ed esprime un concetto chiaro e umiliante per il Governo: «non siamo in vendita». Il Green Pass va tolto per tutti i lavoratori.
Quell’abbraccio è la buona notizia.
Dove sa la bella notizia? Sta nel fatto che i portuali sono tutti maschi. È un lavoro faticoso e pericoloso, lì la parità non viene reclamata, come per i posti di amministratore delegato o altre professioni “comode”. Lì il femminismo curiosamente se la dà a gambe. E dove non c’è il femminismo, appaiono le Donne, quelle vere, quelle che non chiacchierano, non rivendicano aria fritta, non stronzeggiano con slogan o principi ideologici. Infatti alla mobilitazione dei portuali in breve si sono unite altre categorie di lavoratori, molte delle quali rappresentate da donne. In vista del blocco totale del porto, programmato per il 15 ottobre, quando il Green Pass diventerà davvero obbligatorio per chiunque lavori, le varie forze professionali e sociali mobilitate per la protesta sono state convocate in delegazione alla Prefettura di Trieste. Lì si è preso atto della posizione dei lavoratori: nessuna condizione preliminare al diritto al lavoro sancito dalla Costituzione, oppure blocco e scontro frontale. Rispondono a una voce i principali hub portuali d’Italia: più della protesta dei camionisti, riuscita solo in parte, vale quella degli scali. Con i porti chiusi, gli scaffali si svuotano, il business si ferma, specie in un paese come il nostro, che è una piattaforma logistica sul mare.
Ecco allora che in una lotta sacrosanta uomini e donne cooperano in piena parità, con un bersaglio unico: togliere di mezzo ogni ostacolo a poter lavorare e poter portare il pane sulla tavola della propria famiglia. All’uscita dalla Prefettura sfilano gli omaccioni del porto e alcune donne. Vengono fermati dai giornalisti che chiedono di parlare con un portavoce. Si fa avanti un portuale che, prima di parlare, trascina a sé, davanti alle telecamere, una donna, rappresentante del comparto scuola. Continua a parlare e la abbraccia. Insieme, nella loro semplicità, giganteggiano. Sono l’immagine plastica di ciò che uomini e donne sono stati da sempre nella storia e che, nei momenti critici, continuano ad essere: una cosa sola, unita e concorde, al di là delle sciocche zizzanie di genere, per ottenere equità, giustizia, diritti, rispetto e la possibilità di una vita dignitosa. Non esiste battaglia al mondo che non possa essere vinta quando accade questo. Quando l’essere uomini o donne non è un fattore dirimente di nulla, perché il bisogno di combattere e la volontà di vincere mette tutti sullo stesso piano. Che si tratti di rappresentanti professionali uniti su un’iniziativa, come in questo caso, o di un marito e una moglie, nel caso della famiglia, cambia poco. In quell’abbraccio sta la storia dell’umanità, la verità del presente e una resistenza verso il sovvertimento del futuro. Quell’abbraccio è la buona notizia. Quell’abbraccio è il Bene.