La Fionda

A chi importa della sofferenza maschile? (1)

In questi ultimi anni l’industria cinematografica – a dir il vero tutte le industrie –, succube dell’ideologia woke che sta invadendo ogni ambito della vita, è stata colpita da un’ondata di disapprovazione e revisionismo. Molti dei film classici sono stati stigmatizzati e condannati, giudicati sotto la nuova scala dei valori woke. Uno di questi film classici è Tarzan l’uomo scimmia del 1932, interpretato dall’attore Johnny Weissmuller. Per il tribunale woke, questo film e tutta la saga successiva (una decina di film) sono dei film razzisti. In questi film, ad esempio, ci sono dei neri che precipitano da dirupi senza che questa tragedia susciti nei personaggi bianchi alcun tipo di scrupolo, rimorso o preoccupazione. Nel summenzionato film c’è la scena di un portatore nero che cade da un dirupo, e l’unica cosa che fanno i protagonisti bianchi è preoccuparsi del carico perduto e consolare Jane, sconvolta dal pericolo. Film razzisti. Ma la domanda che nessuno si pone, e dovrebbero, è: sono questi film misandrici? In questi film sono molto numerose le morti violente che colpiscono l’universo maschile – uomini di colore divorati da coccodrilli, leoni, scaraventati dalle palme, ecc.–, ma raramente si vedono donne che muoiono violentemente (io, a memoria, non mi ricordo di averne vista alcuna). Per salvare Jane, Tarzan si serve degli elefanti per radere a terra un villaggio dove non compaiono né anziani né donne né bambini. All’epoca, cosa era necessario per rendere il film adatto a qualsiasi pubblico ed evitare la censura?

La maggior preoccupazione era l’abbigliamento della povera “Jane”, che era molto succinto (evidentemente nessuno si preoccupava che i neri e lo stesso Tarzan apparissero seminudi). Lo sterminio di uomini neri, il fatto che gli uomini fossero superflui e potessero essere uccisi, non era un problema. Dunque la discriminante per rendere il film adatto a tutti i tipi di pubblico (anche per età) non era che le vittime di morti violente fossero selvaggi, o neri, perché anche le donne e i bambini lo erano. La discriminante era che tra le vittime non ci fossero donne (e bambini), non importava se fossero bianche o nere. Non ci dovevano essere donne in quel villaggio. Dunque non è la razza il comune denominatore dei destinatari della violenza ma il sesso, non si tratta di razzismo ma di misandria. A dimostrazione di tutto ciò, il fatto che malgrado nella saga di Tarzan la maggior parte delle morti violente colpiscano i neri, è anche vero che in tanti altri film contemporanei le vittime sono bianche. In entrambi i casi, neri o bianchi, sono totalmente o quasi in esclusiva uomini. Non importava a nessuno dei neri che cadevano da un dirupo, così come non importava se a cadere erano dei bianchi, importante è che in entrambi i casi fossero uomini. Per rendere i film adatti a tutti, il destinatario della violenza doveva essere l’uomo. Quante indiane uccise John Wayne durante la sua carriera cinematografica? Quante donne sono morte in una sparatoria in un film western? Quante vietnamite uccide John Rambo nei suoi film?

Tarzan
Il cast principale di “Tarzan” (1941)

La sacrificabilità maschile.

In pratica, le persone che hanno una certa età, come il sottoscritto, abbiamo trascorso la vita guardando dei film dove si uccidono uomini, si torturano uomini, si annientano uomini, e nel contempo ascoltando la denuncia che i film oggettivizzano il corpo delle donne, disprezzano il corpo delle donne, sessualizzano il corpo delle donne. Il sessismo dei film non ha mai riguardato la sofferenza maschile. Perché Jane non era Tarzan? Perché Jane non era la protagonista del film, perché era solo la spalla, l’ancella, la bella di Tarzan? E così la denuncia femminista si concentra sul ruolo del protagonista e ignora l’ecatombe di uomini che giacciono intorno, così come oggi chiedono quote di potere nel Parlamento, nei CdA o nelle Università e ignorano le miniere, le fognature o l’edilizia. Le femministe non hanno mai chiesto di essere trucidate nei film, così come lo erano gli uomini, hanno chiesto il ruolo di Tarzan, hanno chiesto di essere loro le protagoniste. Per assurdo, succede nella storia del cinema di vedere molte donne, eroine o in difesa di se stesse, che sparano e uccidono uomini. Mai, o quasi mai, che uccidono altre donne. Donne che sparano e uccidono selvaggi e neri, tutti uomini. La storia cinematografica d’azione è la storia di un eccidio maschile (per un ulteriore approfondimento rimando alla lettura dell’opera La grande menzogna del femminismo). Se questi film sono razzisti, perché non sono misandrici?

I film non fanno altro che fotografare la realtà. Esiste un sesso sacrificabile e superfluo, una sofferenza invisibile, e un sesso protetto e tutelato, una sofferenza intollerabile. Il pubblico non avrebbe mai accettato che diffusamente nella finzione cinematografica il destinatario di incarceramenti, torture, uccisioni, mutilazioni (cioè senza la dovuta ritorsione o punizione per quest’atto ingiustificato e violento) fosse stato il sesso sbagliato, la donna. La stessa cosa avviene nella realtà. Oggigiorno sembra di stare a guardare di continuo un film di Tarzan dove la società è preoccupata della povera Jane, che deve salvare e consolare. I morti di uomini sul lavoro ogni anno sono migliaia nel mondo, ma gli allarmi si accendono quando muore qualche donna. Da sempre e ogni anno ci sono più uomini vittime di omicidio che donne, in Italia e ovunque nel mondo occidentale, ma se stiamo a sentire i media e le istituzioni sembra che ci siano unicamente vittime femminili. 100 uomini muoiono su un barcone cercando di raggiungere il continente, o  costruendo uno stadio in condizioni di lavoro inumane e degradanti, o lapidati per omosessualità o per adulterio, o massacrati da un gruppo terroristico… ma non è mai una questione di genere, è una fra le tante tragedie degli esseri umani. Una in più. Ora, 10 donne muoiono su un barcone cercando di raggiungere il continente, o in una fabbrica in un incendio in condizioni di lavoro degradanti, o lapidate per adulterio, o massacrate da un gruppo terroristico… ora sì è una questione di genere, episodi che fotografano la tragica condizione delle donne, di tutte le donne, all’interno del Patriarcato.

guerra Siria
Immagini dalla guerra in Siria.

Uomini colpevoli.

Se c’è un ambito dove viene percepito in maniera lampante l’asimmetrico valore della vita di un uomo e di una donna, questa è la guerra. A luglio 2017, questi erano i dati della sanguinosa guerra di Siria: «Almeno 331.765 persone, tra cui circa 100.000 civili, sono morte dall’inizio del conflitto nel 2011, secondo i dati aggiornati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH). Tra i civili morti a causa della guerra vi sono 18.243 bambini e 11.427 donne». Per ottenere il numero dei morti di uomini adulti, bisogna prima sommare il numero dei bambini e delle donne e poi sottrarlo al totale, il risultato: 301.000 morti rispetto a 11.427 donne. Se riteniamo tutte le donne vittime civili e confrontiamo i dati, soltanto tra i civili 70.330 caduti sono uomini e 11.427 donne. Infine, ci sono più bambini caduti che donne, come nel Titanic, e come molto spesso avviene nella storia dell’umanità. Prima donne e … dopo bambini. A marzo 2023, nella sede dell’ONU, la ministro spagnola delle Pari Opportunità Irene Montero ha dichiarato (min.1.36 – 1.58): «In questi anni segnati dalla pandemia di Covid-19 e anche dall’invasione dell’Ucraina e da altri conflitti armati con gravi conseguenze economiche e sociali per l’intera popolazione mondiale, vorrei sottolineare che queste crisi e questi conflitti armati hanno un impatto specialmente grave sulle donne». Ecco i dati aggiornati della guerra in Ucraina prima della data della dichiarazione (marzo 2023). A febbraio 2023 l’Ucraina stimava che «più di 140.000 soldati russi siano stati “liquidati” dall’inizio dell’invasione». Queste erano le perdite solo sul fronte russo, si presuppone che tutti o quasi tutti uomini. Per quanto riguarda i civili, a fine gennaio 2023 l’ONU stimava 7.000 morti: «2.819 dei civili uccisi finora nella guerra erano uomini, 1.905 erano donne, 225 erano bambini e 180 erano bambine. Non è stato possibile determinare il sesso delle vittime nel resto dei corpi». È possibile che durante una conferenza in una sede così importante come l’ONU, una carica così importante come un ministro di un governo occidentale, non sia a conoscenza dei dati, che sono pubblici, o possa mentire così flagrantemente senza venir smentita? È possibile che tutta questa sofferenza maschile sia talmente invisibile?

Forse qualche lettore mi potrebbe rinfacciare di accanirmi con la ministro Irene Montero, che per la verità capita di essere menzionata spesso nei miei interventi. Ecco allora le dichiarazioni di un’altra ministro dello stesso governo spagnolo, Ione Belarra, durante l’Incontro per la Difesa della Pace all’Università Complutense di Madrid: «Mai un uomo potente che ha dichiarato la guerra da un lussuoso ufficio ha pagato la guerra con il suo sangue o con il sangue di qualcuno che ama. Mai. […] Storicamente le guerre sono state pianificate e dichiarate dagli uomini. […] La logica dietro la guerra è la stessa logica che c’è dietro il maschilismo». Al di là della grande ignoranza storica che queste persone dimostrano – non è necessario risalire a Ciro il Grande o a Marco Antonio, per capire che la guerra ha travolto spesso ai loro promotori, basta pensare ai più recenti e noti Hitler o Mussolini –, al di là della retorica femminista che colpevolizza gli uomini per qualsiasi guerra e scagiona le donne – basta pensare alle più note Cleopatra, Isabella di Castiglia, Maria Teresa d’Austria, la regina Vittoria, Indira Gandhi, Margaret Thatcher…, l’opera La grande menzogna del femminismo presenta un lungo elenco di sovrane che hanno combattuto e promosso guerre –, nessuna menzione alle vittime, nella stragrande maggioranza uomini. Gli uomini, se menzionati, devono essere menzionati nel ruolo di colpevoli, come fa la ministro, non di vittime. Uomini colpevoli delle guerre e della sofferenza femminile. E la sofferenza maschile? (Continua domenica prossima)



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